giovedì 30 dicembre 2010

Sant’Agata : ritorno ad una Festa antica

A Filo già fervono i preparativi

di Fulvia Signani

(Cliccare sull'immagine per vederla ingrandita)

Sono tornata a vivere a Filo affascinata dai significati e usanze di un tempo. La mia famiglia, emigrata per lavoro nella non distante Ferrara, ha rispettato per anni la tradizione del ritorno in paese in occasione del giorno dedicato a Sant’Agata, il 5 febbraio. Tanti altri emigrati come noi, provenienti anche da più lontano, seguivano lo stesso rito. Il pezzo di famiglia rimasta in paese preparava pranzi gustosi e succulenti che confortavano nel desiderio di non dimenticare mai le radici.

E’ alla ricerca di queste emozioni di un tempo che ho pensato di contribuire a ripristinare, in una versione moderna, la Festa di Sant’Agata del cinque febbraio. Nel 2011 la celebrazione cade di sabato, con l’utile vicinanza di una domenica, il sei, in cui estendere i festeggiamenti.

Ho dapprima condiviso l’idea con Don Maurizio Venturini, Parroco della Parrocchia di Sant’Agata di Filo, disegnando a grandi linee la scansione degli eventi. Con Auro Ghirardini abbiamo ideato la parte commerciale, inventando in Filo l’esistenza di ‘Portici’ che molti si stanno abituando a ‘vedere’: i portici delle ex Case del Popolo sia dalla parte d‘Argenta che di Alfonsine.; del Bar di Claudio ed Alice; della Tabaccheria- Edicola di Marani, l’estensione a portico davanti al negozio di Auro stesso e del Panificio ‘L’angolo del pane’, il portico del Conad – Margherita. Avremo così modo di ospitare le tradizionali bancarelle (con dolci, ma anche prodotti del territorio, con attenzione alla coltivazione biologica ed alla consumazione ‘a chilometro zero’) in luoghi meno esposti alle intemperie.

La sera del 12 gennaio è prevista una riunione organizzativa con tutte le associazioni e persone del territorio interessate a partecipare alla manifestazione. E’ comunque possibile fin da ora delineare il programma di massima che potrà subire qualche modifica in corso d’opera. Il materiale pubblicitario potrà essere pronto una quindicina di giorni prima della Festa.

La Messa del giorno cinque sarà l’occasione anche per la benedizione dei ceri, simbolo di luce e sentita spiritualità . Nel pomeriggio, mentre alcuni si dedicheranno al gioco della tombola presso la Parrocchia, in altra sede si racconterà della storia delle chiese di Filo e verrà proposto un approfondimento sulla storia della Santa, cui sono dedicate molte chiese, città e paesi in Italia.

Al termine prenderà l’avvio la Fiera del Baratto e del riuso che merita un piccolo approfondimento. La Fiera si estenderà nei pomeriggi dei due giorni, sarà aperta ai privati che alcuni giorni prima porteranno oggetti in buono stato che non usano e che altrimenti getterebbero nella spazzatura. Per ogni pezzo, a prescindere dal valore, riceveranno un gettone, che potrà essere loro utile per ‘comprare’ i pezzi che interessano all’apertura della Fiera, per gli oggetti di piccola pezzatura, c’è un regolamento a parte. Non sono previste bancarelle private e non è prevista la contrattazione tra privati. Gli oggetti che resteranno non barattati, resteranno per possibili ‘pesche’ per raccolta fondi di utilità comune. Sarà così possibile insediare una pratica del ‘riuso’, possibilmente in collegamento con la scuola.

La sera del sabato grazie all’ Associazione Sportiva Dilettantistica Filese sarà possibile cenare e ballare a Villa Vittoria. La domenica sei febbraio, dopo la Messa, assisteremo alla partita di calcio della Filese, dedicata a Sant’Agata, che speriamo porti fortuna ai nostri .

A pomeriggio inoltrato sarà possibile partecipare ad un Concerto vocale di musica sacra presso la Chiesa.

Un brindisi finale della Fiera del Baratto potrà essere l’occasione di un saluto tra tutti i protagonisti dell’evento. Una curiosità,: durante le ricerche su Sant’Agata abbiamo trovato notizia di dolci siciliani dedicati alla Santa. I nostri panettieri stanno studiandone la fattibilità con gli ingredienti tipici del nostro territorio.

sabato 6 novembre 2010

Dedicato a Paolo Barabani …

Il personaggio, l’uomo, piccole e grandi cose intorno all’amico e cantautore filese

di Agide Vandini

Credo di avere buon titolo per raccontare Paolo Barabani, amico e cantautore del mio paese ben noto a chi ne ricorda la sua Hop Hop Somarello. Da lui mi hanno sempre diviso appena 8 anni e 8 metri…

Che vuol dire? Semplice: che Paolo è nato otto anni dopo di me ed è cresciuto, come ragazzo nonché come musicista e cantautore, a pochissimi passi dalla mia vecchia casa, quella ove ebbi la ventura di nascere il 4 novembre di 65 anni fa.

La mia casa natale, quella in cui nonno Ivo aveva un paio di camere in affitto da Anchise, nonno di Paolo, fu abbattuta ormai vecchia e cadente, intorno al 1948, e quel terreno, in pieno centro di Filo, finì inglobato nel bel giardino dei Barabani che oggi fiancheggia la graziosa villetta tutta contornata dal verde.

Mio padre trovò, all’epoca, alloggio come senzatetto nelle «case operaie» dell’Oca-Pisana, andando a vivere con la sua famigliola poche centinaia di metri più in là, mentre i Barabani, in quegli stessi anni, ricostruirono dalle macerie il loro mulino (caduto coi bombardamenti) ed eressero la nuova villetta appunto, ove nacquero, rispettivamente nel 1949 e nel 1953, i pargoletti di Max e Adele, i fratelli Carlo e Paolo.

I rapporti dei figli e nipoti di Ivo e’ canzulêr coi vecchi padroni di casa si mantennero sempre intensi e cordiali, in particolare quelli di mio padre Ghéo col colto e raffinato Max, primogenito di Anchise, grande appassionato di calcio che seguiva ed amava questo sport, proprio come Ghéo, fin dai suoi tempi pionieristici. Ebbe parecchie volte a raccontarmi e spiegarmi con pazienza e gentilezza innata tante cose calcistiche, Max, e io lo ricordo come finissimo intenditore di tecnica, tattica ed etica sportiva, di quelli che oggi, purtroppo, a Filo come altrove, ahimè, non se ne ascoltano più.

Va da sé che l’amicizia e la stima fra i padri, si trasmise facilmente ai rispettivi figli, sicché Carlo e Paolo nel crescere li ho spesso sentiti vicini, ne ho seguito con naturalezza le attività e le passioni. Li ho sempre visti come ragazzi dotati di notevole creatività: Carlo, elegante, intelligente e sagace in ogni iniziativa, amante delle bellezze di questo mondo e perciò anche ottimo esteta del calcio (sia detto per inciso, Carlo vede e ama il football all’incirca come me, e quasi quanto suo padre …), tanto che fra noi il parlare «di pallone» nelle lunghe seppur rare scorpacciate di chiacchiere, è tuttora una festa, un piacere della vita; Paolo, invece, più sentimentale, profondo, piuttosto compagnone ed idealista, ha coltivato fin da ragazzo altri interessi e soprattutto una passione su tutte, quella per il mondo musicale che, poco a poco, se lo è preso con sé. Dotato di innate qualità e capacità espressive, ci volle sempre poco a capire quanta sensibilità e quanto spiccato talento ci fossero in lui.

Frequentavamo tutti lo stesso bar-osteria filese, quello in cui fermava facendo soffiare i freni la celeste corriera, a due passi da casa sua. Un tempo era stata l’ustarìa e locanda dla Bianca, poi, divenuta dei Corelli & Galamini, si modernizzò nei primi anni ’60 in «Bar Centrale» sotto le direttive di Luciano Salvatori, oggi ancora sulla breccia, ad Argenta, coi suoi gelati. Il locale è stato ribattezzato in “Bar di Alice e Claudio”.

Lì si radunava chiassosamente l’eterogenea umanità tipica dei paesini della Bassa Romagna, fatta di giocatori di carte e di biliardo, di piazzisti, avventori e mediatori, di semplici dopolavoristi che vi accorrevano nelle ore serali e nei giorni festivi[1]. Lì si ascoltava la radio e si guardava la TV e di conseguenza vi prendevano corpo le più animate e colorite discussioni sportive, lì capitavano i personaggi più caratteristici e disparati, ricchi di esperienze di vita e capaci di affascinare Paolo, poco più che adolescente, che in quel microcosmo amava trascorrere ore ed ore, fino ad averne, poi, buona fonte di ispirazione per le canzoni più belle.

Cantò alcuni anni dopo:

Lui amava le donne, / il vino buono ed il fumo americano./ Non era un ragazzo cattivo, / forse un poco strano. / Gli amori suoi erano canzoni, / e una canzone era la vita. / E giocava alle carte, beveva la birra con gli amici,/ o tentava la sorte, giocando a biliardo,per farli felici./ Non era un grande giocatore, / dicevano: andrà meglio con l’amore./ E venne l’inverno, / e cadde la neve e venne il dolore./ Scrisse sul quaderno le prime parole d’amore,/ e mentre l’anno nuovo grasso si annunciò / lui di nascosto pianse un po’. / E un falso sole, che predicava amore, / gli fece dire assurde false parole,/ e mentre lui l’accarezzava, / lei di nascosto se ne andò[2].

Cominciò ben presto a masticare musica, Paolo. Debuttò come pirotecnico batterista in un complesso in gran parte filese che annoverava Ivo Guerrini alla tastiera e Vincenzo Forlani alla chitarra. Ci sapevano fare «Le Ombre», questo era il nome del gruppo[3]. Ricordo nitidamente una loro bella performance in un «Festival» di complessi che si tenne per alcune serate nel Teatro Moderno ad Argenta. Paolo, che fino ad allora nessuno conosceva come cantante, si presentò in scena vestito, in divisa da ufficiale sudista. Cantò, e assai bene ricordo, «Signore io sono Irish», all’epoca un successo dei New Trolls. L’ho rammentato a Paolo proprio poche settimane fa, in occasione di una sua bella rimpatriata musicale a Filo. Dice che ce l’ha ancora quella vecchia divisa e la conserva fra i suoi ricordi più belli.

In quella prima metà degli anni ’70, ad ogni ora del giorno, nei pressi di casa sua si cominciarono ad udire, oltre alle solite rullate di tamburi, pezzi inediti, canti, musiche e testi originali che incuriosivano i passanti. Ci si chiedeva, più o meno tutti, a quali sbocchi potesse portare un talento come quello di Paolo. Allo stesso tempo si temeva che la scalata alla notorietà non fosse alla portata di un semplice ragazzo della nostra campagna, la si riteneva qualcosa d’impossibile, legata forse ad ingredienti misteriosi ed arcani.

Giovannino Tarozzi, detto e’ Maròc, l’uomo dei bagni di Capodanno in Adriatico di cui ho più volte descritto le imprese in questo blog, aveva ancora, all’epoca, il negozio in paese; lì aveva preso a commerciare in musicassette, una innovazione tecnologica che da poco affiancava i 33 giri, sicché si prodigò da par suo proponendo a Paolo e alle Ombre l’incisione di un intero nastro da mettere in vendita. Non so in quale studio e in quale posto li portò, fatto sta che il nastro che ne sortì, dal titolo «Barabomba» (ne ho un raro esemplare che conservo gelosamente), non riuscì perfettamente: l’audio, gli arrangiamenti e forse qualche tonalità risultarono piuttosto inadeguati, sicché ne furono assai penalizzate canzoni che, sotto l’aspetto armonico e compositivo potevano risultare all’ascoltatore assai gradevoli ed ispirate[4].

Ma Paolo, studente fuori corso di medicina, era ormai un cantautore in continua evoluzione e non si perse d’animo. Prese ad incontrare gente nuova: cantanti, discografici, musicisti, cercò con la sola forza del talento e della fantasia musicale, di inserirsi in un ambiente difficile, dove contavano entrature e conoscenze. Si trovò così a collaborare con Reverberi e la Baby Records, strinse una specie di sodalizio col promettente Pupo (Enzo Ghinazzi) il cui furgoncino si prese a vedere, quasi ogni sera, parcheggiato davanti a casa sua. Ebbe l’opportunità di incidere un paio di 45 giri[5], e si fece conoscere da un pubblico sempre più vasto.

Nel 1981 si presentò quasi a sorpresa, almeno per noi paesani che lo seguimmo trepidamente in TV, sul palco prestigioso di Sanremo. Fu lì che raggiunse quel grande successo che meritava. La sua Hop, hop somarello composta con Enzo Ghinazzi (Pupo) e Gian Piero Reverberi, giunse sesta e la sua fresca figura acqua e sapone fu unanimemente considerata una belle più belle novità di quel festival. Chi volesse rivedere la sua performance sanremese può cliccare direttamente qui sotto:

http://www.videoanni80.com/view/726/hop-hop-somarello-paolo-barabani-sanremo-1981/

Il culmine della sua creatività musicale lo raggiunse, io credo, proprio in quello stesso anno quando, fra lo stupore generale, se ne andò per un mese in America. Andò a Nashville, nella capitale del Tennessee, nella celebrata «città della musica», là dove nascevano le famose chitarre Gibson e dove batteva il cuore della musica country, un genere assai di moda e che cominciava a piacere anche nel Bel Paese.

Paolo coi suoi brani riecheggianti personaggi e luoghi della nostra terra, arrangiati e impreziositi da tutta la musicalità e la sapienza made in Nashville, si propose validamente come cantautore ispirato a quello stile, in un album (l’unico 33 giri da lui inciso) dal titolo «In riva al bar», uno dei pezzi migliori dell’EllePi, un motivo che poi fu scelto come sigla per la trasmissione televisiva «Il barattolo»[6].

Il bar, l’osteria, che appare nel disegno di copertina, ovviamente è il nostro Bar Centrale coi suoi i tanti caratteristici personaggi, ma tutto il 33 giri di Paolo grondava di vita paesana e di sentimenti ispirati dall’ambiente che lo aveva visto crescere.

Ecco comunque i bei versi della canzone principale:

Vecchie facce usate / di una sera in riva al bar / quando il sole pigro se ne va / dopo tre bicchieri / sono quasi tutti eroi / troppe donne troppo tardi ormai. / C'è chi ha vinto a poker / due milioni ad Heminguay / c'è chi ha combattuto nelle Haway / quello che le ha avute tutte, tutte tranne lei / la straniera del '56. /Gira la, gira la, gira la luna / pensane cento ma raccontane una / pensala bene ricamala poco / raccontala giusta o ricominci da capo. / Gira la, gira la, gira la ruota / gira la testa la bottiglia è vuota / Mezzanotte di una notte da buttare via / briscola e denari spesi ormai / quello che taceva / a un tratto dice : è stata mia / la straniera del '56. / Gira la, gira la, come ti pare / questa non puoi / no, non puoi darcela a bere. / Ride la, ride la, ride la luna / ride quando giochi con la tua fortuna / quando tu affidi il tuo amore alle stelle / quando poi le carte ti han voltato le spalle. / Ridela, ride la, ride la gente / se ti parli addosso che nessuno ti sente / Gira la...etc. / Ride la ...etc.

Come non riconoscere fra i personaggi del bar il compianto, indimenticabile Slancio, al secolo Eugenio Ghiselli, con le sue simpatiche ed ineguagliabili fandonie …

Un altro colorito personaggio filese lo aveva ispirato per L'oro del Reno:

E lo chiamavano Nevada per via del suo cappello / Di finto castorino, aveva solo quello / Ehi, vecchia volpe, ma lui non ti risponderà / Per essere sinceri per quella sua certezza / Che avrebbe un giorno o l’altro trovato la ricchezza / Eh qui in paese noi lo invidiavamo un po’ E lo chiamavano Nevada, cow boy da bicicletta / La vita d’osteria gli è sempre andata stretta / Ehi vecchia volpe fermati ma dove vai? / Lungo il fiume lui va, la sua strada ormai la sa / Solitario cercatore di una traccia di un colore / Anche il fiume lo sa quando lui arriverà / coi suoi gesti abituali sempre quelli sempre uguali / col setaccio e una padella finché c’è l’ultima stella non va via / Ehi cerca pure sereno, ma oro nel Reno non ne troverai / ma qualcosa da fare in cui credi davvero tu almeno ce l’hai. Ehi cerca pure sereno …

E’ un quadretto, gustosissimo, dedicato a Tinèla Leoni, ineguagliabile tartufino delle nostre golene che, ancora oggi, dismessa la bici e il cappello di finto castorino, vediamo dirigersi verso i luoghi più insoliti, a bordo dell’inseparabile ed attrezzatissima Ape. Ma anche i brani Tu non sei la California e Un vecchio ripercorrevano scenari e persone dell'amato borgo, sia pure in termini più indefiniti, con palesi richiami al mondo magico dell’adolescenza e dell’amata campagna filese. Ecco i versi della prima:

Ti ricordi delle fragole / e quel nostro nascondiglio abbandonato,ti ricordi di me? / Le mie corse fra le nuvole / e la gioia di scoprire qualche cosa dentro me / e la voglia di svegliarmi la mattina insieme a te / Tu non sei la California / non sei bella come lei / tu non sei la California / però adesso ti vorrei / Io credevo fosse facile / dimenticare il tuo profumo di rugiada quel profumo di te / Illusioni che si perdono / a inventare ogni minuto la ragione di un perché / o a fermarsi ad ascoltare qualche cosa che non c'è / Tu non sei la California / non sei bella come lei / tu non sei la California / però adesso ti vorrei / Se non sei la California / tu sei quella che vorrei / se non sei la California / tu sei bella più di lei/ e se tu non esistessi io ti inventerei... / Tu non sei la California etc.

La sua magia, la sua capacità di far rivivere in musica il mondo amato, io credo che Paolo l’abbia espressa nel brano Un vecchio, un magnifico testo a forma di dialogo ove riuscì tracciare con grande verismo e delicatezza la figura agreste che tutti sentivamo familiare, quel «vecchio» autentico che abbiamo nel cuore, il buon «nonno» di tutti noi:

Un vecchio stava sulla porta / aspettando la sera / il suo silenzio era quasi una preghiera / nel cuore un sogno da bambino / sul viso la saggezza dell'età / Spiegami vecchio / tu che sai cos'è l'amore / tu che hai versato / sangue, lacrime e sudore / perché la gente adesso non sorride più / e il cielo è azzurro ma non è più blu? / «Erano altri tempi che tu non puoi capire / i bastimenti andavano a vapore / quando la forza era la mano / nei campi si cantava in mezzo al grano. / Gli anni più belli li ho passati a lavorare / bruciati all'ombra del frumento da falciare / e le ragazze ansiose a casa a preparare / la festa del raccolto e dell'amore» / Ma sono favole i ricordi del passato / e non ha senso rivangare quel che è stato / perché la gente adesso non sorride più / e il cielo è azzurro ma non è più blu? / Un vecchio stava sulla porta / aspettando la sera / il suo silenzio era quasi una preghiera / nel cuore un sogno da bambino / sul viso la saggezza dell'età...

Lo stesso LP conteneva anche il brano «Neve di primavera» (poi inserito nella compilation Fortissima) che nel 1982 vinse a Canale 5 il concorso Premiatissima. Anche qui appaiono palesi i sentimenti di Paolo per la sua terra: «Viene la neve cade piano piano, neve a Milano…» «E pensare che a casa mia, è già nato il grano, sembra un sogno una pazzia, sembra strano qui a Milano, tu mi dici non è vero, ma io sono sincero, neve bianca, nero fumo, c’è tanta gente ma non c’è nessuno …»

Piacque tanto quel 33 giri, eppure, il successo di Paolo giunto tanto all’improvviso, altrettanto rapidamente sfumò: il militare[7] e la notorietà attenuatasi in un baleno, l’onda che in qualche modo non fu cavalcata a dovere, la vita che ad un certo punto prese a correre anche per lui, fra l’Italia e il Brasile, in un andirivieni di successi e delusioni, un’altalena che lo accompagna ancora, nella musica come nella vita.

Si eclissò poco a poco, ma più come cantante che come autore. Negli anni che seguirono assieme a Pupo e Reverberi ci regalò altre belle canzoni e testi di successo come Buon Natale e Su di noi in una bella rassegna di titoli che oggi possiamo leggere su Wikipedia, a corredo delle note biografiche a lui dedicate (http://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Barabani)[8].

Un altro bel profilo della sua carriera e della lusinghiera esperienza artistica, fu tracciato in un articolo-intervista apparso sulla rivista Arzenta una ventina d’anni fa che riporto in appendice.

Di una cosa, in conclusione, sono più che certo, ossia che Paolo, nel percorso umano e musicale che l’ha portato in giro per il mondo, mai un solo momento ha pensato di spezzare il legame sentimentale col paese e la sua gente, rimanendo, intimamente e profondamente, se stesso. Questa almeno è la mia impressione e quella degli amici più cari che, non appena se ne presenta l’occasione, incontra ancora con immutato e solare entusiasmo. Non di meno egli dedica volentieri un pensiero a chi, compagno di vita e di ore spensierate nei suoi anni più belli, oggi non è più fra noi.

Durante l’ultima esibizione estiva a Filo, in cui l’ho trovato davvero in ottima forma, ha voluto farmi omaggio di una bella foto con dedica. Pubblicandola qui sotto, ne faccio volentieri dono ai lettori di questo blog. Si noterà come, fra le poche rughe e i tanti capelli bianchi, gli si leggano ancora in viso quel candore e quella dolcezza che tanto piacque agli italiani di trent’anni fa.

Dietro alla foto, Paolo mi ha dedicato queste parole: «Ad Agide con la stessa amicizia di sempre», e io ricambio di cuore, con altrettanto affetto a cui aggiungo tutta la sincera ammirazione che ho sempre provato per le sue composizioni e per un talento che forse non ha raccolto tutto quel che meritava. E’ ben vero che Paolo ha ancora una lunga strada davanti a sé ed un fornitissimo serbatoio di entusiasmo. Alle stesso tempo, credo di poter dire che lui si senta ben contento di ciò che ha avuto fino ad oggi, soprattutto per aver potuto vivere con gioia quasi fanciullesca il grandissimo amore per la musica e per la gente che ha avuto vicino, un amore di cui, nel lungo suo viaggio umano ed artistico, è stato e sarà sempre ricambiato.

La felicità e l’innocenza che ancora si possono leggere nei suoi occhi, ne sono la più lampante testimonianza.

Piccola galleria fotografica

Per le strade di Bologna (1949 circa). Da sinistra: Max Barabani, mio padre Guerriero (Ghéo) Vandini e zio Raflòñ (Raffaele Vandini).

La copertina del 45 giri che conteneva due brani: "Un giorno senza lei" e "Tu vivi due volte" cantati rispettivamente da Ezio Caranti e Paolo Barabani. Ivo Guerrini è il primo da sinistra, Paolo Barabani è in alto a destra.

Paolo a Villa Vittoria di Filo

(primi anni ’80)

Sulla destra, la casa di nonno Ivo e’ canzulêr (e mia casa natale), di proprietà Barabani, E’ il 14 aprile 1945, giorno della Liberazione di Filo, con la fanteria inglese in avanzata.

La copertina del 33 giri

Anni ’90. Amichevole a Lavezzola col BFC 1909. Da sinistra e in primo piano: Agide, Carlo Barabani, la compagna Elisabetta, Davide Fontolan. Più in lontananza si intravede Giancarlo Marocchi.

Paolo oggi

La vecchia musicassetta

La dedica

Da Sanremo a Nashville in groppa a un somarello

Paolo Barabani si racconta

(Dalla rivista Arzenta, aprile 1994)

Sanremo, per la stragrande maggioranza dei cantanti e dei musicisti (anche chissà per quale «strano» pudore, non lo ammettono...), rappresenta un miraggio, un traguardo raggiungibile solo attraverso inimmaginabili magici meccanismi. Eppure Argenta, come tutti ricorderanno, ha avuto il suo momento di gloria sul palcoscenico festivaliero della «città dei fiori». Tutto ciò grazie a Paolo Barabani che nel 1981, uscito dal nulla per emergere direttamente sul trampolino più importante, ottenne addirittura un sesto posto assoluto (allora non c'erano le due categorie «big» e «giovani»), alle spalle di Alice (che vinse a sorpresa con la bellissima «Per Elisa»), Loretta Goggi, Dario Baldan Bembo, Luca Barbarossa e Ricchi e Poveri. La sua canzone, «Hop Hop somarello» scalò poi le hit di vendita e gradimento, portando a Barabani una celebrità e un successo forse insperati. Ma torniamo un attimo indietro nel tempo, per conoscere qualche cosa in più dell'artista che abita a Filo d'Argenta.

«Sono nato a Bologna nel 1953», racconta Barabani. «Essendo un Toro, mi sono beccato tutti gli attributi propri di questo segno fra i quali, guarda un po', una maliziosa vena artistica che non è stata mai intaccata dal fatto che io abbia frequentato dall'asilo all'Università, 23 anni di scuola. Fra questi, 8 anni alla facoltà di Medicina e Chirurgia, che non sono mai riuscito a concludere a causa di questa passione che m'ha rubato il cuore... Fu proprio a causa di ciò che già alla tenera età di 8-9 anni, iniziai ad ascoltare ogni genere di musica da uno scassatissimo giradischi dal quale uscivano suoni indescrivibili che io contribuivo a rendere ancora più inaccettabili imitando, pietosamente i vari cantanti e cercando di eseguire su una improvvisata batteria, il ritmo. Fino a che un bel giorno, entrai a far parte di un primo gruppetto di scalmanati, cui fece seguito una lunga militanza con le Ombre. Da questa furiosa esperienza uscì ben rafforzato il demone della musica, mentre il sottoscritto se ne uscito frustrato nelle ambizioni di gloria, ma ben deciso a cercare una propria strada che passasse sulla corda della sua chitarra!»

E' intorno al 1975 che la carriera di Paolo Barabani prende il via in maniera «ufficiale».

«Mi ritrovai, quasi per caso, a bussare alle porte della Baby Records - aggiunge - dove incontrai e conobbi chi tanto avrebbe influenzato la mia futura carriera artistica: Freddy, nonché l'allor giovine speranza del panorama canoro nazionale, Pupo, e Gian Piero Reverberi. Nacquero così le mie prime esperienze discografiche, fino a quella che è stata la più bella avventura della mia vita, l'L.P. «In riva al bar», un disco nato sotto il prezioso auspicio di una calda amicizia, che riflette in sé e rappresenta una parte di me stesso, teso allora come oggi alla ricerca ed alla riscoperta di un ambiente che possa dare a tutti un po' di serenità che sento venir meno, giorno per giorno, nel mondo che ci circonda».

Barabani incise quel disco a Nashville, considerata allora la capitale americana della musica, con ottimi solisti (fra cui Jerry Carrigan, Bob «King» Moore e Steve Chapman) e splendidi suoni.

«Come io sia finito proprio là, al di là dell'oceano, è presto spiegato», continua Paolo. «L'idea venne fuori per scherzo una sera durante una cena in compagnia dei miei soliti inseparabili amici: "Il disco andiamo ad inciderlo in America!". Una battuta, pensavo, che invece si è trasformata in realtà».

Con la canzone «Neve di primavera» (inserita nella compilation Fortissima), nel 1982 Barabani vinse a Canale 5 il concorso Premiatissima. E in quegli anni portò avanti una tournée attraversando tutta la penisola. Dopo un silenzio durato qualche stagione oggi Paolo è tornato in piena attività. Insieme all'amico e collega Ezio Nero porta in giro per l'Italia un «Caffè concerto» che riscuote forti consensi, con un repertorio vastissimo fatto di grandi successi e di brani scritti da lui stesso.

E, per chiudere, ci confida: «Recentemente mi è tornata la voglia di scrivere!»


[1] Da «Il Resto del Carlino» del 13 Ottobre 1987 : «... Paolo Barabani abita a Filo d'Argenta in provincia di Ferrara e la sua abitazione si trova a dieci metri dal confine con la provincia di Ravenna." Mi sento proprio un romagnolo", afferma convinto... »

[2] Fumo amerikano, 1977.

[3] Il gruppo "Le ombre" nacque dalla fusione di due gruppi preesistenti: "Le ombre nere" di Campotto, e i "New Judas" di Argenta. Dopo l’alternarsi di vari strumentisti, il gruppo si attestò su cinque elementi: Paolo Barabani - voce solista - coro – batteria, Ezio Caranti - voce solista, Stelio Gori – chitarra, Domenico Sgubbi - basso (deceduto), Ivo Guerrini - coro – tastiere A questa formazione si aggiunse, poi, un sesto elemento: Raoul Zamboni - sax tenore. Si veda la copertina del 45 giri nella Galleria fotografica (Notizie fornitemi gentilmente da Ivo Guerrini.

[4] Barabomba fu registrato da questi quattro elementi: Paolo Barabani - voce solista - coro – batteria, Domenico Sgubbi – basso, Ivo Guerrini - coro – tastiere, Vincenzo Forlani - coro – chitarra. Ecco i titoli dei dieci brani: Capo Horn, La Pazza, Preghiera, Viandante Pazzo, Raphaelle, Serenade, Non devi fare così, Hiroshima '45, Un pò d'amore, Piove da un'ora.

[5] Tu sei mia [riecheggiante “Un po’ d’amore”] / Piccolo amore (1976), Fumo amerikano / T’amerò (1977) e Monica.

[6] Questi i 10 brani del 33 giri: Hop Hop somarello, In riva al bar, Oro nel Reno, Neve di primavera *, Un vecchio [riecheggiante “Fumo Amerikano”], Grazie amico, Balliamo vuoi, La straniera*, Valentina, Tu non sei la California *. I brani seguiti da asterisco sono di Barabani - Reverberi, tutti gli altri di Barabani, Reverberi, Ghinazzi (Pupo).

[7] «Poi arrivò il servizio militare che lui definisce stronca-carriera, durante il quale incise Buon Natale. «Dopo tre anni di silenzio passati quasi interamente all'estero, non in tournée, ma a scoprire ed a vedere cosa fanno gli altri, Paolo Barabani è tornato questa estate in sala di incisione e per la Baby Records ha inciso Frutta fresca, un altro originale motivo di cui ha composto musica e parole». ( «Il Resto del.Carlino », Ravenna, 13 ottobre 1987).

[8] Dai contratti e dalla documentazione in possesso di Bruno Folletti (Falco) ho potuto trarre un elenco di canzoni, alcune di notevole successo, ove Paolo Barabani figura come autore o coautore: Io vado via (Barabani, 1977, Grazie perché (Barabani-Ghinazzi, 1978), Sempre tu (Barabani-Ghinazzi, 1978), Atomino (Barabani-Ghinazzi-Vanni-Tinti,1979), Forse ((Barabani-Ghinazzi, 1979), Firenze Santa Maria Novella (Barabani-Ghinazzi, 1980), Su di noi (Barabani-Ghinazzi, 1980), San Francisco (Barabani-Ghinazzi-Dossena, 1980), Lucia (Barabani-Ghinazzi-Cavallina,1980), Secrets (Barabani-Reverberi-Couling, 1980), They had to dance (Barabani-Reverberi-Palmer,1980), Ti desidero (Barabani-Scotti-Martoglio, 1981), Cosa farai (Barabani-Ghinazzi, 1981), Anna mia (Barabani-Ghinazzi, 1984), Fortissimo (Barabani-Reverberi-Minellono, 1984), New York (Barabani-Farina-Hoffman, 1987), La storia di noi due (Barabani-Ghinazzi-Tinti,1987).