Settant’anni dopo, la memoria di
un paese martoriato (2)
di Agide Vandini
Le
spedizioni punitive delle Brigate Nere ferraresi dei primi mesi del 1944, con violenze
ed esecuzioni che presero di mira Filo e i suoi elementi più «sovversivi», non
avvennero a caso, e neppure per fatti episodici. Per comprendere a fondo le
vere ragioni alla base delle persecuzioni, vanno ripercorse alcune tappe fondamentali della storia, sia locale
che nazionale.
Filo,
quanto ad attaccamento ai valori di solidarietà e agli ideali socialisti, vanta
tradizioni antiche. Ancora oggi è “un nome e una garanzia”, una caratteristica
talvolta vissuta con fastidio da chi, dall’esterno, vede in questo soltanto
grettezza di intenti o piattume intellettuale. La “filesità” è ben altro e fonda
le sue solide radici in anni lontani, negli albori del movimento operaio, fin dalla
fondazione del Partito Socialista e dalle lotte agrarie di fine Ottocento e
Primo Novecento; sono fatti ed eventi che le attuali generazioni non ricordano
materialmente, ma di cui si conserva, in famiglia, vivo ed intatto, lo spirito di
allora.
Questo
fu già considerato un paese «rosso» quando, nella difficile Italia
postunitaria, braccianti ed operai, per sentir parlare dei loro diritti,
andavano a piedi nelle vicine località romagnole ad ascoltare i comizi di
Andrea Costa e si portavano dietro i figli in carriola. Sarebbe lungo spiegare,
in tutti i passaggi e in tutta la sua lunga genesi, il perché di una
particolare “coscienza di classe” che, poco a poco, venne a formarsi intorno
all’ideale «sol dell’avvenir» di garibaldina memoria; mi limito ad elencare
alcune pietre miliari:
Argenta. Gli scioperanti impediscono la marcia dei
treni. La Domenica del Corriere, 2 giugno 1907.
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23 luglio 1896 – Uccisione a Filo, sul ponte
di Po Vecchio, del giovane Giovanni Mezzoli, 25 anni, fondatore della locale
sezione socialista, una morte voluta, causata e fomentata dall’odio politico.
Marzo 1907 – Filo, in solidarietà coi
paesi vicini, scende in sciopero, uno sciopero totale, sfiancante e
difficile, che dura tre mesi. In Romagna vengono accolti e ospitati per
solidarietà i figli degli scioperanti alla fame. Finisce con la capitolazione
della controparte padronale che firma nuovi patti.
8-12 giugno 1914 – I moti romagnoli della
Settimana Rossa si diffondono in particolare ad Alfonsine ed interessano, pur
marginalmente, anche il nostro territorio.
8-12 giugno 1914.
La folla davanti al Municipio di Alfonsine
annerito dalle fiamme
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21 aprile 1922 – Viene ucciso di botte a
Filo, da una squadraccia fascista, l’anziano Vincenzo Antonellini, 53 anni,
suocero del conduttore dell’osteria di Case Selvatiche definita un covo
socialista. Pochi mesi dopo (28 ottobre), di fronte alla Marcia su Roma, il
Re Vittorio Emanuele III mette l’Italia nelle mani di Mussolini; già dal 1921
però il paese «rosso» di Filo è oggetto di provocazioni e soprusi fascisti.
Non si contano le spedizioni punitive, le botte e le sparatorie che vedono la
popolazione terrorizzata da squadre che vengono dall’argentano e scorrazzano
impunemente per le strade. Vengono sciolte le cooperative, ma i filesi
rifiutano con fierezza l’adesione al sindacato fascista.
1930 – A Filo, dove a fare il
segretario del Fascio arriva l’argentano Dalla Fina, è attiva fin dal 1927
una cellula comunista che compie alcune azioni dimostrative. Il promotore è
il giovane Mario Babini, nativo di Giovecca, classe 1907, poi marito di
Rosina Natali. Alla fine di novembre del 1930 vengono arrestati, nel quadro
della retata dei “comunisti romagnoli”, ben 22 filesi, 11 dei quali il
29.4.1931 sono condannati dal Tribunale Speciale Fascista di Roma a pene
varianti da 1 a 6 anni con l’aggiunta di parecchi mesi di “vigilanza
speciale”. Molti di essi sono ancora minorenni. I condannati rimarranno nell’Elenco
dei Sovversivi per tutti gli anni del Regime. Tre di loro (Vandini Guerriero,
Matulli Giovanni, Babini Mario), nel 1944, in epoca repubblichina, finiranno
nella lista dei soggetti pericolosi da eliminare. E’ una ricca pagina di
storia locale che però va approfondita in altra sede[1].
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Il resoconto della spedizione punitiva che portò
alla morte tragica del filese Vincenzo
Antonellini
La sentenza del Tribunale Speciale di Roma.
(I ventidue giovani filesi sono contrassegnati con
l’asterisco)[2]
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10 giugno 1940 – L’Italia fascista, dopo aver
fomentato la Guerra di Spagna e scatenato quella d’Abissinia per dar seguito
alle sue roboanti pretese coloniali (1935-36), aderisce al “Patto d’Acciaio” ed
entra in guerra, nel secondo conflitto mondiale, a fianco della Germania.
25
luglio 1943: L’annuncio delle dimissioni di Mussolini. E’ la fine del Regime
fascista. Nel proclama di Badoglio si afferma che «la guerra continua»; si
teme per l’ordine pubblico, timore ripetuto nell’ appello agli italiani del
giorno successivo.
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25 luglio 1943 – Gli anglo-americani sono già
sbarcati in forze nella penisola. Di fronte all’ormai irreversibile rovescio
militare, il Re Vittorio Emanuele III destituisce Mussolini: finisce il
regime fascista e il Maresciallo Badoglio, nominato Capo del Governo del
Regno, dichiara che «la guerra continua» al fianco della Germania.
Il
proclama Badoglio dell'8 settembre 1943, discorso letto alle 19.42 dai
microfoni dell'EIAR:
«Il
governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta
contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare
ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al
generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.
La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro
le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni
luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra
provenienza».
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8 settembre 1943 – Badoglio firma l’armistizio
con le Forze Alleate Anglo-Americane, gli ordini sono confusi e l’esercito
italiano, dopo tre anni di combattimenti, si scioglie nell’arco di poche ore.
E’
il «Tutti a casa» che dà inizio alla Resistenza nella parte del territorio
subito occupato dai tedeschi. Il re si ritira a Brindisi, nomina il figlio
Umberto II «Luogotenente d’Italia» e questi, costituita la Brigata Cremona,
affianca gli Alleati nella Guerra contro la Germania.
I
tedeschi creano, nel territorio occupato, la Repubblica Sociale Italiana e vi
mettono a capo Mussolini, liberato dalla prigione di Campo Imperatore nel Gran
Sasso. Il fascismo diventa così repubblicano (per la storia: «repubblichino»),
e combatte a fianco della Germania contro il Regno d’Italia, contro il suo
Luogotenente, i suoi propositi democratici e i suoi alleati militari.
Il
fascismo repubblichino scatena, in sostanza, una guerra civile nell’Italia
occupata, contro gli altri italiani, contro coloro che si riconoscono nel nuovo
corso della Monarchia, nei valori di Libertà e Democrazia di cui sono portatori
i suoi nuovi alleati.
Gli
italiani che anelano al II° Risorgimento d’Italia, in particolare tanti soldati
tornati a casa l’8 settembre del ’43 e scampati alle retate tedesche, alimentano
le fila della Resistenza. Di lì in poi, questi italiani, saranno chiamati, e si
faranno chiamare, «Partigiani».
(2/5
– continua)
[1] Nel libro uscito
da poco, e dedicato alla figura di Bruno Natali, la vicenda degli arresti, del
processo e delle persecuzioni viene ampiamente ricostruita e dettagliata (E.Checcoli – D.Tromboni, Bruno Natali, una vita nel cuore del
Novecento, Ferrara, Tresogni, 2013, pp. 21-48). Purtroppo nell’elenco degli
arrestati viene tralasciato, per evidente omissione, Luciani Arnaldo e nel testo non sono evidenziati in grassetto
(pp.44-45), alla pari degli altri filesi, gli allora residenti in provincia di
Ravenna: Diani Luigi (Luigiòñ), Tebaldi Tancredo (E’ Moz)
e Toschi Giuseppe (Pipéñ), mio zio.
[2] Vedi A.Dal
Pont, A.Leonetti, P.Maiello, L.Zocchi, Aula IV, Roma, ANPPIA,
1961, pp. 184-185. Nel testo, alla sentenza n.23 del 28-4-1931, si riporta: «
Nel 1930 il “Comitato federale” romagnolo del Partito comunista dirige da
Faenza un’organizzazione che si articola in sette zone, ognuna delle quali
comprende numerose cellule. Attività principali: distribuzione di stampa, scritte
murali, esposizioni di bandiere rosse[…]».
Queste alcune notizie frammentarie
sui processati (raccolte con l’aiuto di
Vanni Geminiani e Carla Vandini): Babini
Mario, originario di Giovecca di Lugo, poi marito di Rosina Natali, abitò con
la famiglia di quest’ultima di fianco all’osteria Nuvoli; Matulli Giovanni (Gianêl)
abitava al Borgo S-ciapèta; Fabbri
Alfeo (Pipòñ), fratello del Ger e altri, abitava a Case Selvatiche, si
spostò poi alla Chiavica di legno; Diani
Luigi (Luigiòñ d Gabarèñ), papà
di Francesco (Chécco), abitava a Filo
di Alfonsine; Tebaldi Tancredo (e’ Moz d Mlarina), papà di Achille (Chilo)
abitava a Case Selvatiche sotto Alfonsine; Vandini
Guerriero (Ghéo), mio padre, abitava
nel centro di Filo; Tarozzi Irpio (Lido), padre di Franco, abitava di
fianco all’osteria Nuvoli; Natali Bruno
(dla China), padre di Arturo,
Luciano, Lelia e altri, abitava al Molino di Filo; Veduti Enzo (Panàma),
padre di Teresa, abitava nel centro di Filo; Tirapani Anteo (Teo d Pani),
abitava nella Cà Longa, grande amico
di mio padre Guerriero, emigrò nel dopoguerra a Marina di Ravenna; Toschi Giuseppe (Pipèñ d Capitëni), fratello di mia madre Elvira e papà della
maestra Rita Toschi, viveva Rossetta di Filo sotto Conselice, a metà degli anni
‘30 si spostò alla Campeggia - Pipèñ
è ancora vivente alla soglia dei 103 anni -;
Mondini Francesco, fratello
di Barös-c e quindi zio di Libero
Mondini (mio ex compagno di banco), abitava alla Campeggia (gli morì un bambino
sotto il carro del grano); Luciani
Arnaldo, Amaldo all'anagrafe, babbo del bidello Paolo e di Mario (marito di Elvira Diani), abitava
al Borgo Gallina; Banzi Guerriero, fratello di Pezöli (Quinto) e Ghinghèñ, zio quindi di Luisa e Delia, abitava nel centro di Filo; Bonora Guerrino, fratello di Nello il
parrucchiere, abitava a Case Selvatiche; Banzi
Tarcisio (Cecio), abitava nei
pressi della Bargunzóna, dietro ai Ravóñ (Venieri), sposò la Tavalaza; Battaglia Ivo, fratello di Bruno, Liliana e altri, abitava nei Vagóñ, poi emigrò a Milano; Veduti Adino (Spulvràz), marito della Noemia d
Farlì, abitava nel centro di Filo, poi disperso in Russia; Antonioli Mario, in seguito emigrato a
Lavezzola; Minghetti Emilio (Miglióri d Bigiôla), abitava nei pressi
dell’Ôca, padre di Mara; Martinelli Olao, fratello della bidella
Ines, abitava al Molino di Filo; Geminiani
Vito, fratello di Maria, Volpi e Pina di S. Biagio, era figlio del fratello
di Angelo, nonno di Vanni Geminiani.
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