domenica 15 giugno 2008

Cento candeline per nonna Marcella



E’ nata a Chiavica di Legno di Filo nel 1908

di Agide Vandini e Beniamino Carlotti

Vive a Fiumazzo, ma è nata alla Chiavica di Legno di Filo l’11 Giugno 1908, Ricci Antonia, da tutti chiamata Marcella, che proprio oggi festeggia i suoi invidiabili 100 anni di vita.

Il quindicinale «Le Alfonsine» ne ha dato notizia qualche giorno fa, con una lunga intervista di cui pubblicherò qualche brano significativo.

Beniamino Carlotti però ha fatto di più. Si è andato a cercare l’annotazione del battesimo nei Registri della chiesa di Sant’Agata di Filo e l’ha trovata sotto la data del 14.6.1908.

L’annotazione che riporto a fianco recita testualmente: «Admodum Reverendus Dominus Joannes Bianchedi, hora quarta cum dimidio pomeridiana, baptizavit de me Licentia infantem die 11° huius hora secunda pomeridiana natam ex Vincentio quondam Dominici Ricci et ex Maria quondam Sancti Morelli legitimis coniugibus huisce parociae eique imposuit nomina Antonia = Marcellina = Ada. Matrina fuit Rosa viventis Antonii Ricci de Cura Divi Jiuliani in Longastrino. Ita est. Joseph Parochus Cellini». Traduco immediatamente: «Il molto reverendo Don Giovanni Bianchedi, alle quattro e mezza del pomeriggio, ha battezzato per mia licenza una bimba nata l’11 di questo mese, alle due del pomeriggio, nata da Vincenzo del fu Domenico Ricci e da Maria del fu Sante Morelli, legittimi coniugi di questa parrocchia, cui hanno imposto i nomi di Antonia, Marcellina, Ada. Madrina fu Rosa del vivente Antonio Ricci della Parrocchia di San Giuliano in Longastrino. Così sia. Giuseppe Cellini, Parroco»

Vale ora la pena di far conoscenza con la festeggiata, ancora in condizioni invidiabili, attraverso qualche battuta tratta dal quindicale alfonsinese del 31.5.08 e dalla lunga, bella intervista firmata da Edda Lippi. Ecco come vine introdotta:

«Una bella signora mi accoglie, si scusa perché assieme alla figlia sta lavorando. Ha appena impastato otto uova di minestra, tirato la sfoglia. Mentre si asciuga la pasta mi dedica un po’ di tempo per fare una chiacchierata. Si esprime in un bel dialetto, quello di altri tempi.»

Ascoltiamo adesso le parole, il buonumore e la semplicità di nonna Marcella:

«Era il giorno di Sant’Antonio del giglio e mio padre pensò di mettermi questo nome, poi la madrina del battesimo chiese che mi chiamassero Marcella per ricordare il suo fidanzato che era morto annegato int e’ misadur (nello stagno ove si macerava la canapa). I m’à mes nenca un nom sgraziê.. (mi misero dunque un nome sfortunato…)

La mi fameja l’avéva una miséria… (erano poveri). Ho frequentato solo la prima elementare, avevano bisogno di aiuto, badare le mucche… altro che scuola! Mio padre mi voleva bene, ancora adesso mi avverte in sogno delle brutte notizie che stanno arrivando».

[…] Marcella è contenta – scrive Edda Lippi -, ha tante cose da raccontare, so che è una buona forchetta, ma la stuzzico chiedendo se fa la dieta come la maggior parte delle persone:

«La dieta me? A megn tot ‘gnacosa! A megn sól quel ch’um pies: i caplet.. la roba bóna… E’ minestró no! E nench e’ ris cun i zuchen… sól dö cuciarê (mangio soltanto ciò che mi piace: i cappelletti, la roba buona. Il minestrone no, e neppure il riso con le zucchine: appena un paio di cucchiaiate…)»

Alla simpaticissima centenaria, a nome di tutti i filesi, vadano le felicitazioni e l'augurio più sincero di tanta, tantissima serenità ancora nei giorni ed anni che certamente la aspettano.

Cento di questi giorni, cara nonna Marcella!

mercoledì 11 giugno 2008

E il tappo volò via…

(Dialogo tra un tifoso ed una bottiglia di spumante negli anni del purgatorio rossoblu.)

di Domenico Mongardi

L’amico Domenico (Peppino nel forumrossoblu), romagnolo di Castel Del Rio che vive da molti anni a Torino, mi manda questo divertentissimo brano. Contiene (in un tappo…) tutta la storia della sofferenza recente del Bologna FC 1909 e dei suoi tifosi, storia culminata (finalmente) con la promozione di questi giorni in serie A. E’ un gustosissimo racconto, un dono per «L’irôla» e per tutti coloro che hanno in simpatia i colori rossoblu. Buon divertimento!(a.v.)



Questa è una storia un po’ originale e per certi versi ridicola, ma fa parte di tutti quei riti più o meno scaramantici e propiziatori che ogni fan custodisce nel segreto del suo cuore e che spera aiutino la propria squadra ad uscire vittoriosa dalla partita di calcio settimanale. Tali gesti - e ciò è comune in tutte le tifoserie del mondo - sono solitamente ripetuti in modo scrupoloso sì da attirare sui propri beniamini la benedizione degli dei.

La vicenda che invece è capitata a me esula dai soliti contesti di ritualità ripetuta e si svolge in modo piuttosto singolare e, se vogliamo, immaginifico e fantasioso.

Il tutto iniziò un sabato pomeriggio del giugno 2005, vigilia di Bologna- Sampdoria, ultima giornata del campionato di calcio di serie A con la nostra squadra a tentare l’impresa impossibile della vittoria che ci avrebbe evitato la retrocessione. Passeggiavo con lo sguardo “sperso” tra gli scaffali di un supermercato, pensando e ripensando a quell’incredibile situazione creatasi nella classifica nelle ultime partite di quel maledetto campionato che da una certa tranquillità ci aveva fatto piombare nella più cupa preoccupazione; si giocavano anche altri incroci importanti in quell’ultimo turno di campionato, che secondo la logica dei numeri non ci davano ancora per spacciati; ma vallo a sapere, l’unica speranza era che gli esiti di certe partite forse “bisognava aggiustarli con le mani”, come peraltro avvenne, purtroppo a nostro danno però.

Sperar non nuoce e un azidént e’ po ciapêr anch ai tachén” - dicono dalle mie parti; capitai così nel reparto vini e mi venne agli occhi una bottiglia di spumante Martini brut: ”Toh - mi dissi - che combinazione, questo è un segno del destino, gli dei desiderano che io domani sera brindi alla salvezza della mia squadra del cuore! Comprala, comprala”.

Tornato a casa riposi la bottiglia nel frigo, nell’ingenua certezza di farla fuori nella serata del giorno successivo.

La domenica pomeriggio mi accomodai in poltrona davanti alla TV per seguire la partita e pur essendo consapevole che la nostra squadra non godeva dei favori del pronostico, in cuor mio speravo che il destino ci avrebbe regalato quella “sbusonata” che ci avrebbe permesso di salvare la pellaccia; di tanto in tanto l’occhio si spostava sugli altri campi caldi, quello di Firenze, di Siena e di Lecce.

L’andamento della nostra gara si mostrò fin da subito in linea con le previsioni: grandi attacchi da parte della Samp con una infinità di occasioni da rete sbagliate per un soffio. “Sarà una fatalità, – mi dicevo – la palla non vuole proprio saperne di entrare nella nostra porta; vuoi vedere che ci scappa un nostro gollazzo?”.

Intanto la Fiorentina tartassava il Brescia, il Siena stava vincendo di misura contro l’Atalanta ed a Lecce la partita procedeva altalenando il risultato, come se una regìa occulta stesse manipolando il risultato in modo da determinare il pareggio finale. (Ahi! Calciopoli quanti biscotti ci hai rivelato a posteriori a proposito di quel campionato fasullo, che ci ha svelato gli arcani misteri di tanti risultati strani!).

Verso la fine delle gare però capitano un paio di episodi che possono rivoltare il nostro destino: l’Atalanta pareggia a Siena; a Bologna, Castellini cuor di leone si distrae un momento e lascia a Tare la palla della salvezza. Lo sciagurato albanese, che forse già pregusta il “progetto Lotito, un quinquennale che lo sistema per la vita, invece di infilarla nel sacco cercando il palo lontano che è lì a portata del suo piedone, non trova di meglio che tirarla proprio “in bocca” ad Antonioli. Il portierone non può esimersi dal parare quel tiro innocuo e successivamente si rivolge alla curva Andrea Costa allargando le braccia come per scusarsi. Nel frattempo il Siena torna in vantaggio e la gara di Lecce termina con uno scandaloso 3 a 3, tanto da indurre l’allenatore salentino Zeman a lasciare il campo anzitempo per non sentirsi correo di quella colossale truffa.

Si va dunque all’ assurdo spareggio con il Parma, battuto in campionato sia all’andata che al ritorno.

La partita di andata dello spareggio ci disse anche bene (un gol di testa del biondo albanese), sicchè quando aprivo il frigo, occhieggiavo la bottiglia sussurrandole: “non ti preoccupare la festa è solo rimandata di qualche giorno; vedrai che la sera del 18, il tappo salterà e mi farò una signora bevuta alle spalle del Pèrma”.

Purtroppo la gara di ritorno, che sarebbe stato sufficiente pareggiare, iniziò sotto cattiva stella. Nei primi minuti su calcio d’angolo per gli avversari, uno stinco di Cardone (ex dei tempi di zio Ulli) spinse il pallone nella nostra porta alle spalle dell’allibito Pagliuca. La frittata era fatta ed ora bisognava rifare tutto da capo e segnare almeno il gol del pareggio per andare ai supplementari.

In quella serata purtroppo, la palla non ne voleva sapere di entrare nella porta avversaria. Un paio di paratone di Frey, un rigore negato da quel cornuto di Collina e all’inizio del secondo tempo il raddoppio di Gilardino.

La partita si trascinò stancamente alla fine: Pagliucone appoggiato al palo, il Magara fuggito anzitempo come un ladro, gli odiosi ducali, abusivi in serie A dopo il fallimento di Parmalat, in mezzo al campo a saltare e ballare per l’insperato successo.

Si consumò in quella serata l’ultimo atto di una stagione maledetta che dopo nove anni ci aveva rispedito nel purgatorio della serie B.

Mi avviai mestamente in cucina, aprii il frigo, guardai la bottiglia con malinconia e le dissi: “resterai lì dentro a soffrire con me fino al giorno in cui torneremo di nuovo in alto; sei stata acquistata per brindare alla serie A e solo quando il Bologna risalirà nella serie maggiore il tappo tuo potrà saltare in aria.”

Era mesta la poveretta e pareva guardarmi con occhio compassionevole e sussurrarmi sommessamente: “campa caval, con quella sfiga che vi ritrovate dovrò rassegnarmi a morire congelata in questa ghiacciaia.”

Iniziò la lunga estate calda con un susseguirsi di speranze e delusioni.

A retrocessione avvenuta iniziò l’odissea delle infrazioni amministrative.

Carrarino formaggino aveva sentenziato: chi non sarà in regola con il fisco entro la data stabilita non potrà iscriversi al campionato. I termini sono perentori

In serie A c’erano Messina e Reggina che non erano in regola A: la prima per aver pagato i debiti IRPEF oltre il termine stabilito, la seconda per omessi versamenti al fisco.

“Vedrai che stavolta ci ripescano” - argomentavo baldanzoso alla bottiglia – “abbiamo in mano l’asso di briscola sarebbe scandalosa una sentenza di assoluzione!” “Povero illuso” – mi rispondeva – ma chi ha il coraggio di toccare quella ciurma? Quelli sono capaci di far scoppiare la rivoluzione, altro che i fiorentini stesi per protesta sui binari della stazione”.

Infatti dopo tre gradi di giudizio sportivi favorevoli ai rossoblu, a Messina iniziò lo sciopero dei traghetti, il vescovo della città scese in campo e politici locali espressero la loro indignazione per le solite angherie del nord contro il meridione. I media nazionali diedero voce alle proteste e il solito TAR del Lazio composto da personaggi di indubbia imparzialità, ribaltò le sentenze precedenti. Il prof. Santamaria, insigne giurista inventò la motivazione assolutoria invocando il principio della “relativa perentorietà”. Sic!

“Hai visto, povero illuso, che l’avete preso in quel posto – mi sogghignava amaramente la bottiglia mentre la portavo a rianimarsi nella calura del balcone - ; a Roma i giudici sono tutti terroni e cani non si mordono con cani. Mettiti il cuore in pace, vi tocca giocare in B”.

“Abbiamo ancora la speranza nei confronti della Reggina che ha ottenuto l’iscrizione falsificando le fideiussioni” ribattevo io; “Lascia perdere, rassegnati, vedrai che Carrarino Formaggino al consiglio federale dirà che va bene così che era tutto a posto e farà tacere il Gazone che ha osato mettersi contro i potenti brandendo la crociata del doping amministrativo; poteva dimenticarsi anche lui di pagare l’IRPEF ed evitare di vendersi i giocatori. Adesso lo butteranno gambe all’aria e lo faranno fallire”.

La lunga querelle di carte bollate che coinvolse anche gli uffici delle Entrate di Reggio e di Roma nonché CONI, Federazione e stuoli di avvocati si concluse amaramente il 16 agosto 2005 nel corso della riunione del Consiglio Federale al quale parteciparono anche Ulivieri e il pres. E’ lo stesso Gazzoni che racconta l’accaduto: “il consiglio quel giorno si trasformò in …coniglio evitando di pronunciarsi sull’argomento” (ricorso del Bologna). “Carraro, con mossa da funambolico illusionista del diritto, riesce ad estrarre dal proprio cappello un cavillo giuridico grazie al quale decide di passare oltre.”([1])

E fu così che la Gazza dopo aver combattuto strenuamente dovette mollare l’osso ed alzare bandiera bianca; chi acquisterà ora il Bologna sull’orlo della bancarotta, senza denari in cassa e con i giocatori che quatti quatti se la svignano verso altri lidi?

Chiamato da Gazzoni in ambasce, al timone della squadra era tornato zio Ulli (l’unico forse disponibile in tempi di vacche magre ad accettare di dirigere una formazione raffazzonata alla meglio e senza soldi in cassa).

Sul versante del controllo societario, sembrava che la Betty con due maroni più grossi di quelli di un elefante stesse per aggiudicarsi la posta, spuntandola su Sabatino l’abatino patron della Virtus; all’ultima curva però con un guizzo degno del miglior pistard uscì il trio della Provvidenza, ser Alfred Cazzola, il costruttore Menarini ed il residuato bellico Bandiera.

Ser Alfred ebbe un esordio con il botto: convocò una grande convenscion cercò di rianimare il cadavere rossoblu con proclami che inducevano a sperare in una rapida svolta ed una pronta risalita.. Poco prima era stato ingaggiato come DS Zaccarelli, l’uomo della promozione del Toro. “ Cazzola è l’uomo giusto – confidavo alla mia bottiglia – vedrai che con la sue capacità torneremo su in men che non si dica; intanto comincerà a ramazzare via tutti quei parassiti strapagati da Gazzoni che ci hanno portato alla rovina”.

“Calma e gesso – mi rispose in un sussurro – sarei ben felice se le promesse si avverassero, ma per fare i miracoli il nuovo Pres non è ancora abilitato”.

Renzaccio, il grande affabulatore, colui che spiegava la tattica calcistica nella casa del popolo di S. Miniato, non riuscì a ricreare l’incantesimo di anni prima e così dopo una serie di sbandate fu esonerato per far posto a Mandurlèin un romagnolo di Ravenna che aveva fama di gran scopatore (nota di merito per i bolognesi) e che aveva guadagnato la promozione in serie A con l’Atalanta ed era uomo stimato da Zaccarelli. Con il mercato di riparazione arrivarono un paio di nomi importanti (Marazzina e Zauli) ed un tracagnotto faentino (Mingazzini) gran combattente caldeggiato dallo stesso allenatore. “Ci rifaremo e scaleremo la classifica” – dicevo io tutto speranzoso; ma la bottiglia sembrava scuotere leggermente il capo e dirmi che presto sarebbero cadute tutte le illusioni, come di fatto avvenne con l’esonero del romagnolo e la richiamata di zio Ulli che incredibilmente infilò una serie straordinaria di risultati utili sul finire del campionato, periodo in cui solitamente il Bologna degli anni precedenti chiudeva sempre in calo di condizione fisica.

Verso la fine del campionato 2006, in prossimità dei mondiali, scoppio’ Calciopoli: attraverso intercettazioni di due magistrati napoletani che indagavano su altro, scoprirono le trame ed i maneggi di ser Moggi e company con vertici arbitrali compiacenti e altri personaggi che gravitavano attorno al mondo GEA. Il popolo rossoblu si rianimò, diede luogo ad una grande dimostrazione (con Cazzola in testa), chiedendo un calcio pulito e invocando condanne esemplari. Si riaccese per il Bologna la speranza di un ripescaggio, essendo ben quattro le società che avevano barato infrangendo il codice di lealtà sportiva e che erano in odore di retrocessione.

Tutti o quasi noi tifosi bolognesi pensavamo che la giustizia sportiva, avrebbe erogato pene esemplari nei confronti dei corruttori e dei corrotti (Juve, Milan, Lazio, Fiorentina). L’avvocato Grassani dagli schermi di è-tv pontificava codice alla mano che il danno subito dal Bologna era lapalissiano; sembrava tutto facile e scontato. Gli effetti del processo sportivo però, che si celebrò e che vide la pubblica accusa chiedere la retrocessione della Juve e pesanti penalità per le altre, si stemperarono a poco a poco. L’euforia per il mondiale vinto in nome del quale molti chiedevano l’amnistia, il bombardamento del fuoco mediatico delle tv berlusconiane, gli interventi della casta romana, annacquarono le gravi responsabilità accertate. Il processo di appello si concluse con salomoniche sentenze nell’intento di salvare capra e cavoli; fu così che tutte le colpe ricaddero sulla sola Juve, la grande corruttrice, ritenuta l’unica responsabile oggettiva di tutte le malefatte compiute dai suoi dirigenti.

“Oltre al danno anche le beffe” – mi sussurrava maliziosamente la bottiglia tutte le volte che aprivo il frigo – “così invece di tre posti per il prossimo campionato ne resteranno a disposizione soltanto due e, ironia della sorte, hanno ripescato il Messina, abusivo della seria A già lo scorso anno. Rassegnati anche tu, io mi sono già abituata all’idea di passare un altro anno in ghiacciaia, spero solo di non morire di freddo. Fammi solo il favore di portarmi ogni tanto sul balcone a prendere una boccata d’aria”. “Io invece non mi rassegno proprio” – le rispondevo – “anche se devo constatare che la giustizia in questo paese è un’utopia”.

Il secondo anno di purgatorio, con zio Ulli alla guida tecnica a furor di popolo, sembrava promettere bene e la squadra pareva girare a dovere tanto da insediarsi ai primi posti della graduatoria nonostante alcuni torti macroscopici subiti. “E’ l’anno buono”, dicevo alla bottiglia tutte le volte che aprivo il frigo; “ è presto per cantare vittoria – mi rispondeva – il Palazzo ha altre priorità e ben che vada ci sarà un solo posto libero per salire sul treno”. Effettivamente Juve, Napoli e Genoa di riffa o di raffa

macinavano punti mentre il Bologna cominciava ad arrancare ed a perdere colpi; zio Ulli, stizzoso, permaloso e polemico se la prendeva con tutti, dal presidente a quei giocatori di personalità che osavano dubitare del suo credo calcistico ed ai quali regolarmente non faceva toccare il campo.

La infausta notte di Genova rappresentò l’apice della sagacia tattica dell’uomo di san Miniato: l’invenzione di Daino centrocampista play davanti alla difesa. Il Bologna si beccò in un amen ben tre pere e la notte portò consiglio a ser Alfred ed al suo staff. Fu sancita la rottura definitiva di un rapporto già incrinato dalle troppe ciarle del coach nei confronti del quale ser Alfred mostrava sempre più antipatia e insofferenza. La squadra venne affidata al Cecco, il secondo che accettò senza chiedere il permesso al Genio ed il campionato si concluse malamente senza nemmeno la disputa dei play off.

I sogni di rinascita dovevano essere rimandati alla stagione successiva.

“Speriamo che il prossimo sia l’anno buono”, confidavo sconsolato alla mia bottiglia sempre più triste e corrucciata; “ eh sì speriamo, speriamo pure” - bofonchiava lei – se non mi stappi alla fine di questo campionato giuro che mi lascerò morire per assideramento”.

Dopo un campionato condotto quasi sempre nelle prime posizioni condito da un’infinità di emozioni, soprattutto alla giornata -3 dalla fine quando con la sconfitta del Lecce e dell’Albino siamo tornati al secondo posto con la possibilità della promozione diretta.

Restavano le ultime due partite da vincere assolutamente. “Che sia la volta buona” – sembrava dirmi la bottiglia trepidante – sai che non ne posso proprio più di questa fredda prigione; vorrei tanto liberarmi ed andare a riposare definitivamente in un posticino più caldo”. “Sono tre anni che soffro come una bestia – le rispondevo - e pure io sono stanco di questo purgatorio. Facciamo però tutti gli scongiuri del caso e se anche stavolta non dovesse andare bene, ti prometto solennemente che ti libererò comunque dalla schiavitù del frigo e ti regalerò al primo barbone che incontrerò per la strada. Però adesso, per scaramanzia, non parliamone più fino alla conclusione del campionato e quando dovrò aprire il frigorifero facciamo finta di non conoscerci.”

Alla penultima venne l’importante vittoria a Mantova, decisiva per restare in corsa e per alimentare la speranza nonostante le gufate del trio Merda (Fascetti, D’Amico, Lauro) che si ostinavano a negare i favori del pronostico al Bologna per la corsa finale. “Che vi venisse un canchero brutti busoni che prendete delle barcate di soldi solo per sparar cazzate” - imprecavo dentro di me – “ma cosa vi ha fatto di male il Bologna per darci sempre contro? Guardalo D’Amico con quella faccia da sifilitico e Fascetti con quel sorriso da ebete! Ma andate a prendervela in quel posto!”

E così dopo una settimana di trepida attesa con il cervello fumante per l’alternarsi di vorticosi pensieri e l’intestino stimolato oltre il normale, arriva l’alba del primo giugno giorno nel quale si giocherà la partita dell’anno. O la va e sarà serie A diretta o si dovrà andare alla lotteria dei play.

Con lo stomaco che si stringe sempre di più e non vuol sapere di ingerire nulla, un orecchio alla radio e la TV accesa sull’ultima tappa del Giro.

Minuto 9^ del primo tempo: calcio di rigore a favore del Bologna; Marazzina, tiro, rete. Eh vai! Stavolta ci siamo.

Minuto 10^ colpo di testa di un difensore del Pisa:palo!

Non è possibile, sempre la stessa storia, i fantasmi di Ravenna, di Ascoli e Bari sorridono beffardi mentre anche il Lecce segna. Siamo al testa a testa, bisogna tener duro. Spengo la radio non ce la faccio più; troppa agitazione, il cuore batte forte forte, le coronarie rischiano di saltare da un momento all’altro. Con occhio distratto e con il nodo allo stomaco continuo a guardare il giro ove gli atleti stanno sopportando l’ultima fatica tirando rapportoni in una cronometro piatta. Guarda Riccò, il cobra di Formigine che ce la sta mettendo tutta, ma el Contador è di un altro pianeta. Il piccolo Sella vestito di verde che ha spopolato sulle grandi salite e che i cronisti vogliono accostare al grande pirata. Ma quando mai! Come il grande Marco, che bestemmia. Lentamente passano i minuti finchè alle 16 e 45 riaccendo la radio e passo contemporaneamente sul canale satellitare di è-tv dove la Sabrina emozionantissima sta raccontando le ultimi fasi palpitanti della partita ancora inchiodata sul risultato di 1 a 0, risultato d’incanto per noi.

Finalmente il fischio liberatorio di Rosetti, i giocatori che si abbracciano in campo e corrono sotto la curva; il grande incubo è finito, è iniziata la festa!

Anch’io ho un debito da risarcire: vado in cucina, apro il frigo, afferrò la bottiglia e mi sposto sul balcone. “Finalmente – sembra dirmi lei – temevo proprio di morire in quella ghiacciaia” “Calma, calma, adesso ti libero e farò un botto che si dovrà udire anche dalla stazione di Porta Nuova.

Piano piano tolgo la protezione dal tappo ed inizio ad agitare la bottiglia alla stregua di come fanno i piloti di formula uno sul podio dei Gran prix. Agita, agita e muovi piano piano il tappo finchè il gas compresso non esplode in un gran botto che spedisce il tappo sul tetto della casa di fronte. Insieme al tappo, anche il contenuto della bottiglia si spande un po’ dovunque: sul viso, sulla camicia, sui calzoni, sul pavimento e sulla testa del cane che assisteva incuriosito all’operazione e che scappa via spaventato. Di spumante, ne restano appena due dita in fondo alla bottiglia e quello me scolo con voluttà a garganella. Poi, dopo aver telefonato al Filese con il quale per scaramanzia non mi sentivo da molto tempo, acchiappo la compagna di tante sofferenze e la vado a deporre nella campana della raccolta differenziata. “Grazie”, mi sussurra per l’ultima volta mentre la lascio cadere nel contenitore, “la prossima volta lo spumante non acquistarlo prima, ma dopo se non vuoi far soffrire inutilmente una delle mie sorelle”. “Hai ragione, buon riposo” le rispondo andandomene, “terrò a mente il tuo consiglio.”

P.S. Alla faccia del proverbio: “anno bisesto, anno funesto”. A noi tifosi del Bologna è andata bene non solo per la serie A conquistata, ma anche per la caduta in B degli abusivi del Parma, dei corrotti di Spinello giallo e dello scivolone in C dei cugini cesenati che, è bene ricordarlo, temporibus illis ci diedero lo spintone decisivo per buttarci giù e poi esposero sull’autostrada del mare uno striscione con su scritto: arrivederCi. Con il tempo e con la paglia maturano anche le nespole: al saldo dei conti manca ancora la Reggina di Lillo Fotti.

mercoledì 4 giugno 2008

Il duro mestiere del profeta...



(Corsivo del «Filese» in salsa rossoblu)

Agide Vandini, grande appassionato di calcio, partecipa da anni col nickname di «Filese» al forum del sito www.forumrossoblu.org, e scrive di tanto in tanto corsivi di contenuto storico-folclorico dal tono scherzoso, dedicati di volta in volta all’attualità della squadra del cuore, il Bologna FC 1909. Non poteva mancare perciò un articolo dedicato alla spasmodica promozione in serie A di questi giorni, una vera e propria Liberazione dopo i tre lunghi e sofferti anni di purgatorio in serie B.


In questo nostro paese, di santi, di navigatori e di poeti, di Ciarlatani, Imbonitori ed Indovini, non nascono più menti profetiche come lo storico iettatore Luca Gaurico (1476-1558), micidiale astrologo di grande reputazione e talento, che meravigliò ed inquietò i potenti della sua epoca; nascono invece più modesti tentativi di imitazione come il trio televisivo composto da Fascetti, D’Amico & Lauro, settimanali sputasentenze, elargitori di profezie orrende e catastrofiche intorno alle sorti del campionato rossoblù, oroscopi nefasti al punto da valergli, nella città delle Due Torri, l’antico e celebrato appellativo di Ufaisa di Dio; prima però di dire perché, come nei vecchi romanzi d’appendice, facciamo un piccolo passo indietro.

Luca Gaurico

La carriera dell’astrologo Lucas Gauricus ad inizio Cinquecento fu folgorante. Al servizio quale «consulente astrologico» di potenti come Caterina de’ Medici, previde con largo anticipo nomi, malattie e morte dei papi, le loro tante dispute politiche con re ed imperatori. Gli andò però proprio male con Giovanni II Bentivoglio, podestà di Bologna, a cui predisse la perdita della signoria sulla città, poi avvenuta puntualmente nel 1506 per scomunica papale. Poco gratificato dalla profezia, il Bentivoglio sottopose Gaurico alla tortura della mancuerda. Lo fece appendere ad una fune calata da un’alta scala a chiocciola e da lì lo fece sbattere per ben cinque volte contro il muro.

L’astrologo finì in esilio, ma non guarì mai dal vizio di far profezie. Ne fece e ne azzeccò ancora negli anni che seguirono. Ebbe titoli, onorificenze e cariche religiose (dopo la morte del Bentivoglio), ma non scordò mai la sventura bolognese che, ahimè, non aveva per nulla previsto.

Il trio di apprendisti stregoni televisivi « Fascetti, D’Amico & Lauro », grazie al cielo, di iettature ne ha provocate poche, anzi, nessuna, nonostante abbia continuato imperterrito per tutto l’anno ad invocare, con tono quasi risentito, iazze, sfighe e calamità immani sulla testa dei bolognesi, magnificando regolarmente i concorrenti, ghignando di soddisfazione nei (pochi) momenti di magra della stagione, guadagnandosi in perpetuum, questo trio delle meraviglie, l’oscar dell’antipatia del pur cordialissimo popolo rossoblù.

A promozione avvenuta e dopo l’esplosione di gioia in città, scartata l’ipotesi della mancuerda, non rimane, a noi tifosi, che darci, nei loro confronti, al più sacrosanto e doveroso gavettone virtuale, provvedendo ad un vero e proprio atto di battesimo con tanto di nome appropriato, ossia una meritata condanna a vita per questo trio tanto maldestro.

Perché Ufaisa di Dio? Perché dare a Fascetti & C. proprio il nome della famosa osteria di Bologna di via Foscherari? Per una questione di stile direi, ossia per quel modo garbato e per quella ironia sottile che da sempre contraddistingue i bolognesi, che diedero quella singolare denominazione all’antico locale, dopo l’avventura tragicomica toccata ad uno dei primi proprietari dell’Osteria.

Il buon uomo aveva infatti avuto la fortuna (o sfortuna che dir si voglia) di sorprendere la legittima consorte in un colloquio fin troppo intimo con un cliente. Qualcuno penserà che il marito offeso così pesantemente abbia afferrato il coltello. Errore. Sopra la colpevole coppia colta in flagrante pendeva però, innocente, un piccolo crocefisso, ed il pio uomo, coniuge modello, rivolse testualmente alla donna, col tono del più aspro rimprovero, queste parole: «Che tu faccia torto a me, cara moglie, passi; ma non hai rimorso dell’offesa di Dio?»

Fu per queste memorabili rampogne che, da allora, l’Osteria fu chiamata con quel nome bizzarro e che lì, anziché il rosso del sangue, ha continuato a scorrervi il rosso amore delle viti bolognesi.

Ebbene sì, una tale ed unica capacità di stile nelle grandi occasioni va riconosciuta con buon diritto ai petroniani e l’appellativo «Ufaisa di Dio» direi che possa proprio calzare a pennello anche per il trio di pseudo commentatori televisivi, stante l’offesa manifesta, se non alla religione, quanto meno all’intelligenza comune. Se il nome non dovesse piacere, si consolino Lorsignori, poteva andar peggio, soprattutto ripensando al povero Gauricus...

Andò piuttosto grigia anche al barbiere bolognese che nel primo ‘900 cercò di farsi beffa del romagnolo (altro stile, come vedremo…) Olindo Guerrini, vate impareggiabile, venuto a sbarbarsi in città e creduto lì per lì un povero sordo e muto. Sentite un po’, e ditemi se, anche a voi, quel barbiere non ricorda da vicino il trio Ufaisa di Dio:

La Bŏrla a e’ barbir

Donca, avì da savé che un dè a Bulógna

Andè in butega da un barbir, zet, zet,

Cun una chêrta ch’a j avéva scret:

«Fate la barba a me che mi bisogna».


«Quest – e’ diš e’ barbir – l’è una carogna

D’un sórd e mot», e i su sotpanza i-s met

A insavunêm e’ muš sóra un banchet,

Cun una tvaja ch’l’éra una vargogna.


E i-m dašéva de’ stòpid, de’ sandron

De’ sumar, dl’imbezel bech e cuntent

E me a sintéva, mo a stašéva bon.


Fata la bêrba, a des:«Grazie al mi žent

E ades, fašim la savunê a i quajon».

A-m cardè ch’u j avnes un azident!

La Burla dal barbiere

Dovete sapere che un giorno a Bologna

Andai nella bottega di un barbiere, zitto, zitto,

Con una carta in cui avevo scritto:

«Fate la barba a me che mi bisogna».


«Questo - disse il barbiere – è una carogna

Di sordomuto», e i suoi aiutanti si misero

Ad insaponarmi il muso sopra un banchetto,

Con una tovaglia che era una vergogna.


E mi davano dello stupido, del sandrone

Del somaro, dell’imbecille becco e contento

Ed io ascoltavo, ma stavo buono.


Fatta la barba, dissi:«Grazie la mia gente

E adesso, fatemi la saponata nei coglioni».

Credetti che gli venisse un accidente!


Bologna comunque, con buona pace dei tanti iettatori mancati (il «ciao ciao Bologna» sulla rosea di poche settimane fa, grida ancora vendetta…), ora è tornata in forze, coi suoi colori, con la sua bandiera gloriosa, nella casa degli avi, la serie A, e da lì cercherà di non essere più sfrattata, né sul campo, né per telefono.

Anche il Bologna in B, del resto, era una Ufaisa di Dio

Esauriti i gavettoni, regolati i conticini, ora si può davvero far festa, con orgoglio e soddisfazione.

Onore a Cazzola, ai suoi collaboratori, tecnici e giocatori. Alleluja.

Il Filese, 3 giugno 2008