sabato 29 luglio 2017

Ecco chi era…

La misteriosa bellezza filese del 1928
di Agide Vandini





Quando si dice delle mirabilie di Internet e delle sue grandi potenzialità…
Circa due mesi fa pubblicai in questo blog la foto a fianco, con questo titolo e sottotitolo:

Baldi giovanotti filesi, anno 1928
Ricordi di famiglia, dietro una foto inedita ed un lontano giorno di festa

Mia cugina Rita Toschi, che me la mostrò pochi mesi fa, conosceva appena l’identità della madre quindicenne Lilia classe 1913, prima da sinistra, e del padre Pipèñ, il diciasettenne Giuseppe Toschi classe 1911, terzo da sinistra. Io vi riconobbi subito mio padre Guerriero, classe 1912, allora sedicenne e ultimo a destra.
Intuii anche chi poteva essere la ragazza vicina a Guerriero: Elsa Minghetti, classe 1912, futura moglie di Bruno Natali poiché, nelle sembianze e nella postura, mi ricordava la figlia Lelia. Ne ebbi poi conferma qualche settimana dopo, mostrando la preziosa foto ai suoi figli.
Rimaneva il mistero della terza ragazza, seconda da sinistra nella foto, da me definita in punta di penna: “l’elegante bellezza, gomito prominente e mano sul fianco, che sta fra i miei zii”.

Sapere di chi era quel bel volto, a distanza di tanti anni, pareva un’impresa impossibile, invece…
Avevo sottovalutato Internet, L’Irôla e quel tanto di interesse che ancora sollevano quegli anni lontani e tutto l’arcaico mondo dei nostri genitori.
Fra i miei lettori ho la fortuna di avere l’amico Domenico Bolognesi, e’ fiöl d Brògna (Elio Bolognesi) che, evidentemente incuriosito, ha pensato bene di mostrare la bella foto alla madre Elvira Gherardi. L’anziana donna ha immediatamente sentenziato: «Bèh, mo quèsta l’è la Jone d Topi, ch’la lavuréva cun mĕ in furnéša…» (Questa, mio caro, è la Topi Jone che lavorava con me in fornace…).
Domenico, alla prima occasione, mi ha gentilmente segnalato l’identificazione ed eccomi qui. Dopo le opportune verifiche ecco allora chi era la misteriosa bellezza filese:

Traduzione dal Registro Battesimi della Parrocchia di Filo.
Topi Jone. Il giorno 16 luglio 1914.
[…] Oggi all’ora quarta ha battezzato su mia autorizzazione, la bimba nata il 1 Giugno 1913 da Antonio del vivente Carlo Topi e da Albina del fu Carlo Vandini legittimi coniugi che le hanno imposto il nome di Jone[…]
Il parroco: Don Giuseppe Cellini.

 Sotto ed a fianco le annotazioni della Cresima e del matrimonio di Jone.

La bella Jone, qui quindicenne e coetanea di Lilia, era dunque una seconda cugina di mio padre. Suo nonno Carlo Vandini (1849-1900) era infatti uno dei fratelli del mio bisnonno Raffaele (1846-1900), padre di nonno Ivo.
Una bella scoperta, non c’è che dire. Ora il quadro può dirsi davvero completo…

Grazie Domenico e ringrazia tanto tua madre Elvira… 

domenica 23 luglio 2017

Domenica prossima a Villa Verbana

Allegra festa dei Settantenni classe 1947







Come si annuncia nella locandina che trovate a fianco, domenica prossima, a Villa Verbana, lungo la Via Terranova a Filo si terrà l’allegra festicciola destinata ai settantenni della classe 1947.
Fra gli organizzatori e i festeggiati saranno presenti in quel luogo ameno, oltre al padrone di casa, Appio Venieri, i carissimi amici Beniamino Carlotti, Orazio Pezzi e Carla Capra.
Date le formidabili premesse si spera in una bella e buona partecipazione.
E io che c’entro, dite…?
Io sono stato invitato come intrattenitore musicale e, a quel punto, non mi sono fatto sfuggire l’occasione.
Sono sicuro che non mancheranno i bei momenti di sana allegria e divertimento.
Chi non avesse ancora aderito forse può ancora farlo, ma, mi dicono, sarebbe il caso di affrettarsi…

                                  a.v.


sabato 1 luglio 2017

Salviamo dall’oblio il soldato Dalle Vacche

Antonio Dalle Vacche, soldato filese caduto 130 anni fa a Massaua
di Beniamino Carlotti
Introduzione di Agide Vandini




La storia di questo filese, caduto in Africa in una guerra coloniale di fine ‘800, riportata alla luce da Beniamino, è di quelle che, pur a distanza di tanti anni, danno da pensare. Vuoi per la morte inconsapevole e atroce, vuoi perché avvenuta in una terra remota per ragioni e per logiche così lontane dagli orizzonti di un ragazzo filese nato nelle nostre campagne, ai margini delle antiche valli e paludi da poco redente.
Antonio Dalle Vacche, milite di fine ‘800, fu omonimo certo non casuale del noto Sindaco argentano del secondo dopoguerra. La madre del Sindaco, Adele Dalle Vacche (1890-1972), trasferitasi da Filo a Boccaleone, era infatti figlia di Vincenzo, fratello maggiore del caduto in Africa. Adele volle evidentemente dare al figlioletto il nome dello zio, e gli fornì anche il cognome, ossia il suo, essendo il bimbo nato fuori dal matrimonio. E’ forse questo, quel nome e cognome ripresi da un nipote, l’unico segno di devozione alla memoria pervenuto ai posteri per un caduto che finì troppo presto nella dimenticanza, nel trascorrere impietoso degli anni[1].
L’Africa, le sue vicende spesso tanto dure e selvagge, nonché le guerre che così malvolentieri vi sono state combattute, finiscono sempre per evocare in chi scrive pagine e trascorsi drammatici: dalla fine ingloriosa di Gustavo Bianchi, cui erano intitolate le Scuole Medie argentane che ebbi a frequentare, alla Guerra d’Abissinia cui mio padre Guerriero fu obbligato a partecipare nel 1936 e di cui conservo tanti suoi ricordi, per finire alla dolorosa vicenda del filese Silvino Felloni ed alla toccante sorte degli italiani a bordo del Laconia nel 1942, vicenda che tanto interesse ha suscitato nei lettori di questo blog (http://filese.blogspot.it/2008/09/il-tragico-affondamento-del-laconia-12.html e http://filese.blogspot.it/2009/11/rintracciato-il-foglio-matricolare-di.html  ).
Sono grato comunque a Beniamino per il suo encomiabile lavoro di ricerca che oggi ci permette, nel 130° anniversario della morte, di ricordare degnamente un ragazzo della nostra terra, saltato in aria in un altro continente per oscuri interessi dei potenti, in una guerra di conquista assurda, così lontana dagli ideali e speranze di chi, si può starne certi, per combattere questo tipo di guerra non si sarebbe mai mosso da Filo, dalle sue campagne, dalle sue nebbie, zanzare e paludi.
Se tutte le guerre ci appaiono stupide, quelle generate dalle pretese coloniali avanzate da un paese di così fresca e recente Indipendenza, lo sono anche di più.
Quella perdita di un ragazzo, in quel modo, anche a distanza di 130 anni ferisce e addolora, provoca tristezza, ma anche rabbia, intima ribellione e rifiuto dell’idea stessa della guerra.
a.v.




Qualche mese fa, un amico di Ferrara mi trasmise un documento che recava all’oggetto «Caduti argentani, guerra d’Abissinia e di Libia». Data un’occhiata frettolosa lo riposi nella cartella delle evidenze, con l’intenzione di riprenderlo al più presto, cosa che però non feci, sicché, giorno dopo giorno, più che fra le evidenze, il documento passò nel dimenticatoio.   
Casualità vuole che, pochi giorni fa, quell’elenco mi sia ritornato fra le mani:  giro e rigiro il foglio, resetto dalla mente ogni altro pensiero di giornata e metto a fuoco l’oggetto o meglio l’argomento.  E’ una fila di quattrodici militari argentani caduti nelle guerre coloniali italiane d’Abissinia (odierna Etiopia) e di Libia di fine Ottocento / primo Novecento. Ad aprire i caduti d’Abissinia è il Milite Dalle Vacche Antonio, soldato del Battaglione Fanteria d’Africa, morto a Massaua il 12.7.1887. 
Perbacco, dico fra me: «Quèst l’è ad Fìl». L’istinto e la conoscenza genealogica della famiglia mi spingono subito all’approfondimento dell’origine e della storia di questo ennesimo «Milite» semisconosciuto delle patrie guerre.  Dai successivi accertamenti effettuati presso l’Archivio Parrocchiale e dello Stato Civile del Comune di Argenta ricevo l’assoluta conferma dell’intuizione.

Archivio Parrocchiale di Filo – 1864 Battesimo di Antonio Dalle Vacche
        

Archivio Parrocchiale di Filo – 1865 Stato delle Anime - Famiglia Dalle Vacche

Ricorrendo, proprio fra pochi giorni, il 130° anniversario della morte di questo soldato, ho ritenuto giusto e doveroso, ricostruire e far conoscere la storia del nostro umile compaesano, caduto per la Patria in terra straniera: una storia nascosta, o meglio ingavagnèda come diremmo in dialetto, fra le mille pieghe di una Storia tanto e troppo più grande, ove trovano pretesto e ragioni, per quanto inaccettabili, le guerre coloniali italiane di fine Ottocento.
L’intenzione, ora, è quella di togliere il fante filese, dal secolare oblio in cui per troppo tempo è stato relegato, salvandone e recuperandone la figura e la memoria.   
Antonio Giovanni Dalle Vacche, figlio di Luigi e della portuense Lucia Miglionari, nasce a Filo, in località Case Selvatiche, il  22.4.1864, terzo di quattro figli di una modestissima famiglia di braccianti agricoli, a soli tre anni dall’istituzione del Regno d’Italia.
Il nuovo Stato unitario, appena costituito, temendo possibili minacce armate esterne o interne, ebbe subito l’esigenza di garantirsi la capacità di mobilitare un congruo numero di uomini in tempi brevi, sicché, dopo un primo periodo di  incertezze legislative, con la legge 7 Giugno 1875 n° 2532, fu sancita definitivamente la «Coscrizione obbligatoria» di tutti i cittadini italiani di sesso maschile.
Fu così che anche il nostro Antonio, al compimento del diciottesimo anno, fu iscritto nelle liste di Leva del  Comune di Argenta. Arruolato nel 93° Reggimento Fanteria, verosimilmente nel 1885, la sua ferma triennale[2] cadde nel periodo in cui il governo italiano stava rivolgendo le proprie mire espansionistiche verso una parte del territorio africano ancora poco considerata dalle grandi potenze coloniali: il Corno d’Africa. Lì, da anni erano indirizzati gli interessi economici di alcuni imprenditori di casa nostra. 
Nel 1882, lo stato italiano aveva acquistato dalla compagnia Rubattino la baia di Assab, iniziando così la penetrazione nell’area. Nel Febbraio del 1885, prendendo a pretesto il truce massacro avvenuto in Dancalia ai danni dell’esploratore italiano Gustavo Bianchi (1845-1884, argentano pure lui[3]), ebbero luogo i primi movimenti militari. Un piccolo corpo di spedizione di 800 bersaglieri al comando del Colonnello Tancredi Saletta (1840-1909) occupò, con il tacito assenso britannico, il porto di Massaua, incrementando nei mesi successivi  la penetrazione lungo la costa sino ad Assab. Ne seguì l’annessione al Regno d’Italia dei porti di  Massaua ed Assab, nonché di tutto il tratto costiero che li separava.   
Le località occupate, tuttavia, confinavano con l’Abissinia del Negus Giovanni IV, cui quella vicinanza parve una minaccia all’integrità del suo Stato.  Ras Alula Engid, fedelissimo del Negus, radunò sotto le proprie  insegne circa 20.000 uomini ed il 25 Gennaio 1887 sorprese a Dogali la colonna comandata dal Ten. Col. Tommaso De Cristoforis (1841-1887), forte di 500 fanti e di 48 indigeni, che si stava dirigendo a rinforzo del presidio di Saati, assediato da ingenti forze abissine. La colonna, di fronte ad assalitori in forze preponderanti, si trincerò a difesa davanti ad una massa umana urlante a guisa di belve; gli abissini attaccarono furiosamente superando la tenace ed accanita resistenza dei nostri fanti che furono massacrati, e passati poi alla storia come i «Caduti di Dogali 1887»[4]


Gustavo Bianchi (1845-1884)

Colonnello Tancredi Saletta

Massaua e dintorni a fine ‘800
(Ricostruzione da una carta del 1941)


Nonostante il massacro, il Governo italiano, con Depretis prima e Crispi poi, decise di continuare, anzi di incrementare la politica di espansione coloniale, col sostegno di importanti gruppi  economici nazionali, accampando a giustificazione una ipocrita «missione civilizzatrice». Fu così che anche l’Italia del tempo, sia pure un po’ sottotono, partecipò alla spartizione dell’Africa e delle sue enormi  risorse.     
In questo preciso contesto geo-politico internazionale, il coscritto filese Antonio DalleVacche, fante del 93° Reggimento Fanteria, 3° Battaglione d’Africa, un bel giorno si ritrovò sbarcato ed allineato con tanti altri giovani italiani su di una banchina del porto di Massaua, la principale città portuale dell’Abissinia e capoluogo dell’omonimo distretto.      


Negus Giovanni IV

Ras Alula Engid

Ten. Col. Tommaso De Cristoforis
  
La cittadina sorgeva in parte sulla terraferma e in parte su due isole, Massawa e Taulud, collegate da un braccio di mare costantemente solcato da fragili sambuchi, ossia dalle più comuni imbarcazioni da pesca e da trasporto locale. L’Esercito coloniale italiano creò allora la propria base navale all’isola di Taulud e la dotò di fortificazioni ed accasermamenti per la truppa. Come in tutte le basi militari, non vi poté mancare una polveriera o «Santa Barbara», ovvero il deposito di esplosivi e munizioni. 
Nessuno saprà mai cosa passò per la testa di quel giovane filese, nel ritrovarsi scaraventato dal tranquillo paesello e dalle sue placide acque vallive, a quelle ben più impetuose del Mar Rosso, in mezzo a gente sconosciuta,  nemica o quanto meno ostile, di cui bisognava sempre diffidare, evitando rigorosamente,  anche per  tassativi  ordini superiori, ogni forma di fraternizzazione.       
Dei trascorsi militari in terra d’Africa, riguardo al Fante Antonio Dalle Vacche nulla sappiamo: non ci sono pervenute testimonianze né scritte, né orali,  disponiamo appena di quanto conservato presso l’Archivio dello Stato Civile del Comune di Argenta, ossia della trascrizione dell’Atto di Morte redatto dal Ministero della Guerra - Segretariato Generale - Divisione del Gabinetto del Ministro - Sezione 2^ : «L’anno milleottocentottantasette, il dì dodici del mese di Luglio, nel Forte di Taulud, mancava ai vivi  alle ore 2 antimeridiane in età di anni ventitre il soldato Dalle Vacche Antonio del 93° Reggimento Fanteria, in seguito allo scoppio della polveriera per ferite riportate, sepolto a Massaua come consta da notorietà indiscutibile». 
 Riporta il tragico evento, la rivista La Civiltà Cattolica[5] che scrive, « nell’esplosione della polveriera di Taulud, avvenuta il dì 11 Luglio 1887, si perdettero ben 100 mila lire di materiale polverificio e si ebbero dieci vittime. Si ritiene che lo scoppio sia avvenuto in causa di infiammazione spontanea della gelatina, imprudentemente messa nella polveriera ». 

Così ebbe fine la breve esistenza del giovane filese Antonio DalleVacche, morto in terra d’Africa, lontano dalla sua terra, dalla sua famiglia e dalla sua gente, per un banale, se pur grave errore umano, che causò ingenti danni e una gran quantità di vittime.
Non ci sono quindi da riferire, riguardo alla sua morte, atti di particolare eroismo, come solitamente intendiamo e come talvolta riporta con fin troppa enfasi l’aneddotica militare, egli fu semplicemente vittima incolpevole ed inconsapevole di una infiammazione spontanea di esplosivo, il che lo relegò per centotrenta lunghi anni, nel limbo oscuro dei tanti militi perduti e pressoché sconosciuti, delle tante inutili guerre.  
Per lui non vi furono onori militari, celebrazioni o manifestazioni di suffragio e di commosso ricordo, gli mancò persino una degna sepoltura in Patria ed una tomba su cui deporre un fiore.
Soprattutto per troppo tempo è mancata una doverosa memoria ed un degno ricordo.
Spero tanto allora, con queste poche righe, d’avervi, seppur tardivamente, rimediato almeno in parte.
Antonio, poco più di un tabàc, un filese di appena 23 anni, caduto in Africa in una guerra e in circostanze umanamente inaccettabili e assurde.
R.I.P.

b.c.




[1] Da un fratello di Adelina, ovvero da Antonio Nino, discesero D’Artagnan (Gnani 1907-1989) e Celeste (Lesta 1915-2009) e quindi i nipoti:  Sergio e Giuliano Dalle Vacche, nonché Tino e Giorgio Mezzoli.
[2] Non ho certezze circa la data di arruolamento, ma dovrebbe collocarsi fra l’84 e l’85. Quanto alla durata della ferma, mio nonno Giulio (1882-1974) mi pare mi dicesse che, ai suoi tempi, la ferma era di tre anni.
[3] «Ferrarese di nascita, ma argentano di elezione, esplorò la regione della Dancalia e trovò morte ingloriosa nella Pozza di Tio in Dancalia» (Leo Caravita, Argenta nella leggenda e nella storia, Reggio E., Cantelli, 1957, p. 77)
[4] Il Negus  Giovanni IV (1837-1889), della dinastia del Tigrai, noto anche come Deggiasmac Cassa, fu imperatore d’Abissinia dal 1871 al 1889. Ras Alula Engid (1827-1897) [titolato della più alta dignità nella gerarchia dello stato abissino] fu fedelissimo comandante militare dell’esercito del Negus. Per la tenace opposizione alle penetrazioni colonialistiche europee,  in  Europa fu anche detto il “Garibaldi d’Abissinia”.
[5] La Civiltà Cattolica, Anno Trigesimonono, Serie XIII, Volume XI, fasc.913, Roma 25 Giugno 1888.