domenica 14 ottobre 2012

Quando a Filo si pescavano gli storioni...


Com’era il territorio alle origini, prima degli sconvolgimenti di fine ‘700
di Agide Vandini


Vale forse la pena, in tempi in cui si discute molto di territorio e del suo ambiente naturale, ritornare su qualche pagina della nostra storia lontana, anzi lontanissima. Il territorio delle origini, come lo conobbero i primi abitanti di Filo e dei villaggi limitrofi sorti lungo il Grande Fiume, fu per molti secoli ben diverso da quello lasciatoci in eredità, non molti anni or sono, dai nostri nonni e bisnonni, dopo lo snaturamento iniziato con la drastica rettificazione fluviale, e continuato con le grandi ed estese bonifiche operate fra la fine del XVIII° e la metà del XX° secolo.

 Disegno Veneziano anno 1460
(particolare col territorio di Filo)
Le carte in proposito ci aiutano poco. Come ben sa chi si è occupato di storia locale, mappe circostanziate d’epoca antica relative al nostro territorio, non ce ne sono. La più datata che si conosca, peraltro assai sommaria, è di metà Quattrocento. Perciò, per avere su carta l’area  filese in epoca medievale, non si può che procedere ad una ricostruzione approssimativa, basata su documenti d’epoca ancora reperibili. Nel nostro caso specifico, ci son stati d’aiuto alcuni documenti conservati all’Archivio Arcivescovile di Ravenna, concessioni ecclesiastiche in lingua latina ove la chiesa di Filo è ripetutamente citata a partire dall’anno 1022.
Le note ed i riferimenti toponomastici contenuti in quelle concessioni, assieme ad altre utili informazioni attinte dagli Statuti Ravennati e dalla Descriptio Romandiolae del Cardinale Anglic dell’anno 1371, ci hanno permesso qualche anno fa la ricostruzione del territorio in epoca medievale, in sovrapposizione alla Carta del Ferrarese (1812-1814), mappa catastale assai precisa da cui quindi poter trarre le linee essenziali dello scenario antico.

 A.Vandini: Ricostruzione del territorio filese in epoca basso-medievale (XIII-XIV secolo)
1:Hostaria di Lapaccio; 2: Hospitale S.Giovanni B. in Lombardia;3: Convento dei Dossi; 4: Chiesa di S.Maria in Filo
(tratta da A.VANDINI, Filo la nostra terra, Faenza, Edit, 2004, p.43)

Oltre al  documento dell’anno 1022, che riprenderemo, gli scritti ravennati rivelatisi più preziosi ai nostri fini sono quelli del 1207 e 1252. In essi troviamo dettagliatamente descritti i confini, i punti cardine e le risorse del territorio della chiesa (allora di Santa Maria) di Filo.
La traduzione completa, riportata più oltre, ci permette di percepire il tipo di economia da cui traeva sostentamento a quel tempo la popolazione insediata lungo la lingua di terra a ridosso del Grande Fiume, da San Biagio al mare, la terra all’epoca chiamata Riviera di Filo (Riperia Fili) o anche, più genericamente, Riviera del Po (Riperia Padi).
Dalla mappa ricostruita, e dalla lettura delle concessioni, si può innanzi tutto notare come il territorio della chiesa di S. Maria in Filo [posta nel luogo che a metà del XIV sec. fu detto Filus Vetus (Filvecchio), e dalla seconda metà del XVI° sec. ai giorni nostri «Molino di Filo»] non sia il medesimo nei due documenti.
Nel primo infatti (anno 1207) il confine della parrocchia verso ovest giunge fino a Case Selvatiche, ovvero al letto del Ruptulum, fossa fra il Po e le Valli Brancole è [oggi ne è traccia parziale la Via Porto Vallone fino alla Palazzola, all’incrocio con Via Tamerischi] e comprende quindi anche le pertinenze dell’Hospitale di S.Giovanni.
Nel secondo invece (anno 1252) il territorio risulta accorciato in direzione ovest e ciò pare indicare l’accresciuta importanza, nonché una raggiunta autonomia parrocchiale, di quella parte di Filo all’epoca chiamata Villa Lombardia, villaggio citato anche nella Descriptio Romandiolae dell’anno 1371. Il confine lungo il fiume viene infatti fissato, a metà del Duecento, alla Tomba del Barbiere (Tumba Figari), aia di deposito del sale situata davanti a due salici affiancati, punto che potremmo collocare in prossimità del vecchio cinema Tebaldi, di fronte alla attuale Via Rondelli.
Queste Tumbae, [si veda nel testo del 1252 il cenno ad altra aia del sale costruita - forse in zona Dossi - dagli abitanti di Villa Lombardia], così come le «Arre», ovvero i luoghi ove si accumulavano i depositi di sale di forma piramidale, sono quindi inequivocabili testimonianze di una produzione salina di notevole importanza, a ovest della linea del Mantello (un argine che fungerà per un certo periodo da diaframma e delimiterà le acque salse), e a ridosso di una via d’acqua considerata la dorsale dei trasporti fluviali verso il nord della penisola, in  una posizione ideale quindi per lo smercio ed il trasporto di quel che, all’epoca era definito «l’oro bianco».

Anno 1207
Egidio Arcivescovo di Ravenna conferma ai Cardinali il Dormitorio, Refettorio, Calustro & C. e varie Pievi e Terre (An. 1207 Febr. 9) (M.Fantuzzi, Monumenti ravennati de’ secoli di mezzo, Venezia, 1801-1804, t. II, pp. 176-177):


 [...] Confirmatus etiam vobis uti superius legitur,  idest Ecclesiam S. Marie costitutam in loco qui vocatur Filus, cum decimis, & primitiis suis, & omni oblatione sua vivorum, & mortorum & cum omni sua possessione, que possessio ita circumdatur. Ruptulus Johannis Regis, & fossa de Cogolaria, & Seda de Paulo, & Canale de Morticio, & Rupta Vetus, & Padus percurrens, cum servis, vineis, pratis, pascuis, campis, silvis, aquis, paludibus, piscationibus, venationibus, aucupationibus, atque cum omnibus sibi pertinentibus & confirmamus atque corroboramus, ut superius legitur in alios pisces, prout Deus dare voluerit ex utraque ripa Padi, in quantum vestra possessio extenditur per terram. [...]


Confermiamo inoltre a voi sopramenzionati la stessa chiesa di Santa Maria posta nel luogo che è chiamato Filo, con le sue decime e primizie, e tutte le offerte dei suoi vivi e morti e con tutti i beni i cui possedimenti sono così circondati: Il Ruptulus di San Giovanni, e la Fossa Cogolaria, e la Bachicoltura di Paolo, e il Canale del Morticium, e la Rotta Vecchia, e il corso del Po, con servi, vigne, prati, pascoli, campi, boschi, acque, paludi, pescagioni, cacciagioni (ad uccelli ed altri animali) con tutte le loro pertinenze e confermiamo e rafforziamo ai sopramenzionati i pesci che Dio ha voluto dare ad entrambe le rive del Po, per tutta l’estensione dei vostri possedimenti di terra.
 

Anno 1252
«Donazione dell'Arcivescovo Filippo Fontana ai Canonici Cardinali di più cose […]An. 1252. Aug. 15
(M.Fantuzzi, op.cit., t. V, pp. 333-334 )


 [...] Item damus, concedimus .& donamus vobis predictis Fratribus nostris sicut superius legitur in perpetuum Ecclesiam Sancte Marie positam in loco q. vocatur filum cum decimis primitüs & omni oblatione sua vivorum & mortuorum & cum omni sua parochia & possessione que possessio istis lateribus circundatur pado fluente, tumba figari q. est in via supra padum ex parte superiori ubi sunt duo salices eundo versus valles p. unum miliarium & in capite miliari debet ee tumba fatta p. Lombardos iuxta Cardinal. & de Guez. & a tumba illa debent dicti Guezii venire super possessiones Cardinal. versus Santam Mariam de Filo viginti perticas & in capite viginti perticarum incedendo in Canale qd vadit in fossam cogolariam & a fossa Cogolaria descendendo in fossa de Puteo & in canale de mortitio redeundo ad menatam sive canalem rosoli descendendo ad canale de trabibus qd noviter appellatum est canale corbani confinando usque ad menatam longastrini revertendo recte per ruptam factam per Ferrarien. inter Cardinales & confines fosse putde usque in padum ptum ex inferiori parte; & cum terris vineis pratis pascuis silvis campis arbustis arboribus aquis paludibus piscacionibus venationib. acupacionibus, atque cum omnibus s. pertinentibus. Insuper concedimus & donamus vobis sic. super. legitur in perpetuum jus piscandi in suprascripto pado ad capiendum Sturiones & alios pisces put Dominus dare voluerit, ex utraque ripa isti padi in quantum vestra posso extenditur per terram [...]».

[...] Inoltre diamo, a voi predetti Fratelli nostri sopramenzionati, e concediamo in perpetuo la chiesa di Santa Maria posta nel luogo chiamato Filo, con le decime, le primizie ed ogni offerta dei suoi vivi e morti e con tutta la sua parrocchia e beni i cui possedimenti sono circondati ai lati: dal Po fluente, dalla Tomba[1] del Barbiere[2] che sta presso la strada sopra il Po dalla parte superiore ove sono due salici, e di lì andando verso le valli per un miglio[3]; ed in capo a detto miglio deve esserci la Tomba fatta dai Lombardi nei terreni appartenenti ai Cardinali ed ai Guezi[4] e da questa Tomba devono detti Guezi venire sopra i possedimenti dei Cardinali verso Santa Maria di Filo per venti pertiche lungo il canale che si immette nella Fossa Cogolaria; e dalla Fossa Cogolaria discendendo nella Fossa di Puteo e nel Canale Morticium indi ritornando verso la Menata o Canale di Rosolo, discendendo al Canale della Trava che ultimamente è stato chiamato Canale Corbani, proseguendo lungo il confine fino alla Menata di Longastrino per poi ritornare in linea retta per la Rotta fatta dai Ferraresi fra i terreni dei Cardinali ed i confini di Fossa Putrida fino al punto [di partenza] del Po dalla parte inferiore; con le terre, vigne, prati,  pascoli, boschi, campi, arbusti, alberi, acque, paludi, pescagioni, cacciagioni (ad uccelli ed altri animali) con tutte le loro pertinenze. Inoltre diamo a Voi, sopramenzionati e concediamo in perpetuo il diritto di pesca nel sopradetto Po per tutti gli Storioni ed altri pesci che si prenderanno e che il Signore ha voluto dare, ad ambo le rive di detto Po per tutta l’estensione dei vostri possedimenti di terra. [...]


In secondo luogo va opportunamente sottolineato, nella prima delle due pergamene, l’accenno alla Seda de Paulo, ovvero ai terreni da questi destinati presumibilmente alla bachicoltura, e quindi alla seta, attività già praticata nella penisola fin dal secolo XI, e dunque già presente nella Riviera nei pochi campi disponibili.
Scorrendo i due documenti, assieme a queste attività di rilievo (sale e bachi da seta) in grado di beneficiare della posizione strategica della Riviera, emerge un quadro assai composito di attività economiche, uno scenario che va opportunamente spiegato e contestualizzato.
***
E’ bene dunque rifarsi al documento più antico, alla pergamena dell’anno 1022.
Come già ho avuto occasione di ricordare altrove[5] la navigabilità lungo il Primaro, vitale agli interessi del territorio, divenne più precaria dopo la rotta di Ficarolo (XII secolo), allorché buona parte delle acque padane s’inalveò a levante, in un nuovo letto dal nome di Po Grande, o Po di Venezia e ciò non poté che far emergere nuove terre nelle adiacenze del fiume.
Ancor prima, a partire dall’XI° secolo, il miglioramento climatico aveva determinato una rilevante crescita demografica e di qui scaturì la necessità di colonizzare le terre incolte per sostentare un numero di persone maggiore rispetto all’epoca precedente. Se, fino ad allora le terre coltivate erano state solo le migliori, ossia le più alte e riparate da eventuali alluvioni, a cavallo del millennio divenne indispensabile la messa a coltura di ogni superficie coltivabile che l’uomo fosse in grado di strappare alla palude, mettendo mano ad opere, talvolta complesse e fragili, di scolo dei terreni o di arginatura dei corsi d’acqua.
La cosiddetta Riviera del Po o Riviera di Filo, era allora una stretta lingua di terra emersa accanto all’antico raddrizzamento fluviale, una serie di dossi e barene schierati fra il fiume e ampi specchi d’acqua, a destra ed a sinistra quindi dell’alveo del Po di Primaro [prima dell’VIII secolo Vatrenus o Padorenus], specchi d’acqua dolce oltre la riva meridionale, bacini più o meno salati volgendo  lo sguardo verso settentrione.
In questo angolo di mondo, da parte dei «rivaroli» la conquista della terra a scapito delle paludi era iniziata ancor prima secolo XI, fin dal primo insediarsi dell’uomo in questi spazi sterminati dominati dalle acque. La tracciatura del cosiddetto “Drizzagno di Filo”, fra Caput de Arre (poi Bastia di San Biagio) e la Menata Longastrini[6] aveva permesso nell’Alto Medioevo la coltivazione di qualche palmo di terreno in più sia pure in un ambiente naturale in continuo cambiamento. Per effetto delle esondazioni le acque fluviali portavano o sottraevano ogni giorno nuova terra determinando di continuo l’espansione delle valli nelle depressioni, e creando viceversa nuovi campi per l’attività agricola laddove le acque apportavano torbide.
Fu in questo contesto di continua conquista e bonificazione di nuove terre che, nel remoto 25 settembre dell’anno 1022, venne stipulato fra la Chiesa ravennate ed una dozzina di coloni dai cognomi squillanti, tali Bargunzo, Scannavite, Troncamorso e altri, nomignoli coloriti che paiono provenire dalla ribalderia brigantesca o filibustiera, un lungo e complesso contratto di livello. Esso aveva per oggetto le terre conquistabili e bonificabili, di qua e di là dal fiume, che andavano dalle adiacenze della chiesa di S.Maria in Filo Vecchio (oggi Molino di Filo) fino a Caput de Arre.
Di quella mappa possediamo l’immagine che qui ripropongo con annessa trascrizione e traduzione:
 
HERIBERTUS SERVUS SERVORU(M) D(E)I DIVINA GR(ACI)A ARCHIEP(ISCOPU)S,  uti nob(is) Vitale q(ui) v(ocatur) Bergunzo, Petro de Mortizo, Bonaldo Scannavite, Petro de Albare, Petro Gatto, Petro Troncamorso, Dominico Scannavite, Ravenno  de Hugo, Martino cognato suo, Ioh(anne)s de Gisa, Gualterio, Bonizo Samanna, Martino Sedazario, nos om(ne)s seu filiis n(ost)ris, libell(ario) nom(ine) concedistis nob(is) rem iuris s(an)c(t)e v(est)re Rav (ennatis ) eccl(esie), idest una longaria terre iuxta Patorenu(m), cu(m) padule sua iusta se, quod extenditur da caput de Arre usq(ue) estimatu(m) miliariu(m) unu(m) longe ab eccl(esi)a S(an)c(t)e Marie q(ui) d(icitu)r in Filu(m), que(m) ad n(ost)ris reservamus manib(us) et da Patorenu(m) usq(ue) ad corio de Aserbale. Et insuper concedistis nob(is) ex alia parte Patorenu(m) da Cursiulo usq(ue) estimatu(m) miliariu(m) unu(m) longe ad ia(m)dicta eccl(esi)a S(an)c(t)e Marie in Filu(m) usq(ue) in padule dom(nica) quanta(m) laborare potuerim(us). Q(ue) s(uprascrip)ta res iuris s(an)c(t)e v(est)re Rav(ennatis) eccl(esie) constit(uto) territ(orio) Argente, plebe S(an)c(t)i Georgii, v(e)l si iuste petim(us) et ab aliis minime detinentur, abend(um), tenend(um), stirpand(um), cultand(um), pastinand(um), p(ro)paginand(um), ateguo et canal(e) ibid(em) fatjend(um), vos ipsi sup(er)sedend(um), defensand(um), et in om(n)ib(us) meliorand(um), in annis advenientib(us) viginti et nov(em) ad renovand(um), salva sanatjone dom(nica) dand(um), qualiter obtinere potuerimus dom(inacioni) s(an)c(t)e v(est)re Rav(ennatis) eccl(esie) ex die kalendaru(m) septembriu(m). In n(omine) Patris et Filii et Sp(iritu)s S(an)c(t)i. Anno D(e)o propitjo pontificat(us) dom(ni) Benedicti su(m)mi pontifitjs et huniversal(is) pape in ap(osto)l(i)ca sacratiss(ima) beati Petri sed(e) detjmo, sitq(ue) imp(e)r(ante) dom(no) Henrico mangno imp(e)r(atore) in Italia anno nono, die vigesimo q(ui)nto mense september, ind(icione) sexta, Rav(enne). Ita sane ut inferam(us) dom(nice) ratjonib(us) vob(is) v(est)risq(ue) successorib(us) singul(is) q(ui)b(us)q(ue) anni, hoc est terratico de om(n)i labore maiore in ca(m)po cappa(m) q(ui)nta(m) traend(am) p(er) nos ad area et trituland(am), minuto modio sexto, vino amfora(m) tertja(m), arbore pecto ponentem semel postea sit nob(is) coloni cesso. Exenio vero per hunoquoq(ue) anno dare debeam(us) de grano quartariu(m) unu(m), pullo uno, lino madera, huna(m) p(er) unu(m)lque(m)q(ue) petitore. Et abeam(us) licentja(m) adtollere casal(e) singul(o), secund(um) consuetudinem ipsiu(s) lotjs et roncu(m) que(m) roncaverim(us) et vinea(m) q(ue) inibi pastenaverim(us) usq(ue) sex annos fruere debeam(us) nichil in dom(nico) reddere debeam(us), postea reddere debeam(us) sic(ut) sup(erius) l(egitur). Deductu(m) totu(m) terraticu(m) dom(nico) in (i)nt(egro) cu(m) ipso exenio p(er) nos colonis usq(ue) ubi navis dom(nica) potueri p(er)venire. Actorem silicet s(an)c(t)e v(est)re Rav(ennatis) eccl(esie ) et villicu(m) seu et ministerial(e) sussipere debeam(us) et susseptjone(m) eis facere cu(m) onore et obedientja. Et non abeam(us) licentja(m) unc libell(um) aut s(uprascrip)tas alicui homini dare v(e)l vendere seu transferre aut in alio ven(erabili) loco relinq(ue)re audelam(us) p(er) nullu(m) ingeniu(m) v(e)l argumentum. Si q(ui)s vero pars n(ost)ri contra hunc libell(um) ire temtave[rimus] ante prefinitu(m) tempus p(er)solvere debeam(us) parti s(an)c(t)e v(est)re Rav(ennatis) eccl(esie), ante om(n)e litjs i[ni]tju(m) aut interpell(acionem), pene nom(ine) auri unc(ias) duas et post pene sol(ucionem) man(ente) ic libell(um) in sua [firmitate]. Quos vero libell(os) uno tinore conscripto Honesto not(arium) s(an)c(t)e v(est)re [Ravennatis] eccl(esie) scribend(um) rogavim(us), sub die, mense et ind(icione) s(uprascrip)ta sexta, Rav(enne).+ + + + + +.
***
(Documento n.75-Raccolta di Don Ruggero Benecetti: « Livello, 1022 settembre 25, Ravenna. Vitale Bergunzo ed altri coloni chiedono a livello all'arcivescovo Eriberto terra e palude nel territorio di Argenta, pieve di San Giorgio. Originale, G 2906 [A]. Reg.: Fantuzzi, I,391, n. 45. Pergamena di mm 250 x 567, leggermente erosa al bordo superiore ed inferiore. Rogatario il notaio Onesto (1001-1028), Buzzi, 45. Manca l'escatocollo. Al posto sei rozzi segni di croce forse autografi. Nel recto, in corsiva del secolo XVIII: "1022 7ber 25". Nel dorso, del secolo XII: "T(erri)t(orio) Argente, de una lu(n)garia t(er)re". Cf. Buzzi, 45, 157, 176
 HERIBERTO SERVO DEI SERVI DI DIO PER DIVINA GRAZIA ARCIVESCOVO, davanti a noi Vitale chiamato Bergunzo, Petro de Mortizo, Bonaldo Scannavite, Petro de Albare, Petro Gatto, Petro Troncamorso, Dominico Scannavite, Ravenno de Hugo, Martino cognato suo, Iohannes de Gisa, Gualterio, Bonizo Samanna, Martino Sedazario, a noi tutti, oppure ai figli nostri, concedeste a livello beni di diritto della vostra santa Chiesa ravennate, cioè una striscia di terra vicino al Patorenum [Po di Primaro], con la sua padula [golena, palude], che si estende da Caput de Arre [San Biagio] fino a circa un miglio di distanza dalla chiesa di Santa Maria che è detta in Filo, che riserviamo alle nostre mani dal Patorenum fino al corio di Aserbale. E oltre a ciò concedeste a noi dall’altra parte del Patorenum da Cursiulo fino all’incirca ad un miglio di distanza dalla già detta chiesa di Santa Maria in Filo fino alla padula dominicale quanta ne potevamo lavorare. I soprascritti beni di diritto della vostra Chiesa ravennate appartengono al territorio di Argenta, pieve di San Giorgio, che con buon diritto chiediamo e d’altronde in nessun modo sono occupati, per averli, tenerli, estirparli, coltivarli, pastinarli[7], propagginarli [bonificarli?], facendo nel medesimo luogo un canale, abitandovi, difendendolo e migliorandolo in tutto, per i prossimi ventinove anni e con possibilità di rinnovo, salvo risanamento da dare al signore, nel modo che potremo ottenere dalla signoria della vostra santa Chiesa ravennate.
Dato il giorno delle calende di settembre. In nome del Padre e dello Spirito Santo. Anno a Dio propizio del signore Benedetto sommo pontefice e padre universale, nella sacra sede apostolica del beato Pietro anno decimo, regnando il signore Henrico magno imperatore in Italia anno nono, il giorno venticinque del mese di settembre, indizione sesta, Ravenna.
In questo modo certamente poniamo sotto le vostre ragioni e dei vostri singoli successori e per i detti anni il terratico di ogni lavoro maggiore di campagna traendone per noi cinque cappe[8] nell’aia da trebbiare, sei piccoli moggi, tre anfore di vino, un albero sfrondato portato fino a noi dal colono per una sola volta. Ogni anno dobbiamo dare un quartario di grano, un pollo, un panno di lino imbevuto per ogni richiedente. Ed abbiamo licenza di prendere singole case secondo la consuetudine del luogo e campi che ripuliremo, vigne che impianteremo fino ad usufruire per  sei anni dei beni che rendere dobbiamo poi al signore e restituire come sopra si legge. Dedotto tutto il terratico dominicale fin dove la nave dominica possa giungere [fino cioè agli imbarchi o pontili sul Po]. Esecutori naturalmente la vostra santa chiesa ravennate ossia il fattore e l’amministratore che dobbiamo incaricare ed il suo incarico egli porterà a termine con onore ed obbedienza. E non abbiano licenza né livello infine tali soprascritti uomini a concedere, vendere, ovvero a trasferire in altro rispettabile luogo poiché non intendiamo permetterlo per alcuna ragione. Se veramente la controparte di questo livello tentasse di andarsene prima di un tempo predefinito il contratto s’intenderà risolto da parte della vostra santa chiesa ravennate e prima di dare inizio a qualsiasi lite o interpellanza, si applicherà una penale di due once d’oro e poi verrà cercata una soluzione rimanendo questo livello nella sua validità. Questo livello viene trascritto nel suo vero tenore da Honesto, notaio di vostra santa chiesa ravennate, scrivendolo e rogandolo, nel giorno, mese e nella sopradetta indizione sesta, a Ravenna.

Il documento, oltre a testimoniare dell’esistenza della chiesa di S.Maria e del luogo chiamato Filo, già agli albori del secondo millennio, documenta con chiarezza i rapporti in uso nel Medioevo fra contadini e proprietari terrieri e ci consente alcune annotazioni fondamentali:

1. La collocazione geografica della striscia (longaria)  di terra lungo il Po di Primaro (qui chiamato Patorenum riprendendo forse la denominazione più antica del tratto di fiume) da San Biagio (Caput de Arre) a circa un miglio dal Molino di Filo (usq[ue] estimatu[m] miliariu[m] unu[m] longe ab eccl[esi]a S[an]c[t]e Marie q[ui] d[icitu]r in Filu[m]). Ne è ancora traccia evidente il toponimo «Bergunzona», podere ad un miglio dal Borgo Molino, oggi dei Ravóñ (Venieri), appartenuto nel secolo XI a Vitale Bergunzo e, a quasi un millennio di distanza, ancora definito in catasto col cognome del suo primo colono.

2. L’esistenza di terra coltivabile anche al lato destro del fiume; i coloni ottengono infatti concessioni anche nella alia parte Patorenu[m] da Cursiulo [dintorni di Rossetta di Filo] usq[ue] estimatu[m] miliariu[m] unu[m] longe ad ia[m] dicta eccl[esi]a S[an]c[t]e Marie in Filu[m] usq[ue] in padule dom[nica] quanta[m] laborare potuerim[us]. Nel disegno veneziano del 1460 notiamo come, oltre quattro secoli dopo, in quella striscia di terra, oggi Filo di Alfonsine, fossero state costruite parecchie case contadine.

3. I campi concessi a «livello» risultano fino ad allora incolti (et ab aliis minime detinentur) e quindi consistono in terreno paludoso recentemente emerso per effetto delle torbide fluviali. Per l’opera di bonifica di queste terre si indica necessario un canale di scolo che i coloni si impegnano a scavare (ateguo et canal[e] ibid[em] fatjend[um]. Il canale diventerà poi, con ogni probabilità, quel «canale dei Ravennati» che, in età Moderna, prese il nome di «Canale di Filo» o «Canale del Molino».
Se la coltivazione dei campi faticosamente strappati alle paludi, dovette svilupparsi a cavallo del primo millennio, la popolazione che via via ebbe ad insediarsi in questa riviera poté altrettanto contare, su risorse complementari, sulle attività tipiche delle zone umide, ossia in primo luogo la caccia e la pesca. Ad esse si affiancavano altre antiche e preziose risorse vallive quali l’estrazione del sale, che si formava naturalmente lungo il bagnasciuga delle valli, e lo sfruttamento di canneti ed erbe palustri.
La canna, oltre a costituire l’elemento base per la costruzione delle abitazioni più povere, veniva utilizzata nel rinforzo delle arginature e nelle tante applicazioni che l’ingegnosità dell’uomo ha saputo escogitare nel corso dei secoli. Le poche costruzioni in pietra, come si può ben immaginare, erano riservate agli edifici religiosi ed alle case patrizie, alle quali s’affiancarono nel tempo le più importanti case contadine ed i loro annessi cascinali, ove si stoccavano granaglie e foraggio per gli animali da tiro.
L’umile e semplice «vallarolo» che campava principalmente di ciò che gli dava la palude, e come lui il «servo della gleba» che lo affiancava sull’ultimo gradino della scala sociale, vivevano a quei tempi in semplici ripari di canna, in poche spanne di terreno all’asciutto, nelle cui adiacenze, per il sostentamento della famiglia, si seminavano dò chincôl (due solchi) nell’orto e si allevava qualche animale da cortile.
Si può dire perciò che molta parte dei filesi in quei secoli di Medioevo vivesse in semplici capanne, quasi sempre a ridosso di flumina, canalis, fossae, menatae, corsi d’acqua che, tramite modeste imbarcazioni spinte dal «paradello», erano l’usuale via di comunicazione col villaggio e la palude.
Il mondo rurale dunque, in quei secoli oscuri, era gravato da pesanti fatiche quotidiane, aiutato però da una industriosità crescente e da una manualità che, dai lavori propriamente agricoli o vallivi, si estendeva, in particolare nei mesi morti dell’inverno, alle attività complementari. In queste veniva coinvolta senza pause l’intera famiglia patriarcale: lavori di cesteria, filatura, approntamento di attrezzi di lavoro ecc.
Lo spaccato della vita e delle attività della Riviera in età medievale ci appare insomma assai nitidamente dalle pergamene ravennati ed in particolare dai testi qui riportati e tradotti. Vigne, prati, pascoli, campi, boschi, acque, paludi, luoghi di pesca, luoghi di caccia agli uccelli, luoghi di caccia ad animali di terra e anche la coltura dei bachi da seta, la produzione ed il commercio del sale. Curiosa e poco conosciuta la risorsa, ribadita e sottolineata in entrambe le pergamene, data dai pesci e soprattutto dagli storioni di cui erano evidentemente generose all’epoca le copiose acque del nostro Po.







Uno storione catturato di recente da Gabriele Andreghetti, non nuovo a certe imprese (si veda in questo blog 05.02.10 - Una carpa da brividi - A j ò tiràt sò una göba da incurnišê…: http://filese.blogspot.it/2010/02/una-carpa-da-brividi.html  L’esemplare del peso di 18 chili e mezzo, è stato catturato il 20 maggio 2012 al Lago dei Ciliegi in Vignola (MO), con una canna Hulk forza 8, bava 0,60. Esca utilizzata: scorza affumicata.


Sopra: la struttura delle saline di Cervia in una pubblicazione settecentesca (Cliccare sull’immagine per ingrandire).
Sotto: un ingrandimento parziale della stessa immagine da cui si nota meglio la conformazione piramidale della Tomba.


Altri aspetti interessanti si colgono dagli Statuti del comune di Ravenna, cui il territorio di Filo nella sua interezza, di qua e di là dal Primaro (o Po Vecchio), è appartenuto per gran parte della sua storia. Queste leggi comunali imponevano proprio agli homines totius riverie ultra padum [uomini di tutta la Riviera a nord del Po] una serie di obblighi in ordine alla manutenzione delle rive, degli attracchi, degli approdi rivieraschi, tali da implicare l’irrinunciabilità della navigazione fluviale, dei traffici che vi dipendevano. Norme che sottolineano quindi l’importanza rivestita dal territorio rivierasco per tutta la regione basso - romagnola.
La navigazione, non poteva che avvalersi, per il grande naviglio, della trazione animale lungo le strade di alaggio  a fianco del fiume, un servizio assai diffuso fino alla prima metà del XIX secolo. Nei tratti caratterizzati da corrente contraria, oppure da percorsi angusti, le chiatte erano guidate e trainate con alzaie collegate ad animali da tiro che, condotti dagli alatori [addetti al traino dei natanti o alla conduzione degli animali] che agivano sulle rive del fiume. Già ai tempi dell'antica Roma la via helciaria, ovvero una strada pavimentata, costeggiava i fiumi e consentiva l’agevole svolgimento dell'alaggio, sia con traino umano che animale[9]. Queste strade di alaggio si notano, a Filo, nello scenario antico lungo tutto l’alveo di Po Vecchio [la «Via di Sopra»].

Traino da una strada di alaggio
Vediamo gli altri obblighi che i primi Statuti comunali del Duecento prevedevano per i nostri «rivaroli»:

Al Capitolo XV (Elezione del Podestà degli uomini di oltre Po) veniva stabilito che:

[...] ed è tenuto il Podestà  a chiamare tutti gli uomini di oltre Po a lavorare agli argini da farsi per la difesa dei paesi oltre Po  in quanto che, di buon grado o no, i paesi sono tenuti a lavorare entro il loro territorio ed al loro lato, e di ciò il podestà di Ravenna chiama a rispondere i podestà di oltre Po nell’essere inflessibili per il maggior vantaggio dei paesi predetti, in quanto che la villa di San Biagio di Po è inclusa ed intesa nel predetto lato; e qua il capitolo sia preciso.

Al Capitolo XXII (Cosa il podestà è tenuto a far sistemare nell’approdo rivierasco dagli uomini della stessa riviera) si aggiungeva:

Quindi decretiamo e vogliamo ci si attenga, che il podestà sia tenuto ad obbligare al servizio, ed a far obbligare, gli uomini di tutta la riviera oltre Po a far sradicare e sgomberare e tagliare e svellere frasche ed alberi che impediscono l’approdo da Sant’Alberto fino al termine del drizzagno di Filo in modo che le navi possano utilmente senza impedimento bordeggiare ed approdare e ciò si faccia rigorosamente per tutto il prossimo mese di agosto del suo incarico e lo stesso approdo oltre Po deve essere tenuto ben rimondato dagli uomini di detta riviera.

Nel trecentesco Statuto Ravennate di Ostasio Da Polenta, le norme previdero altri pesanti obblighi in caso di piena e di rotte del Po :

E se qualche volta, che Dio ne scampi, dovesse crescere il fiume Po, così che gli uomini temessero danni, gli uomini della Riviera siano chiamati a lavorare per fare argini e migliorarli annualmente, così che ciascuno realizzi davanti ai suoi casamenti e davanti ai suoi poderi l'intervento necessario, dovunque provenga: tanto dalla città, che dalla Riviera o da altri posti, senza privilegio di immunità a nessuno. E se dovessero verificarsi delle rotte in Po, che Dio ne scampi, allora gli stessi due podestà devono costringere gli uomini della Riviera a chiudere e a bloccare le rotte[…]

Da questi Statuti Ravennati e dalle loro norme specifiche per la Riperia Padi, apprendiamo anche di una concreta attività di allevamento del bestiame presente in Riviera, ove è già praticata piuttosto comunemente la soccida (Statuti del Duecento, Cap. XXIII).
Altra risorsa, infine,  di una certa importanza strategica, di cui disponeva il territorio della Riviera di Filo era il legname dei suoi boschi e golene. Lo si evince dalla severità con cui se ne impediva la fuoruscita dal territorio di Ravenna [Cap. CLXXXX, Statuti del Duecento]. Con una norma aggiunta si permetteva il rifornimento agli argentani, facenti capo ad altro Comitatum, per opportuna intercessione dell’Arcivescovo [Cap. CCCXLII].
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Il tuffo nel nostro ambiente naturale di epoca medievale, conservatosi fino all’età Moderna, termina qui. Il territorio, a partire dal primo Quattrocento, subirà in seguito modifiche politiche (la riva sinistra ceduta al Ducato di Ferrara) e morfologiche (l’interrimento del fiume e la perdita della sua navigabilità) che ne segneranno la graduale decadenza; avrà comunque nuove attività economiche come le Risare e il Molino del Marchese Cornelio Bentivoglio, finché fu presa la decisione, caduto l’Estense, di procedere alla sistemazione delle acque ed alla bonifica più ampia possibile delle terre che oggi sono la dote lasciataci dai nostri avi.
Questa però è ormai storia dell’altro ieri. Per un compendio completo di storia del territorio non posso che rimandare al mio corposo testo, Filo la nostra terra, del 2004, dove sono riportati in Appendice e per intero, gli articoli degli Statuti Ravennati che ci riguardano, opportunamente tradotti dal latino. Per comodità dei lettori interessati elenco comunque qui gli articoli più rilevanti, e su temi analoghi, già presenti in questo blog. A fianco il link per l’accesso diretto:

13.11.07 - A sen di Rumagnul… - Il punto sul controverso Confine Nord della Romagna: http://filese.blogspot.it/2007/11/sen-di-rumagnul.html ; 07.04.08 - «Romagna», «Romagnola» e confine settentrionale - Appunti sull’area culturale romagnola: http://filese.blogspot.it/2008/04/romagna-romagnola-e-confine.html ; 08.01.09 - L’antico Hospitale di San Giovanni a Filo - Monografia sulla sua storia e triste fine: http://filese.blogspot.it/2009/01/lantico-hospitale-di-san-giovanni-in.html *; 15.04.09 - Accadeva 160 anni fa - Il 30 aprile 1849 il Comune di Filo aderiva alla Rep. Romana: http://filese.blogspot.it/2009/04/accadeva-160-anni-fa.html; 02.07.10 - Perché Filo è diviso in due? : http://filese.blogspot.it/2010/07/perche-filo-e-diviso-in-due.html; 17.04.10 - Il ministro Rossoni a Filo nel 1938 - 12 Foto inedite dal filmato «Luce»: http://filese.blogspot.it/2010/04/il-ministro-rossoni-filo-nel-1938.html ; 13.02.11 - Monografia dedicata alle otto chiese di Filo : http://filese.blogspot.it/2011/02/foto-gallery-di-santagata-e-non-solo.html *; 26.03.11 - Le piantine con le otto chiese di Filo: http://filese.blogspot.it/2011_03_01_archive.html; 26.08.11 - Per le vie di Filo - Guida alla toponomastica filese : http://filese.blogspot.it/2011_08_01_archive.html *

* Monografie pubblicate su www.Scribd.com  Il link specifico è contenuto nell’articolo di presentazione.



[1] Aia destinata al deposito del sale nell’ambito di una salina. «Al  momento della raccolta  il sale veniva ammassato alla gronda dei cavedini con raspi di legno detti “gavari” e, quando era scolato dalle acque dette “acque madri”, veniva trasportato, mediante carrioli, in un’aia alta e piana detta “tomba” dove si formava, un po’ alla volta, un cumulo di forma prismatica che il salinaro copriva con stuoie per evitare i danni delle eventuali piogge»:  http://www.arpa.emr.it/cms3/documenti/_cerca_doc/mare/progetto_mare/nuova_pagina_7.htm
[2] Il vocabolo arcaico "figaro" (con accento sulla i) significa barbiere, bolero da uomo indossato appunto dal barbiere. Come sostantivo è in disuso ma si trova come cognome: "Figari" molto raro è tipico del genovese, Rapallo e Camogli in particolare; "Figaro", estremamente più raro, sembrerebbe avere un ceppo padovano ed uno napoletano si veda: http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20070623223117AALg5BW .
[3] Il miglio romano misura 1480 metri.
[4] Circa gli accenni ai Guezii ed al canale de mortitio si tratta di nomi che troviamo entrambi nella lite fra i Canonici di Ravenna ed i cittadini di Ferrara, fra i quali i Guezii, nell’anno 1070. La lite verteva su presunti sconfinamenti dei pescatori ferraresi nella Valle del Morticio di proprietà dei Canonici.(v. F.Bocchi, Società e politica a Ferrara tra Ravennati e Canossani in * Storia di Ferrara, F, IV, p. 208 ss.).
[5] A. Vandini, op. cit., pp. 101-105.
[6] La definizione è contenuta nei Primi Statuti comunali Ravennati del Duecento, Capitolo XXII. Se ne veda il testo nel prosieguo della trattazione. E’ evidente perciò come, già a quell’epoca, si sapesse artificiale il tratto del Po di Primaro (Po Vecchio) fra Bastia e Menate. Un tratto da non confondersi, vale la pena ribadirlo, col drizzagno cosiddetto “di Longastrino” (alias Po Nuovo) realizzato a fine Settecento e tuttora corso del Reno.
[7] Veniva definito pastinatio l’impianto di nuove viti a carico del colono, onere che, all’epoca comportava la riduzione del tributo sul vino da 1/2 ad 1/3.
[8] Misura romagnola pari a due dozzine ancora in uso nell’Ottocento riferita in particolare a uova, pere o simili (A. Morri, Vocabolario romagnolo-italiano, Faenza, P.Conti all’Apollo, 1840, p.173).