giovedì 24 febbraio 2022

Nuova Edizione per la monografia «Filo 1944»

 

Integrato il testo dedicato agli eventi drammatici filesi del 1944

di Agide Vandini

 

 


Qualche mese fa, nell’ambito della mia collaborazione al volume «La perdita del ricordo tra sentimento ed oblio» uscito lo scorso luglio a cura del Circolo Filatelico di Alfonsine e presentato a Filo con una bella iniziativa della Fondazione Primaro, sono venuto a conoscenza di recenti e fruttuose ricerche effettuate presso l’Archivio di Stato di Ferrara.

I documenti ivi reperiti hanno consentito di redigere una sintesi delle ripercussioni giudiziarie che, nell’immediato dopoguerra, riguardarono i componenti della spedizione squadrista che aveva agito a Filo alla fine di febbraio del 1944, la Brigata Nera responsabile dell’uccisione di Agida Cavalli.

Quei contenuti archivistici, che non hanno trovato spazio nella predetta e pur lodevole pubblicazione alfonsinese, ho pensato di renderli noti e disponibili ai filesi. Ho così provveduto ad integrare le note da me curate nel 2014, adeguando in alcuni punti la monografia a suo tempo distribuita dalla locale Sezione ANPI nel 70° dei drammatici eventi che segnarono la Resistenza all’occupazione nazi-fascista nel nostro piccolo paese.

La nuova Edizione del Quaderno n. 10 dell’Irôla, dedicato integralmente ed esclusivamente alla monografia, per quanti ne sono interessati, è ora disponibile a questo link:

 

https://drive.google.com/file/d/1xwf6GmyK2m4OUd9_nZ9_Reqi3IO_xdOT/view?usp=sharing

 

Il file pdf di 38 pagine, già predisposto per la stampa, è scaricabile gratuitamente.

sabato 12 febbraio 2022

Fabriago - Campanile, ovvero «la Bruŝê»

 

Un po’ di storia intorno alla terra d’origine di nunì Capitèni

di Agide Vandini

 



Una quindicina d’anni fa, grazie a pazienti ricerche condotte nelle vicine parrocchie della Bassa Romagna riuscii a ricostruire provenienza e spostamenti della famiglia di mamma Elvira, la più giovane dei tanti figli di nonno Pasquale.

Il ramo dei Toschi da cui discendeva il nonno era comunemente chiamato dei «Capitèni», un soprannome che mi ha sempre incuriosito, soprattutto mancando memoria di uomini d’armi in una famiglia da secoli legata alla terra. Ricostruendo gli spostamenti e risalendo al luogo di antico stanziamento dei miei avi, sono poi riuscito anche a spiegarmi l’origine del curioso soprannome. Ma andiamo con ordine.

Il nonno, contadino e mezzadro per quasi tutta la vita, dopo innumerevoli peregrinazioni finì per costruire la propria casetta a Filo di Alfonsine. Lui era nativo di Conselice, ma mia madre mi aveva spesso parlato di sue strette parentele nei dintorni della Bruŝê, ovvero del paese di Campanile - S. Maria in Fabriago. Le fonti consultate, quelle parrocchiali in particolare, dimostrarono ben presto come il nostro ramo dei Toschi, avesse vissuto per lungo tempo proprio in quei luoghi, rimanendovi fino a metà Ottocento, allorché il bisnonno Giuseppe si spostò verso ovest di un paio di Km e si stabilì a Conselice.

Grazie alle mie ricerche potei ricostruire con completezza il ramo ascendente della famiglia risalendo fino ai primi del Settecento. Più oltre nel tempo, una dettagliata ricostruzione anagrafica non mi fu possibile. Consultando alcune fonti storiche, potei però rendermi conto di come il radicamento dei Toschi in quel territorio, fosse da considerarsi ben più antico, con una presenza risalente quanto meno al Basso Medioevo.

È una conclusione a cui si giunge ripercorrendo un po’ di storia della Bruŝê, pochi cenni che ora propongo qui, rifacendomi a quanto, intorno al luogo, ci raccontò tre secoli fa Fra’ Bonoli da Lugo

Sono certo che le brevi note susciteranno interesse anche nel territorio ove sono nato e cresciuto, data la naturale curiosità dei filesi verso i paesi di provenienza di tante loro famiglie, quelle che qui, fra Po Vecchio e Po Nuovo, vennero a stabilirsi nel primo Ottocento.

 

***

 

Campanile - Santa Maria in Fabriago, un po’ di storia  

 

«Il Castello di Fabbriago, chiamato anche Fabbriga, in oggi Villa del Territorio di Lugo, fu luogo sì onorevole e degno, che nelle Scritture autentiche godeva il nome di Terra…»[1] così esordisce, nel 1732, Padre Girolamo Bonoli, dei Minori Conventuali Francescani di Lugo, nel raccontare l’antica storia della terra dei mei miei avi.

Il monaco settecentesco ci racconta di quei luoghi anche in secoli assai lontani dal suo tempo: «…era per la vicinanza con Lugo e Conselice paese di traffico, scorrendo tra esso e Conselice, una gran fossa, per la quale le merci passavano da Conselice al suo porto, e di poi si avanzavano a Lugo: di quella fossa anco a’ nostri tempi se ne conservano le vestige, che generalmente si dicono il Canal morto. Nella popolazione e nell’ampiezza del Territorio passava fra’ i primi castelli de’ nostri contorni, e se non fosse stato di breve durata à del verisimile che divenisse il maggiore di tutti».

Egli spiega poi come e perché, questo castello finì in feudo alla «nobile famiglia de’ Marcheselli, tra le primarie di Ferrara, chiamata anco degli Adelardi» e come lo stesso castello fosse stato fabbricato da «Ostasio padre di Marchesello de’ Marcheselli nel secolo undecimo di nostra redenzione». [Va qui annotato per inciso che sulle rovine di quell’antico castello del secolo XI fu poi eretto quello attuale dei Duchi Massari Zavaglia].

Nelle note storiche di Padre Bonoli, queste terre ci vengono descritte come soggette alle decime dell’Arcivescovo di Imola, poste nella Selva di Lugo e «ridotte a coltura, ovvero prative, ogniuna di loro per cagione dell’acque, che teneva d’intorno, alla guisa dell’Isole stava divisa e separata dall’altra; nelli medesime v’erano più o meno abitazioni, a misura della grandezza maggiore e minore, che avevano del terreno a coltura…»

A poca distanza dal Castello di Fabbriago, ma distinto da esso, il padre francescano ci descrive l’abitato di Campanile: «Oltre la fabbrica del Castello fondarono altresì i Marcheselli la Chiesa Parrocchiale sotto l’Invocazione di Maria Vergine Nostra Signora, do­tandola con buona rendita, per la quale riportò nome di Pieve ed il suo Parroco titolo d’Arciprete. La nobile Torre di forma rotonda, la quale in oggi serve per le campane della moderna Parrocchiale, e dà il nome di Campanile alla Villa, dovette ancor essa avere l’essere da’ medesimi fondatori del Castello e delle Chiesa…»


Tornando alla Villa di Fabbriago, apprendiamo ancora dal Bonoli come, ad inizio Settecento il luogo, o una parte di esso, portasse già l’appellativo di «Bruciata».  Egli si sofferma infatti sulle «…fabbriche ragguardevoli di questo Villaggio, il quale in oggi sta popolato di 300 fuochi in circa, e da 3000 persone, la più degna dell’altre è quella della Brugiata, alla quale non manca che il titolo di castello…».

 

Perché la Brusê? Da dove proviene il termine?

 

Che cosa poi indicasse il termine «Brugiata», almeno secondo le conoscenze dell’epoca, Padre Bonoli non lo dice.

Cercò di spiegarselo invece in anni più recenti A. F. Babini, storico di Giovecca di Lugo. Egli scrisse in proposito: «Il luogo di Santa Maria in Fabriago fu poi detto la «Bruciata» perché distrutto da un incendio»[2]. Del fantomatico rogo tuttavia Babini non indicò l’epoca, né, in verità, si è mai saputo da altre fonti di un simile evento. È possibile perciò che si tratti di antica congettura, o voce popolare, costruita su di un termine dialettale che pare suggerire il significato del toponimo.

Io però, in assenza di circostanziati e plausibili sostegni delle fonti storiche, propendo per ben altra spiegazione, a mio avviso più logica ed attendibile. Essa sta proprio in poche righe riportate dallo stesso A.F. Babini, appena tre pagine prima della citata affermazione: «In questo luogo nel 1188 Brusatus figlio di Tusci pagava 30 pesci ai Canonici di san Cassiano per un manso di terra»[3].

L’autore non fornisce i riferimenti archivistici del documento citato, ma la verosimile notizia pare indicare a sufficienza come all’origine del toponimo «Bruciata», in dialetto Bruŝê, ci sia proprio il termine Brusata, ovvero la «terra dell’antico proprietario Brusatus». Sappiamo bene, del resto, come in materia di toponimi si debba sempre tenere in debito conto l’usanza, fin da epoche remote, di chiamare le località col nome (al femminile) del proprietario[4].

Il nome antico, perciò,  di Santa Maria in Fabriago, per quanto possa lasciare qualcuno a bocca aperta, pare in sostanza ricondurre ad uno dei miei lontanissimi avi, a quel Brusatus, figlio di Tusci, niente meno che un Toschi  del XII sec., a quell’epoca già insediato nel territorio…

 

E il soprannome di famiglia dei Capitèni?... Sul suo significato non ho più dubbi da quando, al tempo delle mie ricerche, notai in uno dei registri dei Battesimi l’indicazione di provenienza di uno dei nominativi, ossia Capites Silicis, versione latina di Conselice…

I Capitèni, in definitiva, altro non sono che quel ramo dei Toschi che, dalla Bruŝê, si trasferì un bel giorno dalle parti di Conselice…

 

Le foto:

In testa all’articolo: Nunì Capiteni, ovvero Pasquale Toschi (1871-1958), il mio nonno materno.

Nel corpo dell’articolo:

-          Il Castello Massari-Zavaglia

-          La chiesa e il campanile romanico del VI secolo, in stile rotondo ravennate, della Parrocchia Campanile, oggi appartenente alla giurisdizione ecclesiale di S. Maria in Fabriago.


***

P.S.: A conferma di quanto qui asserito a proposito del toponimo «la Bruŝê», l’amico e studioso fusignanese Giuseppe Bellosi mi ha gentilmente segnalato alcune preziose ed interessanti considerazioni dello storico Leardo Mascanzoni che riporto ben volentieri (a.v., 13.2.22).

 





 

 


[1]  Gianoberto Lupi, Toschi e Zanotti, antichi artisti armaioli, Firenze, Olimpia, 1979, pp.25-28

[2] A.F.Babini, Dalla Bastia del Zaniolo alla Bastia di Ca’ di Lugo, Piacenza, Rebecchi, 1959, I, p. 349.

[3] A.F.Babini, Ibidem, p. 346.

[4] È quanto avvenuto ad esempio a Filo per la Bargunzona toponimo provieniente da Bargunzo, il colono che ottenne quella terra nell’anno 1022, così come per la Campeggia che appartenne ai Campeggi di Bologna, per la Rossetta che fu dei Rossetti, per la Ghedinia dei Ghedini ecc.

venerdì 4 febbraio 2022

Dedicato a Whitney Houston

 

Il mio ricordo della grande cantante

di Agide Vandini

 

 

 


Dieci anni fa, l’11 di febbraio del 2012, ci lasciava ad appena 48 anni e nel modo più assurdo e inconcepibile, The Voice, al secolo la bella ed affascinante Whitney Houston, una delle più celebrate voci pop della nostra epoca.

Vittima di una vita privata quanto mai burrascosa e sfortunata, oggi la grande Whitney, la possiamo rivedere in un paio di film e riascoltare in preziosi video ed incisioni, indimenticabili performances facilmente reperibili in rete. Basta scegliere un brano a caso e tuttora si rimane incantati da tanta bellezza, eleganza, musicalità e capacità canore.

Per ricordarla, e per godermi alcuni suoi celebri motivi, ho pensato in questi giorni di arrangiare a modo mio una base musicale, con la quale potermi cimentare al sax contralto.

I tre brani che compongono il mio “Medley” sono fra i più noti e celebrati, ossia:

 

-         All at once (1985) - brano con cui si esibì a Sanremo nel 1987 -

-         The greatest love of all (1986) 

-         One moment in time - inno delle Olimpiadi di Seul (1988) -

 

 Spero che a qualche amico faccia piacere riascoltarli in queste mie versioni Audio e Video:

 

-       Audio (mp3): clicca qui ( (per scaricarla sul proprio PC cliccare sull’icona che compare in alto a destra)

-       Video (mp4): clicca qui

  ***

 

Ciao bella e incredibile Whitney…

Da mero dilettante di sax e da modesto autodidatta, non so quanto io sia riuscito a renderti davvero onore; ma il mio vuole essere soltanto un piccolo e festoso omaggio: un mazzolino di fiori di campo deposto alla tua cara memoria.

Questa comunque è la dedica che, nel decennale della tua scomparsa, assieme al «mazzolino musicale», affido alla rete e all’«Irôla»:

 

«Cara ed eterna Whitney

Chi ama la bellezza in musica

non può che inchinarsi anche oggi

al ricordo della tua voce unica

e rinnovarti profonda riconoscenza

per ciò che hai saputo darci.

 

Un tuo ammiratore».