giovedì 25 novembre 2021

Pietre filesi che ci guardano con stupore

 Le foto della decadenza del mio paese

di Agide Vandini

 

 Un paio di settimane fa ho pensato di scattare una decina di foto nel centro di Filo, l’amato paese ricco di storia, recente e passata. Con un misto di rincrescimento e dolore ho voluto ritrarre lo stato in cui versano spazi che un tempo davano lustro al paese, punti di aggregazione oggi dismessi, attorno ai quali si è raccolta per anni la vita degli abitanti.

Sono poche ma significative immagini che, viste in rapida rassegna, non mancheranno di toccare il cuore di chi ha i capelli bianchi ed è nato e vissuto in questo paese. Sono luoghi ed edifici in malinconico abbandono che oggi ci guardano stupiti, quasi increduli, di fronte al beffardo e triste destino, come ai tanti sforzi finiti nel nulla.

Nello svuotamento delle due frazioni di Filo, progressivamente spopolatesi a partire dagli anni Ottanta del ‘900 ed ora pressoché ridotte a dormitorio per anziani, è difficile dire quanto ci sia stato di ineluttabile, di cinica sorte toccata ai piccoli centri, e quanto invece la rapida decadenza sia dovuta a speranze mal riposte, a scelte sbagliate, talvolta improvvide o, semplicemente, insufficienti a fermare il corso della storia.

I soggetti ritratti ci raccontano quanto abbiamo perso, ma, in qualche modo, essi si ergono a testimoni dell’abnegazione di una comunità che si risollevò con orgoglio dalle distruzioni della guerra e che, da condizioni di estrema povertà, a poco a poco, seppe raccogliersi attorno ad un’idea di solidarietà e, attraverso di essa, dare una speranza, un’istruzione ed un dignitoso avvenire ai propri figli.

Alla base di tutto, come ricordano i più anziani, ci fu nel dopoguerra un grande spirito di sacrificio collettivo ed anche una giovane classe dirigente, dinamica, caparbia, volitiva, capace di ardite iniziative che diedero al paesello un largo e meritato prestigio.

Oggi questi spazi di aggregazione, di svago e di lavoro, un tempo orgoglio della collettività, sembrano ammonirci sulla precarietà di molti valori e di molti sogni, non sempre facili da mettere in fila.

Sotto sotto, la mestizia dei luoghi, le finestre e i portoni sprangati per sempre, vorrebbero però dirci altro. Ricordarci, ad esempio, che un villaggio, una comunità che voglia avere un futuro non può fondarsi soltanto sulla qualità e sulla funzionalità di servizi ed istituzioni, ma, prima ancora, sull’amore per il luogo natio trasmesso ai propri figli, su una vita quotidiana in sintonia col territorio, su una chiara identità culturale e, poi, su tanti sentimenti oggi finiti nel dimenticatoio: la voglia di vivere assieme, la forza dei valori di solidarietà, il piacere impagabile di condividere, coi propri paesani, sogni, progetti ed esperienze.

Chissà. Forse è proprio questa la strada in cui ci eravamo incamminati e che, travolti dall’onda del consumismo, dalle cocenti delusioni e dall' ”ognun per sé”, a poco a poco, abbiamo smarrito.

 


L’ex Asilo Parrocchiale abbandonato

 

L’ex Cinema e Teatro Tebaldi dismesso negli anni ‘70

 


Le rovine dell’ex campo polivalente realizzato negli anni ’70 (basket, pallavolo e pista di atletica - nel riquadro -)

 


La sede abbandonata della ex Coop Terra e Lavoro (poi confluita nella fallita Coop. Costruttori)

 

L’agenzia filese dell’ex Banca Popolare di Bagnacavallo e Fusignano, poi divenuta Cassa dei Risparmi di Forlì e della Romagna. L’istituto si è fuso di recente nel Gruppo bancario Intesa San Paolo che ne ha deciso la chiusura poche settimane fa

 


Le ex Scuole Medie soppresse negli anni ‘90

 

L’ex Caserma dei Carabinieri  abbandonata una decina di anni fa

 


L’ex Centro Tennis «Albano Buzzi» anni ’70 soppresso una ventina d’anni fa. I pioppi, i pali dell’illuminazione, la tribunetta non ci sono più, ma la terra rossa si intravvede ancora fra i fili d’erba.


La sede abbandonata della ex Coop Muratori di Filo (poi confluita nella fallita C.M.R.)

 

Il vecchio ottocentesco Palazzone, centro civico dell’anteguerra, primo cinema e teatro del paese, per molti anni luogo di attività cooperative, artigianali e commerciali oltre che formicaio di famiglie bracciantili ed operaie. L’imponente edificio da parecchi anni traccheggia abbandonato e transennato, nell’attesa del suo inesorabile crollo strutturale, senza credibili prospettive di recupero, né progetti di abbattimento.

E’ l’icona di un paese che fu.

 

lunedì 8 novembre 2021

Un nuovo romanzo storico dedicato alla Bassa Romagna…

 

E’ in libreria  «Il gradino di terra» di Agide Vandini

Beniamino Carlotti ne parla con l’autore

 


 Agide Vandini, amico di vecchia data, scrittore e ricercatore per passione, dopo la recente pubblicazione di tre avvincenti romanzi  seicenteschi,  ci propone in questi giorni un nuovo romanzo storico. E’ ambientato come i precedenti nel nostro territorio, tra il finire del Settecento ed i primi dell’Ottocento e la collocazione della vicenda romanzesca in un periodo di così grandi cambiamenti politico-sociali, appare di indubbio interesse storico e letterario.

Il Secolo dei Lumi, come ben sappiamo, vide l’emergere, un po’ in tutta Europa, di grandi Idee di Libertà ed Eguaglianza e culminò nella rivendicazione violenta di maggiore giustizia economico-sociale.

 Anche il territorio cispadano ed il suo contesto umano ne furono coinvolti, a seguito della calata dei francesi coi loro ideali giacobini  e rivoluzionari, che diede luogo a grandi illusioni ed anche a locali “Insorgenze” fino all’anacronistica “Restaurazione” ed ai successivi primi moti “Risorgimentali”.

 Questo breve amichevole colloquio con l’autore, è allora l’occasione per chiedergli come ha pensato di affrontare temi di questa portata, sia pure nell’ambito di vicende in parte romanzate (b.c.).

 

 

Agide, dopo la trilogia seicentesca, ora proponi ai lettori un nuovo romanzo collocato fra fine Settecento e primo Ottocento. Quali sono i punti in comune con gli altri tuoi lavori?



Si tratta, come per i tre precedenti, di un romanzo ambientato nel territorio della Bassa Romagna, un’area geografica che, verso il finire del Settecento, aveva subito grandi sconvolgimenti alla sua conformazione naturale: da regione dominata dalle paludi qual era nel ‘600, quasi due secoli dopo era divenuta una campagna in via di bonificazione. Oltre alla collocazione geografica, un altro punto in comune coi romanzi precedenti è certamente l’attenzione che ho voluto dedicare al mondo degli ultimi, alle tante speranze negate alle classi più deboli. Anche questa trama, inoltre, è autoconclusiva, con vicende che si chiudono al termine della narrazione, nel corso della quale mi sono permesso qualche vago cenno alle lontane vicende seicentesche.

 

Il «gradino di terra»: ci puoi dire a cosa si riferisce esattamente il titolo? 

 

Titolo e sottotitolo del romanzo indicano l’alto e imponente argine del Fiume Nuovo venuto a dominare la Bassa Romagna ravennate ed Estense, territorio al centro della mia narrazione. Grazie al «gradino di terra» sono emerse grandi estensioni coltivabili che danno vita a grandi speranze nel mondo contadino e bracciantile, figure legate mani e piedi alla terra, alla storica «gleba» da cui dipendono da secoli. Sono uomini e donne ai margini della storia, ancora incapaci di elevarsi da uno stato che, di fatto, permane di «semi-schiavitù». Le vicende del romanzo riguardano in particolare un paio di famiglie di bassa e modesta condizione che s’ imparentano fra loro in un rapporto sempre più stretto e solidale. I loro sogni e speranze devono fare i conti con un mondo rurale antiquato e retrivo, ove esse vivono le tante disillusioni del loro tempo. Sono i colpi di coda di un «ancien regime» che resiste all’affermarsi di grandi idee ed aspirazioni come l’Indipendenza e l’Unità degli Stati Italiani, nonché la sognata emancipazione della povera gente.

 

Quali sono gli eventi storici più importanti che fanno da sfondo al romanzo?

 

Oltre all’epopea degli «scariolanti» vissuta dai protagonisti, l’evento più importante negli anni a cavallo del secolo (1780-1821) è senza dubbio la calata dei francesi in Romagna con le tragiche conseguenze che travolgono la città di Lugo. Il «Sacco» subito dalla sua popolazione nel luglio del1796 viene rivissuto nelle pagine del romanzo. Nell’arco di un ventennio, poi, si assiste al susseguirsi incalzante di ribellioni e mutamenti politici. Sono eventi che, a poco a poco, deludono e mortificano molte speranze ed illusioni e, con esse, un patriottismo ai primi albori, ancora ben distante dalla classe degli umili e dei diseredati.

 

Nei tuoi romanzi della Trilogia Seicentesca c’è anche una componente avventurosa e la consistente presenza di pirati e briganti. E’ così anche stavolta?

 

Certo. L’ambiente in cui ci si muove ha cambiato aspetto, ma Il brigantaggio nel primo Ottocento è alquanto diffuso nella Bassa Romagna, fino a confondersi con un vago ribellismo antinapoleonico. Il maggiore bandito dell’epoca, l’imprendibile Michele Botti detto Falcone, è fra i maggiori protagonisti del romanzo. E’ un capobanda di cui si è sempre saputo relativamente poco, sicché ho potuto inserirlo senza difficoltà fra le mie vicende romanzesche. Ovviamente ho assai arricchito il personaggio, pur nel rispetto di ogni elemento basilare della scarsa biografia. Molti episodi briganteschi, peraltro, vissuti dai protagonisti, li ho tratti dalle cronache dell’epoca, a volte con qualche attribuzione fantasiosa, ma muovendomi nel solco della portata e delle peculiarità del fenomeno banditesco di quel periodo.

 

Dove possiamo trovare il tuo romanzo e come proseguirà la Trilogia Risorgimentale da te definita «Romagna Ardente»? Puoi darci qualche anticipazione?

 

Come per i precedenti, il romanzo è in autoedizione ed a tiratura limitata. Lo si potrà trovare nelle principali edicole e librerie dei dintorni, ossia di Argenta, Filo (presso Edicola Bellettini – distributore di benzina -), Longastrino e Alfonsine. In settimana sarà acquistabile in rete in un nuovo sito a cura di Giralibri di Argenta. Non appena disponibili fornirò tutti i link relativi ai miei romanzi sull’«Irôla». Nel giro di pochi mesi seguiranno gli altri due titoli facenti capo alla Trilogia, ognuno con una propria trama autoconclusiva, ossia: La spada tra le spine (1821-1830) e Ottocento Romagnolo (1831-1892).