mercoledì 19 aprile 2023

Un simbolo di Memoria e di Riconoscenza

 Cosa c’è da sapere intorno al Monumento dedicato ai nostri Caduti

di Agide Vandini

 

                                        (Il monumento oggi - Foto Vandini, 2008)


Pochi giorni fa abbiamo celebrato con molta solennità e alla presenza dei bimbi delle scuole, la ricorrenza della Liberazione del nostro paese avvenuta, come sappiamo, il 14 aprile del 1945.

A ricordo di quei momenti di 78 anni fa, disponiamo di un breve filmato girato dall’Armata liberatrice. Sono pochi fotogrammi in bianco e nero che ci mostrano il devastato centro del paese di Filo che sta per essere liberato dalle Forze Alleate, dopo la cruenta battaglia del giorno prima al Borgo Molino, battaglia a cui avevano partecipato anche i nostri partigiani. Sono immagini di Filo e del Ponte Bastia, immagini crude, desolanti, tuttavia rappresentative di ciò che rimaneva dell’abitato di Filo e di quante, e quanto gravi, furono le perdite, materiali ed umane, inferte alle comunità poste fra il fiume Reno e le Valli di Comacchio, a causa - va detto per rispetto della storia - della ferocia e delle mire insensate di una dittatura fascista succube dell’alleato nazista e di una monarchia vanagloriosa ed inetta.

 


Il video d’epoca

 

Venerdì scorso, come in ogni ricorrenza, i filesi hanno deposto, per mano del loro primo Cittadino, fiori e corone in ognuno dei cippi che ricordano i loro Martiri della Libertà, nonché davanti al pregevole Monumento ai Caduti che i cittadini di Filo vollero erigere nel decennale della Liberazione, nel lontano 1955.

In fondo a queste righe posterò il breve video della recente Cerimonia, ma, in questo contesto è forse bene ricordare, a beneficio delle nuove generazioni, come e perché il nostro Monumento ai Caduti fu eretto, a chi fu dedicato, di chi fu il disegno, chi fu l’autore delle pregevoli opere che vi vennero inserite, chi lo realizzò e quali volevano essere i significati di ogni elemento della composizione.

 

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Il Monumento fu edificato sullo sfondo di piazza Agida Cavalli, un’area ricavata dal «campicello» di proprietà Comunale, adiacente alle cosiddette «Scuole Vecchie», edificio che, come si nota dal filmato d’epoca, fu devastato e reso inabitabile dai bombardamenti che accompagnarono il passaggio del fronte di guerra.




La cerimonia di inaugurazione, di cui si riportano alcune immagini (con colorazione postuma ottenuta con processo digitale), si tenne il 24 aprile 1955 e fu costituita, in successione, da una Messa di suffragio ai Caduti nella chiesa di Filo, da un corteo al Cimitero del paese, per poi concludersi con la solenne mostra al pubblico del Monumento presso il quale si tennero i discorsi celebrativi.

 

  

Nelle due foto, sul palco, il Sindaco Carlo Bolognesi ed una visione panoramica della cerimonia.

Sotto il monumento e la piazzetta «Agida Cavalli» in una cartolina anni ‘50.

 


 

Come si giunse alla realizzazione dell’opera ce lo raccontò bene Libero Ricci Maccarini, uomo di spicco della cooperazione nel dopoguerra, in uno dei capitoli del suo libro di memorie «Dal Palazzone», libro che viene riproposto proprio in questi giorni in una nuova e documentata edizione[1].

Questi i punti più interessanti sottolineati dall’autore (fra «virgolette» le citazioni testuali).

 

Perché erigere il Monumento

«Importava che si erigesse il monumento, che fosse bello e, soprattutto, concepito in maniera da ricordare tutti i morti […]» Chi avesse visitato Filo doveva farsi «…un’opinione vera del modo di essere di un paese che, forse senza volerlo, ha trasfuso nel simbolismo e nel ricordo tante amarezze, nonché la civile virtù di non dimenticare i propri morti…»

 

La collocazione e la prospettiva

L’opera monumentale non poté che essere collocata: «… nella piazzetta bassa e disadorna, nascosta dalla Casa del Popolo, a ridosso di un fondale dalla prospettazione mal definita […] Fu giocoforza per questo piantare e farvi crescere una fila di pioppi siberiani, perché con l’alto fusto e il ventaglio della ramificazione se ne ottenesse una verde barriera che potesse attenuare il contrasto prodotto dal comporsi corretto dell’opera…»

 

L’assemblea pubblica - Progetto, artisti ed esecutori dell’opera

Tutte le proprietà dell’opera «… vennero illustrate in un’assemblea pubblica, quando fu il momento di porre mano ai lavori, con l’ausilio di un modellino fornitoci dall’architetto Parolini e disponendo secondo richiesta di tre bozzetti riproducenti il monolito e le due figure scolpite da Angelo Biancini, fino a nutrire certezza che la complessità rappresentativa corrispondeva all’onesto ricordo e all’interpretazione intima e fedele della memoria voluta dai presenti.

Umanizzato in tale maniera l’apporto degli artisti che avevano concorso alla creazione dell’opera, fu per mano di un muratore locale, figlio di un vecchio sindacalista [2], che il monumento prese corpo e venne a pronunciarsi nelle sue linee e nel significato raggiunto, fino a fornire una coralità artistica ed espressiva qual è raro riconoscere in attestati di eguale concezione rappresentativa […]

Cosi i filesi [sia di parte ferrarese, sia di parte ravennate - n.d.A. -], associati nelle loro cooperative che ne curarono le varie fasi della esecuzione, si fecero carico di ogni onerosità».

 

I tanti Caduti di ogni tempo e le croci senza nome

«…i Caduti da ricordare erano veramente tanti, e nessuno poteva o doveva essere dimenticato.

 

Né quelli della prima guerra mondiale, le cui madri e le vedove, ancora in gramaglie, attendevano che si desse migliore memoria dei loro cari, più di quanto non s’era preteso mostrare con la tardiva lapide attaccata in una qualche maniera sul frontale delle “scuole nuove” [3];

né gli antifascisti percossi a morte ed i primi sindacalisti bastonati e perseguitati fino alla loro eliminazione fisica;

né i caduti disseminati in Africa e sui tanti fronti dell’ultima guerra, della cui triste sorte restava solo l’ultima agghiacciante notizia recata dal solito incolpevole carabiniere; né i caduti della Resistenza;

né, infine, quanti furono travolti nelle proprie case, vittime di quegli eventi bellici che, pure, dovevano riportare ai sopravvissuti il grande dono della Liberazione.

 

I caduti erano tanti, sì, e tante dovevano essere le croci senza nome, cui poter dare il nome di ognuno, delineate dietro, sul muro nudo, elevato coi nostri mattoni insabbiati e di color rosso dimesso, qual era quello delle nostre case…»

 

Elementi di completamento

«Il marmo bugnato doveva riprendere, anonimamente, l’asprezza dei monti d’ogni paese percorso controvoglia, e l’arenaria del muraglione di destra e dei gradoni far ricordare il premere più vicino delle colline amiche, che colsero l’ultimo momento di tre nostri compagni, ora non più con noi a comporre le piccole e le grandi cose nelle quali avevamo creduto insieme [4] […]

Veniva poi a completare l’assieme, l’ampia gradinata, la vasca richiamante i maceri ora colmati senza pietà da un mondo in grande cambiamento…» [5]

A questi elementi vanno aggiunti i tre pennoni decorativi, ognuno dei quali - come ben si nota dalle immagini della cerimonia inaugurale - dedicato ad un colore della nostra bandiera nazionale.

 

Lo scultore

Angelo Biancini è una delle figure più rappresentative della scultura e dell’arte ceramica italiana del Novecento.

Nato a Castel Bolognese nel 1911, a diciott’anni si iscrive al Regio Istituto d’arte di Firenze dove frequenta lo studio dello scultore Libero Andreotti. Si diploma nel 1934 nel III Corso della sezione “scultura decorativa arte del legno” e ottiene in quegli anni i primi riconoscimenti in mostre e rassegne d’arte di ambito locale, come il Premio Rubicone a Rimini nel 1934.

Dal 1937 al 1940 si trasferisce alla direzione artistica della Società Ceramica Italiana. Nel 1943 entra all’Istituto d’arte della Ceramica di Faenza, e nel dopo guerra, subentra a Domenico Rambelli nella cattedra di Plastica.

In quegli anni la figura di Biancini emerge come una delle più autorevoli tra le nuove leve della scultura italiana.  Nel 1946 partecipa alla grande mostra organizzata dalla Galleria della Spiga di Milano, ove poi le due personali del 1948 e del 1956 alla Galleria San Fedele lo impongono all’attenzione della critica nazionale.

Tra le opere a carattere commemorativo dello scultore e ceramista, si ricordano il Monumento alla Resistenza di Alfonsine (1972) e i monumenti a Grazia Deledda a Cervia (1956) e a Don Minzoni ad Argenta (1973). Nel 1973 gli viene riservata una sala personale nella Collezione d’Arte Moderna Religiosa dei Musei Vaticani. Nel 1981 lascia l’Istituto d’Arte di Faenza e continua a lavorare in uno studio nelle immediate vicinanze della scuola. Muore il 3 gennaio 1988 [6].

 

Il partigiano caduto

«Si osservi l’Eroe, riverso, senza divisa e con la “canottiera”, che sa di ribollir di stoppie e di trebbiature patite dal sorgere del sole al cadere del giorno; o che ricorda il vociare aspro del boaro ai buoi, dietro l’aratro, quando ancora il sollievo della trattrice era solo un sogno; o che rivela l’ossuta e asciutta corporatura dell’uomo aduso al largo gesto dello sfalcio dei campi, chiuso e contenuto nell’essenzialità del suo vigore e nell’assunto incombente di dover dare il pane ai suoi cari.

Qualcuno ne ha voluto considerare troppo marcata la configurazione facciale e non proprio perfetto l’abbandono delle membra e del corpo, giacché la vita si è spenta; si può nutrire rispetto all’altrui opinione, ma una cosa è certa e conta ai fini della rappresentazione voluta: in Lui noi ci riconosciamo!»

La madre piangente

«Ogni riserva poi scompare, allorché lo sguardo si posa sulla figura materna, piangente e contrita, in quel viluppo di pieghe che il grembiule, stretto con la cordella ai fianchi, raccoglie nella mestizia della veste nera, quella che da sempre segna la costante del lutto e il sacrificio dell’esistenza vissuta solo per la famiglia.

Quel disperato gesto delle mani portate al volto, a nascondere un pianto che vuol invocare la sublimazione della penitenza e, insieme, la compassione per lei, costretta a vivere quando il senso dell’esistenza si è dissolto con la scomparsa del figlio: quel gesto, sì, noi tutti lo comprendiamo bene…»

 

 

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È intorno a questo simbolo di Memoria e di Riconoscenza che i filesi di oggi, ogni 14 aprile ancora si raccolgono, grati a chi sacrificò la propria vita per la Libertà e la Democrazia, fieri delle loro radici, della loro storia e della loro identità.

 

 



Il video della recente Cerimonia



[1] Libero Ricci Maccarini, I racconti del «Palazzone» curati da A. Vandini, Longastrino, CDS Edizioni, 2022, pp. 151-155. Il libro è attualmente disponibile presso l’Editore, nonché presso  le due edicole filesi.

[2] Trattasi di Paolo Panizza (Péval), il cui padre era stato sindacalista e presidente della Coop Muratori. Lavorò sotto la direzione di Barbieri Emanuele che a sua volta collocò, sotto uno scalino del monumento, una dedica scritta ai caduti filesi (testimonianza di Coatti Antonio, Tugnön).

[3] Per «scuole nuove» devono intendersi le aule edificate all’epoca nel terreno oggi parco dell’ex asilo, aule distrutte dai bombardamenti, così come la lapide commemorativa, il cui testo andò perduto.

[4] I tre caduti partigiani cui si fa cenno avevano combattuto sui monti di Romagna nelle fila della 36° Brigata Garibaldi «A. Bianconcini» dando prova di grandissimo ardimento. Caddero dapprima Ainis Trapani (Baröni) e Pietro Liverani (Pirì) il 25 maggio del ‘44 sul Monte Carzolano, in terra toscana, oltre Palazzolo sul Senio, poi, quasi cinque mesi dopo, il 18 ottobre, Mario Guerra (Mao), ferito nella battaglia di Purocielo nell’Appennino faentino, catturato e fucilato pochi giorni dopo dai fascisti al Poligono di tiro di Bologna.

[5] La vasca coi pesci rossi, rimasta in funzione per alcuni anni, poco alla volta si interrò e non fu ripristinata in occasione del restauro del monumento operato ad inizio secolo. In quella occasione, fu eretto, a fianco dell’opera, un cippo commemorativo dedicato al sacrificio di Agida Cavalli, madre e partigiana, cui è dedicata la piazza.

[6] Ad Angelo Biancini, alle diverse opere di cui ha fatto onore e dono al paese di Filo, ho già dedicato un corposo articolo in questo stesso blog nell’ormai lontano 2009: http://filese.blogspot.com/2009/10/le-opere-filesi-del-maestro-angelo.html . Per una biografia completa e per una rassegna delle opere più note dello scultore si possono consultare anche: https://it.wikipedia.org/wiki/Angelo_Biancini   e : https://www.angelobiancini.com/about