giovedì 23 gennaio 2014

Un paese da bastonare...



Settant’anni dopo, la memoria di un paese martoriato (2)
di Agide Vandini

Le spedizioni punitive delle Brigate Nere ferraresi dei primi mesi del 1944, con violenze ed esecuzioni che presero di mira Filo e i suoi elementi più «sovversivi», non avvennero a caso, e neppure per fatti episodici. Per comprendere a fondo le vere ragioni alla base delle persecuzioni, vanno ripercorse alcune tappe fondamentali della storia, sia locale che nazionale.
Filo, quanto ad attaccamento ai valori di solidarietà e agli ideali socialisti, vanta tradizioni antiche. Ancora oggi è “un nome e una garanzia”, una caratteristica talvolta vissuta con fastidio da chi, dall’esterno, vede in questo soltanto grettezza di intenti o piattume intellettuale. La “filesità” è ben altro e fonda le sue solide radici in anni lontani, negli albori del movimento operaio, fin dalla fondazione del Partito Socialista e dalle lotte agrarie di fine Ottocento e Primo Novecento; sono fatti ed eventi che le attuali generazioni non ricordano materialmente, ma di cui si conserva, in famiglia, vivo ed intatto, lo spirito di allora.
Questo fu già considerato un paese «rosso» quando, nella difficile Italia postunitaria, braccianti ed operai, per sentir parlare dei loro diritti, andavano a piedi nelle vicine località romagnole ad ascoltare i comizi di Andrea Costa e si portavano dietro i figli in carriola. Sarebbe lungo spiegare, in tutti i passaggi e in tutta la sua lunga genesi, il perché di una particolare “coscienza di classe” che, poco a poco, venne a formarsi intorno all’ideale «sol dell’avvenir» di garibaldina memoria; mi limito ad elencare alcune pietre miliari:

Argenta. Gli scioperanti impediscono la marcia dei treni. La Domenica del Corriere, 2 giugno 1907.
23 luglio 1896 – Uccisione a Filo, sul ponte di Po Vecchio, del giovane Giovanni Mezzoli, 25 anni, fondatore della locale sezione socialista, una morte voluta, causata e fomentata dall’odio politico.

Marzo 1907 – Filo, in solidarietà coi paesi vicini, scende in sciopero, uno sciopero totale, sfiancante e difficile, che dura tre mesi. In Romagna vengono accolti e ospitati per solidarietà i figli degli scioperanti alla fame. Finisce con la capitolazione della controparte padronale che firma nuovi patti.

8-12 giugno 1914 – I moti romagnoli della Settimana Rossa si diffondono in particolare ad Alfonsine ed interessano, pur marginalmente, anche il nostro territorio.  


8-12 giugno 1914.
La folla davanti al Municipio di Alfonsine annerito dalle fiamme


21 aprile 1922 – Viene ucciso di botte a Filo, da una squadraccia fascista, l’anziano Vincenzo Antonellini, 53 anni, suocero del conduttore dell’osteria di Case Selvatiche definita un covo socialista. Pochi mesi dopo (28 ottobre), di fronte alla Marcia su Roma, il Re Vittorio Emanuele III mette l’Italia nelle mani di Mussolini; già dal 1921 però il paese «rosso» di Filo è oggetto di provocazioni e soprusi fascisti. Non si contano le spedizioni punitive, le botte e le sparatorie che vedono la popolazione terrorizzata da squadre che vengono dall’argentano e scorrazzano impunemente per le strade. Vengono sciolte le cooperative, ma i filesi rifiutano con fierezza l’adesione al sindacato fascista.

1930 – A Filo, dove a fare il segretario del Fascio arriva l’argentano Dalla Fina, è attiva fin dal 1927 una cellula comunista che compie alcune azioni dimostrative. Il promotore è il giovane Mario Babini, nativo di Giovecca, classe 1907, poi marito di Rosina Natali. Alla fine di novembre del 1930 vengono arrestati, nel quadro della retata dei “comunisti romagnoli”, ben 22 filesi, 11 dei quali il 29.4.1931 sono condannati dal Tribunale Speciale Fascista di Roma a pene varianti da 1 a 6 anni con l’aggiunta di parecchi mesi di “vigilanza speciale”. Molti di essi sono ancora minorenni. I condannati rimarranno nell’Elenco dei Sovversivi per tutti gli anni del Regime. Tre di loro (Vandini Guerriero, Matulli Giovanni, Babini Mario), nel 1944, in epoca repubblichina, finiranno nella lista dei soggetti pericolosi da eliminare. E’ una ricca pagina di storia locale che però va approfondita in altra sede[1].
Il resoconto della spedizione punitiva che portò
alla morte tragica del filese Vincenzo Antonellini 

La sentenza del Tribunale Speciale di Roma.
(I ventidue giovani filesi sono contrassegnati con l’asterisco)[2]

10 giugno 1940 – L’Italia fascista, dopo aver fomentato la Guerra di Spagna e scatenato quella d’Abissinia per dar seguito alle sue roboanti pretese coloniali (1935-36), aderisce al “Patto d’Acciaio” ed entra in guerra, nel secondo conflitto mondiale, a fianco della Germania.

25 luglio 1943: L’annuncio delle dimissioni di Mussolini. E’ la fine del Regime fascista. Nel proclama di Badoglio si afferma che «la guerra continua»; si teme per l’ordine pubblico, timore   ripetuto nell’ appello agli italiani del giorno successivo.
25 luglio 1943 – Gli anglo-americani sono già sbarcati in forze nella penisola. Di fronte all’ormai irreversibile rovescio militare, il Re Vittorio Emanuele III destituisce Mussolini: finisce il regime fascista e il Maresciallo Badoglio, nominato Capo del Governo del Regno, dichiara che «la guerra continua» al fianco della Germania.

Il proclama Badoglio dell'8 settembre 1943, discorso letto alle 19.42 dai microfoni dell'EIAR:
«Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

8 settembre 1943 – Badoglio firma l’armistizio con le Forze Alleate Anglo-Americane, gli ordini sono confusi e l’esercito italiano, dopo tre anni di combattimenti, si scioglie nell’arco di poche ore.
E’ il «Tutti a casa» che dà inizio alla Resistenza nella parte del territorio subito occupato dai tedeschi. Il re si ritira a Brindisi, nomina il figlio Umberto II «Luogotenente d’Italia» e questi, costituita la Brigata Cremona, affianca gli Alleati nella Guerra contro la Germania.
I tedeschi creano, nel territorio occupato, la Repubblica Sociale Italiana e vi mettono a capo Mussolini, liberato dalla prigione di Campo Imperatore nel Gran Sasso. Il fascismo diventa così repubblicano (per la storia: «repubblichino»), e combatte a fianco della Germania contro il Regno d’Italia, contro il suo Luogotenente, i suoi propositi democratici e i suoi alleati militari.
Il fascismo repubblichino scatena, in sostanza, una guerra civile nell’Italia occupata, contro gli altri italiani, contro coloro che si riconoscono nel nuovo corso della Monarchia, nei valori di Libertà e Democrazia di cui sono portatori i suoi nuovi alleati.
Gli italiani che anelano al II° Risorgimento d’Italia, in particolare tanti soldati tornati a casa l’8 settembre del ’43 e scampati alle retate tedesche, alimentano le fila della Resistenza. Di lì in poi, questi italiani, saranno chiamati, e si faranno chiamare, «Partigiani».
                                                                                                                 (2/5 – continua)


[1] Nel libro uscito da poco, e dedicato alla figura di Bruno Natali, la vicenda degli arresti, del processo e delle persecuzioni viene ampiamente ricostruita e dettagliata (E.Checcoli – D.Tromboni, Bruno Natali, una vita nel cuore del Novecento, Ferrara, Tresogni, 2013, pp. 21-48). Purtroppo nell’elenco degli arrestati viene tralasciato, per evidente omissione, Luciani Arnaldo e nel testo non sono evidenziati in grassetto (pp.44-45), alla pari degli altri filesi, gli allora residenti in provincia di Ravenna: Diani Luigi (Luigiòñ), Tebaldi Tancredo (E’ Moz) e Toschi Giuseppe (Pipéñ), mio zio.
[2] Vedi  A.Dal Pont, A.Leonetti, P.Maiello, L.Zocchi, Aula IV, Roma, ANPPIA, 1961, pp. 184-185. Nel testo, alla sentenza n.23 del 28-4-1931, si riporta: « Nel 1930 il “Comitato federale” romagnolo del Partito comunista dirige da Faenza un’organizzazione che si articola in sette zone, ognuna delle quali comprende numerose cellule. Attività principali: distribuzione di stampa, scritte murali, esposizioni di bandiere rosse[…]».
Queste alcune notizie frammentarie sui processati (raccolte con l’aiuto di Vanni Geminiani e Carla Vandini): Babini Mario, originario di Giovecca di Lugo, poi marito di Rosina Natali, abitò con la famiglia di quest’ultima di fianco all’osteria Nuvoli; Matulli Giovanni (Gianêl) abitava al Borgo S-ciapèta;  Fabbri Alfeo (Pipòñ), fratello del Ger e altri, abitava a Case Selvatiche, si spostò poi alla Chiavica di legno; Diani Luigi (Luigiòñ d Gabarèñ), papà di Francesco (Chécco), abitava a Filo di Alfonsine; Tebaldi Tancredo (e’ Moz d Mlarina), papà di Achille (Chilo) abitava a Case Selvatiche sotto Alfonsine; Vandini Guerriero (Ghéo), mio padre, abitava nel centro di Filo; Tarozzi Irpio (Lido), padre di Franco, abitava di fianco all’osteria Nuvoli; Natali Bruno (dla China), padre di Arturo, Luciano, Lelia e altri, abitava al Molino di Filo; Veduti Enzo (Panàma), padre di Teresa, abitava nel centro di Filo; Tirapani Anteo (Teo d Pani), abitava nella Cà Longa, grande amico di mio padre Guerriero, emigrò nel dopoguerra a Marina di Ravenna; Toschi Giuseppe (Pipèñ d Capitëni), fratello di mia madre Elvira e papà della maestra Rita Toschi, viveva Rossetta di Filo sotto Conselice, a metà degli anni ‘30 si spostò alla Campeggia - Pipèñ è ancora vivente alla soglia dei 103 anni -;  Mondini Francesco, fratello di Barös-c e quindi zio di Libero Mondini (mio ex compagno di banco), abitava alla Campeggia (gli morì un bambino sotto il carro del grano); Luciani Arnaldo, Amaldo all'anagrafe, babbo del bidello Paolo e di Mario (marito di Elvira Diani), abitava al Borgo Gallina; Banzi Guerriero, fratello di Pezöli (Quinto) e Ghinghèñ, zio quindi di Luisa e Delia, abitava nel centro di Filo; Bonora Guerrino, fratello di Nello il parrucchiere, abitava a Case Selvatiche; Banzi Tarcisio (Cecio), abitava nei pressi della Bargunzóna, dietro ai Ravóñ (Venieri), sposò la Tavalaza; Battaglia Ivo, fratello di Bruno, Liliana e altri, abitava nei Vagóñ, poi emigrò a Milano; Veduti Adino (Spulvràz), marito della Noemia d Farlì, abitava nel centro di Filo, poi disperso in Russia; Antonioli Mario, in seguito emigrato a Lavezzola; Minghetti Emilio (Miglióri d Bigiôla), abitava nei pressi dell’Ôca, padre di Mara; Martinelli Olao, fratello della bidella Ines, abitava al Molino di Filo; Geminiani Vito, fratello di Maria, Volpi e Pina di S. Biagio, era figlio del fratello di Angelo, nonno di Vanni Geminiani.

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