venerdì 14 settembre 2007

L'album della vecchia fornace

Mostra fotografica apprezzata nell'ambito di "Filo è festa"
Le foto furono scattate nel 1961
dagli alunni delle scuole elementari

Nell’ambito di “Filo è festa”, manifestazione che si è svolta nel luglio scorso, è stata proposta, con un ottimo successo di pubblico, un'interessante rassegna di fotografie dei primi anni ’60.
La mostra è stata dedicata alla vecchia fornace del Molino di Filo, uno stabilimento che, negli anni, ha subito molti ammodernamenti e che, di recente, è stato definitivamente abbattuto e ricostruito. Il “corpo” della mostra è stato fornito da un album fotografico raccolto nel lontano 1961 dalle locali scuole elementari e gelosamente conservato dalla famiglia del maestro.
Le foto furono scattate dagli alunni e dal loro insegnante, Ezechia Vistoli, con una modesta Komet II, macchina a quei tempi molto popolare. Le immagini, non sempre nitide, furono corredate di interessanti note ed impressioni dei ragazzi circa l’ampio «mondo del mattone».
Attraverso questa preziosa documentazione costituita da immagini di cose e persone ormai perdute, (testi e didascalie riportati tal quale con pochissime integrazioni, un commento iniziale e finale con l’inserimento, sul tema, di altre immagini d’epoca), si è potuto rivisitare, a distanza d'anni, un antico quanto importante stabilimento del territorio ora cancellato dal progresso e dalle nuove tecnologie.
La rassegna di foto e di testi, ha inoltre permesso di apprezzare alcuni aspetti fondamentali di quella ricerca scolastica: l’accuratezza della visita, la completezza sotto ogni aspetto dell’album che raccolse la singolare esperienza, il lodevole intento educativo del maestro e l’attenzione al territorio che ne erano alla base, la diligenza e lo spiccato interesse dimostrato dai ragazzi per un’attività finalmente osservata da vicino, le puntuali annotazioni che riflettevano, con sincerità e realismo, le condizioni di vita e di lavoro del tempo.
Non poca è stata l’emozione degli anziani fornaciai nel riconoscere e nel ricordare il su e giù dei cigolanti carretti colmi d'argilla, i modesti attrezzi, le rudimentali fasi della lavorazione, i visi ed i sorrisi dei vecchi compagni di lavoro, gran parte dei quali ormai perduti per sempre.
Nel rivisitare a distanza di mezzo secolo l'antica fabbrica dotata di pochissime automazioni e basata, viceversa, su processi manuali che richiedevano grande scrupolosità, attenzione e forza fisica, è sembrato di udire ancora, a tratti, il sibilo della vecchia sirena un tempo familiare, il suono lungo ed ululante che pareva essersi perso nel tempo e, invece, ancora qui ben nascosto nel cuore dei filesi.
Negli anni del dopoguerra, infatti, quel suono caratteristico giungeva più volte al giorno fino alle borgate sparse di Filo e scandiva i ritmi di vita degli abitanti. Era un grande orologio, insomma, con lancette sonore che regolavano tempi ed abitudini di gran parte del paese. A mezzodì e al tramonto, la sirena dla furnéša per molti filesi pareva avere note persino festose nell’annunciare il desiderato ritorno a casa di un familiare per una breve pausa, o per qualche ora di meritato riposo.

Si può dire dunque, in definitiva, che la mostra, curata e commentata da Agide Vandini in collaborazione con Diana Corelli, sia risultata gradita ai filesi, ma non solo. E’ stata anche molto apprezzata da tutti coloro che hanno sempre a cuore luoghi, persone, simboli della nostra memoria e, assieme a loro, il grande patrimonio di valori ed esperienze di cui sono testimonianza
(Agide Vandini, v. in Gentes-Alfonsine, suppl. mens."sabato sera"Bassa Romagna n. 10, settembre 2007, p. 20).

giovedì 13 settembre 2007

Ai margini della grande storia

una conversazione con Agide Vandini, a cura di Rita Tamba

"Cerco di dare voce ad un piccolo mondo": è un bel programma, che Agide Vandini persegue da molti anni con ricerche storiche e opere folcloriche e letterarie. Lo racconta in questo dialogo con Rita Tamba ("vi propongo un'intervista all'autore di storia locale del mio paese"…), che immaginiamo svolgersi in un paesaggio ostico e incantato, fatto di nebbia, fossi, valli…
L'intervista a Vandini sarà seguita nei prossimi numeri da un esame di alcune delle sue opere.


Possiamo iniziare dalle ragioni della tua ricerca, fin dalla prima pubblicazione, 25 anni fa.
Fu la curiosità, il grande interesse per la ricostruzione documentata e realistica di una storia, quella del nostro piccolo paese, oggi diviso in due frazioni che fanno capo a differenti comuni e province e che, così si raccontava, era stato un giorno un comune autonomo. Da una ricerca condotta alla fine degli anni '70, con estrema difficoltà ed in ambito piuttosto limitato, fu possibile ricavare un testo molto asciutto ed essenziale che però suscitò molto interesse nel basso argentano, un vasto territorio di cui fino ad allora, in fatto di documentazione storica, esisteva ben poco.

Come si svolge il tuo lavoro e a quali fonti hai attinto? È cambiato nel corso degli anni il sistema di documentazione?
Distinguerei fra le ricerche storiche vere e proprie e gli altri miei lavori a sfondo letterario-folclorico. Quanto alle prime il mio metodo è piuttosto semplice. Attingo innanzi tutto alle fonti bibliografiche più interessanti, poi ordino e seleziono quanto reperito secondo una prima articolazione del tema prescelto. Sul “canovaccio” sviluppo gli argomenti ed inserisco le mie “scoperte”, ossia la documentazione e le notizie inedite raccolte in biblioteche ed archivi.
Gli altri lavori invece richiedono la trascrizione paziente di testimonianze, antichi usi e costumi, aneddotica locale, modi di dire e proverbi ritenuti interessanti per lo sviluppo di un tema o comunque meritevoli di conservazione. Su questi appunti e secondo quanto suggerito da un po’ di estro e creatività, costruisco i miei racconti, cercando di avere sufficiente cura nel preservare intatte le espressioni dialettali, nel collocare ogni tassello nel modo più rispettoso della mentalità e delle abitudini al tempo della storia.
Negli anni va detto che è migliorata assai la disponibilità di biblioteche ed archivi, in particolare la possibilità di ottenere fotocopie che consentono lo studio dei documenti in separata sede. Oggi inoltre è possibile avvalersi di Internet, nonché di strumenti di lavoro come il personal computer che permette facili inserimenti, nonché ripetute revisioni del testo.

I temi delle tue opere hanno un fulcro d’origine, il paese di Filo e la sua storia. Una storia che si svolge anche attraverso le fonti orali e il suo dialetto. Quanto contano queste fonti?
Moltissimo. È da qui che essenzialmente nasce la ricerca e l’approfondimento. Naturalmente, per una corretta ricostruzione storica, la fonte orale richiede molte verifiche, spesso è appena uno spunto da approfondire; per quanto attiene invece i temi letterario-folclorici, la testimonianza orale di eventi, usi e modi di dire costituisce l’anima, se non l’impalcatura vera e propria, dei miei lavori.

Spesso leggendo le tue pagine sembra di scoprire una realtà di confine, tra un territorio e l’altro, tra una storia conosciuta e tante storie dimenticate, come se tu suggerissi una lente di ingrandimento per esplorare una mappa umana, sofferta e potente insieme, altrimenti trascurata.
Cerco di dare voce ad un piccolo mondo, agli umili personaggi di un territorio spesso dimenticato perché ritenuto marginale in più sensi. In primo luogo perché realtà di confine, ove la cultura e la tradizione romagnola deve fare i conti con una parziale appartenenza amministrativa al ferrarese, situazione peraltro in cui è facile non sentirsi figli di nessuno. In secondo luogo perché il paese è, ancora oggi, realtà di aperta campagna, di cultura e tradizione contadina e bracciantile, ove nel fondo di ognuno permangono i caratteri di gente cresciuta in simbiosi con l’ambiente ostico e selvatico, fra grandi spazi di acqua e terra, fra il fiume e le sterminate valli oggi prosciugate.

La lotta partigiana è stata un'esperienza fondamentale per la nostra terra e tu le hai dedicato gran parte del tuo lavoro.
Nelle nostre contrade fra l’8 settembre del ’43 e l’aprile del ’45 si può dire che è passata la storia, la grande storia. Prima con le ritorsioni repubblichine verso una popolazione già in prima linea nelle lotte agrarie fin dal primo Novecento e presto organizzata in una difficile “Resistenza di pianura”, poi con le tremende vicende belliche culminate nella battaglia dell’Argenta gap che nell’aprile del ’45 ebbe al centro proprio il nostro territorio e comportò tanti, troppi lutti dolorosi. Per chi è nato subito dopo quegli avvenimenti, e fu toccato in famiglia da una delle più spietate persecuzioni fasciste, direi che è, prima di tutto, una forma di rispetto e di orgoglio verso chi si è sacrificato per noi e per la nostra Libertà. Va però sottolineato che lo spirito dell’epopea partigiana, accompagnato da una forte aspirazione verso la giustizia sociale, è ancora molto sentito nel territorio e fa parte, direi, dell’indole degli abitanti, come si può vedere dalla granitica connotazione politica.

Concedimi questo accostamento, anche i briganti sono stati da te riscoperti e narrati come parte di una storia difficile, disperata, ma profondamente legata alle radici della vita di gente che non si arrende.
Il brigantaggio romagnolo che interessò profondamente anche il nostro territorio, andava studiato e raccontato come fenomeno sociale fin dal suo nascere e fino alla definitiva regressione nel tardo Ottocento. Fu la scelta disperata di molti giovani che, a mio parere, andava contestualizzata nel tempo e nel luogo. Soprattutto, è un tema che andava visitato e rivissuto facendone conoscere tutti i più importanti interpreti, senza indulgere nel culto di un personaggio e neppure concedere troppo a certa agiografia “passatoresca” che si è sempre rifatta più alla leggenda che alla storia.

Del resto i protagonisti di "Gente semplice", "Il cestello dei ranocchi", "Bëli armunëj", e de "La valle che non c’è più", sono anche loro “fuori dal coro”. Le loro particolarità di carattere, di comportamento non li escludono dalla vita del paese, ma ne sono parte integrante, significativa.
È vero. I personaggi di cui mi piace raccontare le gesta non conoscono talvolta neppure l’esistenza dei sacri testi, conoscono più la “pratica” della “grammatica” ed è questa la loro forza. Si rifanno spesso alla saggezza popolare: quella dei proverbi, delle tradizioni e dei modi di dire. Come i loro antenati (tutti analfabeti, ricordiamolo…), parlano il dialetto, si trovano di frequente alle prese col duro problema della sopravvivenza e trovano soprattutto mille modi per rallegrarsi la vita. Direi proprio che ci riescono, perché rallegrano ancora anche noi…

La terra, l’acqua, la nebbia, i campi, sono anche loro personaggi nelle tue storie?
Non potrebbe essere diversamente. Se le persone parlano e si comportano secondo leggi che paiono talvolta scaturire dall’ambiente che li circonda, va da sé che la terra, il fiume, i fossi, le valli, la nebbia e la campagna, nelle mie storie sono gli elementi dominanti, sono “entità” silenziose, ma esigenti, con le quali si deve fare i conti ben prima di altre “Autorità” umane, certamente meno rispettate di loro… È lo scenario sublime, seppure talvolta selvaggio e spietato, con cui siamo tutti cresciuti e che, intimamente, talvolta anche inconsciamente, abbiamo imparato ad amare.

Possiamo ora toccare il tema della memoria, come tratto ispiratore di tutta la tua ricerca.
È molta la preoccupazione che un grande patrimonio di cultura popolare possa rapidamente disperdersi ed andare dimenticato. Tanto più per gente come noi che, vuoi perché realtà di confine, vuoi perché relegata ai margini del mondo industriale e commerciale contemporaneo, non ha molti modi per curare la memoria di come si è vissuto fino ad oggi in questa parte di mondo. Il timore è che l’esaurirsi, per ragioni anagrafiche, delle generazioni in grado di trasmettere preziose narrazioni orali, possa significare la perdita irreparabile di fatti, contesti, profili e personaggi capaci di documentare anche in futuro la nostra specifica identità culturale. Oggi è a rischio quel patrimonio di esperienze di vita che ha sempre favorito la comprensione fra generazioni. In tempi di scarsa conoscenza di se stessi, del territorio e dell’ambiente che ci circonda, una memoria storica che sappia conservare le vicende e le tradizioni popolari, può allora insegnare ancora molto all’uomo di oggi e di domani.

(Dal sito Istituto Gramsci Emilia Romagna,
Voci del verbo insegnare n. 31, 28 settembre 2006)

http://www.iger.org/voci_mat_rel/rel_2006_31_04.html

* * *

"PROVA UN PO' DI CHIUDERE GLI OCCHI…"

di Agide Vandini

A completamento dell'intervista già presentata dalle Voci, Rita Tamba ci invia un assaggio diretto della scrittura di Agide Vandini, narratore e studioso del piccolo mondo di Filo, tra Ferrara e Ravenna.
Certo, i riferimenti contenuti nei suoi versi, è lo stesso Vandini a ricordarcelo, sono "icone di un mondo perduto, elementi del paesaggio irrimediabilmente scomparsi dallo scenario filese." Ma alle Voci piace pensare che proprio la rievocazione di quei luoghi, storica e letteraria, li faccia rivivere agli occhi dei più giovani e di chi non li ha mai conosciuti – in una sorta di nobile "educazione" alla memoria.


da "La valle che non c’è più", Faenza, Edit, 2006, p. 7

"Chi percorre oggi le dritte e larghe strade asfaltate che scorrono lungo il fondo della vecchia valle del Mezzano, ha la sensazione di attraversare un paesaggio ai confini della realtà.
Chilometri e chilometri di terreno coltivato senza un paese o una borgata e senza neppure una casa contadina, un albero da frutto, un animale da cortile.
Se ci si guarda intorno, a perdita d’occhio non si vedono segni di presenza umana, quelli perlomeno che, di solito, caratterizzano questo angolo di mondo.
Pochi peraltro sono i viaggiatori che si inoltrano in questo ampio territorio, anche perché, data la scarsa segnaletica stradale, è piuttosto facile perdere l’orientamento, in particolare al buio o con la nebbia, e quindi può capitar di non riuscire più a capire dove diavolo dirigersi, se non con l’aiuto delle stelle…"


da "T’é da savé" ("Devi sapere"), nella raccolta "Bëli armunëj", Faenza, Edit, 2001, pp. 14-16.

… Prova mo d’srê i oc, e d’rèsar un s-cian
che ven zo pian da la Basteja pr andê
a Fil, in bröza, cun la frosta in man,

dusent e piò èn fa. A la man dreta t’é
e’ fiom che cŏr cun la su aqua cêra,
e sòbit d’là, l’arlus fen’a starluchê

un lêgh che la Val Santa la n’i stà da péra,
‘na scaparlê d’culur fen’a Fusgnan
stramëz i rĕz d’aglj önd a zantanéra.

Se döp a un pô t’at vu prilê d’giaman,
longh a tot che balcon d’tëra che va
fen’ a l’Amnê, bŏta l’öc un pô luntan,

döp al ca ardupêdi, sòbit d’là:
infena in zil... l’è tot’aqua salêda.
Quêlch barcon ch’e’ pasa pian d’avsen al ca

cargh d’sêl ch’e’ gosta una matêda
e ch’ i-l porta fórsi vérs a la Möta
d’indó ch’i-l tira fura int l’invarnêda.

Intant che la sumara la-t scaröza
stra i giaron dla strê, t’sent e’ cantê
di ranŏc, e pu e’ cuvê d’una ciöza,

e piò in là, un baben che vô titê.
T’sguec un pô tra quësta e clêtra spönda,
e stra un svulazér d’folgh t’vid a prilê

un faichet da la manêla lónga.
Ëcco un’êtra bröza ch’la ven gnichend
da e’ Mulen, carga ch’e’ pê ch’la-s sfónda!

Guêrda mo ach fadiga ch’la sta fasend
cla bes-cia da i mòscul ch’fa impresion,
pr e’ padron infarinê ch’e’ sta s-ciflend!

Quési a Fil la strê la rapa in so,
‘pët a la S-ciapëta, d’ciöta t’vid e’ paés,
e al su premi ca, quëli ch’i j dis “Vagon”.

Stra i cŏp di capën dö, tre butégh:
e’ falignam, l’ustareja, e’ fradór
e piò zo e’ campanil piò bël de’ filés...

…Prova un po’ di chiudere gli occhi, e di sentirti un tizio
che scende lentamente dalla Bastia per andare
verso Filo, seduto sul biroccio, con la frusta in mano,

duecento e più anni fa. Alla tua destra hai
il fiume che scorre con la sua acqua limpida,
e subito al di là di esso, luccica fino a sfavillare

un lago ben più grande dell’odierna Valle Santa,
una gran quantità di colori che giunge fino a Fusignano
tra centinaia di piccole increspature dell’acqua.

Se dopo un po’ volgi lo sguardo alla tua sinistra,
lungo tutto quel balcone di terra che ti porta
fino a Menate, posa l’occhio un po’ lontano,

oltre le case rannicchiate, immediatamente dopo:
fino al cielo... non vedi altro che acqua salata.
Qualche barcone che passa lentamente vicino alle case

carico di sale, merce che ha un valore immenso
e che portano forse nei pressi della Mota,
un posto da cui poterla prelevare durante l’inverno.

Intanto che l’asino ti fa dondolare
sopra le pietre irregolari della strada, senti il gracidare
dei ranocchi, poi il covare di una chioccia,

e più avanti, un bambino che chiede la poppata.
Osservi per un po’ oltre l’una e l’altra sponda,
e tra uno svolazzar di folaghe vedi volare in tondo

uno sparviero dalla lunga coda.
Ecco un altro biroccio che arriva cigolando
dal Molino, carico fin quasi a sfasciarsi!

Guarda anche che fatica sta facendo
quella bestia dai muscoli impressionanti
per il padrone infarinato che sta allegramente fischiando!

Quasi a Filo la strada sale,
verso la S-ciapeta ,vedi il paese sottostante
e le sue prime case, quelle chiamate “Vagoni”.

Tra i coppi delle capanne due o tre botteghe:
il falegname, l’osteria, il maniscalco
e più giù il campanile più bello del filese…

(Dal sito Istituto Gramsci Emilia Romagna,
Voci del verbo insegnare n. 32, 6 novembre 2006)

Perché un blog del « filese»


E’ passato diverso tempo dalle mie prime righe stampate in tipografia e devo dire in verità che, col passare degli anni e con lo scendere di molta neve bianca sui capelli, ho visto accendersi sempre più l’interesse verso temi un tempo riservati ad un ristretto numero di ricercatori: dalla storia prestigiosa della nostra terra al suo affascinante folclore, dai personaggi caratteristici della nostra campagna alle perle del dialetto romagnolo, da tutto quanto, insomma, costituisce memoria e preziosa testimonianza delle nostre lontane radici.

Tutto questo tenendo come punto di riferimento territoriale il villaggio e i suoi dintorni, un piccolo e microscopico paese come Filo, spesso malamente segnalato nelle carte geografiche, un fazzoletto di terra un tempo fra il grande fiume e le valli di Comacchio ed oggi invece divenuto un insieme di piccole e sparse borgate nell’ampia campagna bonificata; centri abitati di chiara identità romagnola attraversati da est ad ovest da un confine amministrativo senza barriere naturali che complica la vita a tutti; borgate da tempo immemorabile a cavallo di due comuni (Argenta ed Alfonsine), due province (Ferrara e Ravenna) e forse un giorno, chi può mai saperlo, fra due regioni (l’Emilia e la Romagna); luoghi di aperta campagna abitati da gente laboriosa, di sentimenti semplici e quasi primordiali, dove alberga ancora quel forte senso di appartenenza e di spiccato orgoglio che alcuni chiamano, con qualche sarcasmo, oppure con profondo rispetto: «la filesità», ossia la caratteristica, forse rara a certe ridotte dimensioni, di riconoscersi in una comunità dalla precisa ed inconfondibile identità culturale.

E’ una voglia sempre maggiore di conoscere, di conoscersi, di approfondire i temi della cultura popolare che va ben oltre il piccolo mondo di Filo e che talvolta pare allargarsi ad ampio respiro regionale. Lo si riscontra nella diffusione dei miei libri, nella forza di attrazione delle mostre fotografiche a tema, nelle discussioni e nei dibattiti in cui l'esperienza e la realtà "filese" finisce per rappresentarne altre consimili, oppure aiuta a decifrarne o a comprenderne storia e tradizioni. E' un interesse che, tutto sommato, incoraggia una piccola iniziativa come questa, con la quale si vuol destinare di tanto in tanto qualche spunto, qualche riga allo sterminato popolo di Internet.

Sarà estremamente facile, attraverso questo strumento, allargare ed approfondire gli argomenti, locali o regionali, che ci stanno a cuore, spaziare nei campi più disparati, dallo sport, alla musica, al costume, affrontando senza remore gli aspetti curiosi e stuzzicanti della vita di oggi e di ieri.

Sarà un modo di stare ancora una volta piacevolmente insieme e, allo stesso tempo, di mantenere ben vive e lucide le nostre memorie (Agide Vandini, settembre 2007).

(Pagina revisionata ed aggiornata nel mese di marzo 2021)


mercoledì 12 settembre 2007

I Libri di Agide Vandini - Saggi, poesie, racconti

                              (Pagina revisionata ed aggiornata nel mese di marzo 2021)



L’antico Comune della Riviera di Filo è il risultato di una appassionata ricerca sull’antica autonomia filese, eseguita fra il 1978 ed il 1979. Prima di queste note storiche, sulla striscia di territorio che abbracciava Filo, San Biagio, Longastrino, Anita (Humana) e parte di Sant’Alberto, esisteva appena qualche memoria orale e poco altro. Grazie a questa ricerca vennero alla luce le origini millenarie del villaggio di Filo e la sua lunga autonomia territoriale mantenutasi fino alla fusione di fine Ottocento con Argenta. Ne emersero le caratteristiche rivierasche e ravennati del luogo, nonché l’importanza strategico - militare che determinò il passaggio di una parte del suo territorio sotto il Ducato Estense. Di notevole interesse la concessione pontificia di importanti Privilegi all’antico comune (1598) rimasti in vigore fino agli sconvolgimenti del secolo XVIII, epoca in cui il Po venne spostato verso sud, nel quadro di un deciso riassetto idrico e di una prima bonifica del territorio. Di rilievo la riscoperta delle grandi e spinose questioni territoriali che al tempo dell’Unità d’Italia accesero gli animi dei filesi: l’opposizione alla perdita dell’autonomia comunale (1859-1866) e la diatriba sulle terre a destra Po vecchio e a sinistra Po nuovo, oggi denominato Reno (1861). (Ferrara, SATE, 1981): 94 pagine - ESAURITO –                                                                                          

 



 

 

Gente semplicequand che int la pôrta u j éra la rameta è una raccolta di novelle, favole, aneddoti, indovinelli, giochi da cortile ed altri aspetti folcloristici del nostro passato. Sono anche ricordati divertenti personaggi ed antiche storie della nostra terra, ultimo lembo di una Romagna orgogliosa dei suoi valori e delle sue tradizioni. Storie, piccoli personaggi e cultura popolare dell'autentica campagna romagnola che il tempo, pur impietoso, non può cancellare, come non potrà mai privarsi una pianta, pur rigogliosa, delle proprie radici (Faenza, EDIT, 1994: 128 pagine  – € 7,75 – Codice ISBN : 88-815-2005-2) - ESAURITO

 

 



I briganti della palude. Dall'approfondimento delle fonti storiche, quel che si voleva sapere sui briganti delle paludi romagnole. Non soltanto le discusse imprese del suo masnadiere più famoso: Stefano Pelloni detto il Passatore. Qui si incontra l'infame Guerrino da Solarolo, l'imprendibile Falcone dalla pistola facile, l'ineffabile Ravasìn. Una narrazione accattivante percorre le storie emozionanti del famigerato Lazzarino, del ferocissimo Sordo e infine dell'Umèt, ultimo leggendario bandito dell'Ottocento. Fra miti e curiosità, vicende che appartengono alla memoria popolare della Romagna vengono raccontate, ampiamente documentate e inserite nel loro contesto storico ed ambientale. Si percorre la storia di un territorio difficile, ove quella del brigantaggio non è che una delle tante piaghe con le quali dover fare i conti. Dalle prime masnade medievali, si giunge alle terribili imprese delle bande dell'Ottocento, fino alla definitiva scomparsa del flagello, a fine secolo, quando nelle campagne già si affacciano le lotte operaie e s'ode in lontananza il fischio di una locomotiva che annuncia la nuova era. L'opera contiene inedite cronache tratte da giornali del tempo, atti giudiziari e documenti d'epoca. (Ravenna, Longo Editore, 1996 : 265 pagine – € 13,00 – ESAURITO – Codice ISBN: 88-8063-103-9) –

Alcune copie sono ancora disponibili presso l’autore

 




Il cestello dei ranocchi è un allegro viaggio nel nostro passato prossimo, alla ricerca di personaggi e storie del mondo popolare di cui è da sempre generosa la campagna romagnola. In una ventina di racconti rivivono, fra realtà e fantasia, macchiette caratteristiche di un'epoca già ormai lontana: personaggi eccentrici che, con gaia spensieratezza ed arguzia contadina, testimoniano di un mondo ben diverso da quello fin troppo «competitivo» che oggi ci inquieta. Lungo l'arco temporale che va dagli inizi del secolo fino agli anni Sessanta, si alternano piacevolmente vicende avventurose, trame intriganti e paradossali, buffe scenette dalla comicità genuina e scoppiettante. E mentre ci si lascia facilmente catturare dalle suggestioni del vecchio mondo contadino, una particolare attenzione va al caro ed amato dialetto, l'antica lingua dei nostri padri, oggi scrigno prezioso che conserva tante tracce di un patrimonio folcloristico di eccezionale ricchezza. (Ravenna, Longo Editore, 1999 : 160 pagine. – € 11,88 - Codice ISBN: 88-8063-215-9)

 



 

 Bëli armunëj . Quali e quante domande l'anima «semplice» che è in noi è costretta a porsi, se soltanto tenta improponibili raffronti fra il mondo antico e quello iper-tecnologico di oggi? I versi in vernacolo di Bëli armunëj d'una vôlta vengono a dare una loro risposta accattivante ed allegra, talvolta arguta e mordace. Il testo si compone di un Preludio ed alcune raccolte: Fata zent, A pinsëj ben, Fët d'una vôlta ed infine Ušel d'i zil d'Rumagna, una rassegna dedicata ad una settantina di varietà d'uccelli, ai nostri compagni di viaggio, amati, ammirati ed invidiati, che ci richiamano all'ambiente naturale e, allo stesso tempo, ci riportano con dolcezza ai tanti momenti e turbamenti della nostra vita. L’appendice contiene le illustrazioni di tutte le varietà d’uccelli citate nel testo, nonché una preziosa Tavola sinottica delle regole fondamentali di grafia romagnola, elaborata dall’autore, con utili esemplificazioni per chi ama leggere e scrivere il dialetto. (Faenza, Edit, 2001: 105 pag. – € 7,75 - Codice ISBN: 88-8152-078-8 - ESAURITO- )

 

 

 

 


Filo, la nostra terra è il risultato di una lunga ricerca storico - folcloristica dedicata alla riscoperta del nostro territorio. Esso viene visto sia nella sua originalità che come elemento del più ampio contesto regionale e generale. E’ forse storia minore quella dell’antica Riviera di Filo, ma essa ben rappresenta il travaglio e il destino di tante piccole comunità basso – romagnole. Ha come motivo conduttore una forte spinta alla conquista e alla difesa della terra, risorsa in grado di assicurare migliori condizioni di vita ad una popolazione costretta per secoli a trafugare ciò che la natura le ha dato: il sale e le anguille. Il territorio, che in età medievale è una striscia rivierasca lungo il Po di Primaro, una preziosa cerniera fra il ravennate ed il ferrarese fra ampi bacini di acque salate e salmastre, si trasforma, a partire dal XVIII secolo, in una estesa campagna coltivabile, per effetto di una grandiosa opera di sistemazione idraulica e di prosciugamento delle paludi. Proprio in queste campagne bonificate, si lotterà duramente per il riscatto delle classi più povere e verrà intensamente vissuto l’acuirsi dei conflitti sociali e l’avanzare inarrestabile delle lotte per la libertà dell’età moderna e contemporanea. E’ una storia di cui riappropriarsi, particolarmente emotiva se ripercorsa sul territorio, a contatto con ogni piccola traccia di un passato che vive ancora in noi, nel nostro modo di essere. Il quadro storico - folcloristico, è corredato da una corposa parte finale dedicata al mondo popolare, agli usi, costumi e tradizioni che accomunano queste genti a tutto l’entroterra basso-romagnolo. Il testo è arricchito da 256 illustrazioni. (Faenza, Edit, 2004: 400 pag. – 256 illustrazioni - € 20 - Codice ISBN: 88-8152-118-0).

Alcune copie sono ancora disponibili presso l’autore

 



 

 Sotto l’ombra di un bel fior è la storia di sei partigiani filesi, partiti nella primavera del 1944 dai campi della bassa pianura e saliti sui monti dell’Appennino Tosco - Romagnolo a combattere tedeschi e fascisti. Tre di essi non tornarono più. E’ questa perciò anche la storia di una formazione partigiana, la 36° Brigata Garibaldi «A. Bianconcini», dei suoi importanti fatti d’arme, rivissuti attraverso la voce dei nostri protagonisti, e che culminarono, nell’ottobre 1944, nella sanguinosa battaglia di Purocielo. Sullo sfondo, la storia emblematica di un piccolo paese della «bassa», di un «filo rosso» che ha ispirato per anni le sue lotte per la giustizia sociale, di una fede e coraggio che comportò purtroppo tremende persecuzioni, fino all’estremo sacrificio in nome della Libertà. Nella memoria dei contemporanei, assieme agli altri uomini e donne che ci richiamano ai valori della Resistenza, un posto speciale va perciò riservato a queste tre giovani vite cadute sessant’anni fa tra i monti dell’Appennino e ora sotto l’ombra d’un bel fior, un fiore che oggi rappresenta ancora un ideale di speranza e di amore per i valori fondanti della nostra democrazia. (Faenza, Edit, 2005: 78 pag. – € 7 - Codice ISBN: 88-8152-129-6 - ESAURITO).

 

 

 

 



La valle che non c’è più è un viaggio fra passato e presente all’interno di noi stessi. E’ così che si potrebbero definire questi nuovi racconti ambientati nella campagna romagnola di un tempo che fu.

I temi, il territorio ed i personaggi di Gente semplice e del Cestello dei ranocchi sono infatti ancora lo spunto per nuove meditazioni e qualche divertito amarcord dedicato ad uno stile di vita ed un mondo «antico» travolti forse troppo in fretta dal frenetico avanzare del «progresso».

Sono tipi, quelli raccontati in queste pagine, dalla simpatia immediata; allegri ed a volte ingenui protagonisti di un piccolo mondo, chiamati a rappresentare un’epoca e un modo di vivere da tempo superato, spazzato via da una modernità impietosa.

Anche nell’era della robotica e dell’informatica, della pubblicità e dei consumi sfrenati, queste figure ci regalano un sorriso, e forse ci strizzano l’occhio per spingerci a guardare dentro di noi, nel nostro intimo essere, alla ricerca dell’antico candore e dei tanti sogni perduti.

Correda queste storie un’appendice di grande interesse, frutto di accurate ricerche. Gli approfondimenti sono dedicati ai giochi con le carte romagnole, alle trappole del mondo antico ed ai vecchi soprannomi di famiglia: piccole eppur preziose perle del nostro patrimonio culturale.

Particolare prestigio viene dato all’opera da alcuni splendidi acquerelli realizzati, per l’occasione, dalla mano ispirata di Angela Corelli. (Faenza, Edit, 2006: 174 pag., 10 tavole fuori testo – € 15 - Codice ISBN: 88-8152-148-2).

Alcune copie sono ancora disponibili presso l’autore

 

 

 



La vita di Guerriero e l’Elvira pare un romanzo, o un film neo-realista eppure è storia, storia vera, di italiani, di romagnoli. E’ quella dei genitori e della famiglia dell’autore che ha voluto narrarla a futura memoria, ricostruendo ogni vicenda con testimonianze, racconti di famiglia, tantissime fotografie e documenti, molti dei quali inediti.

E’ la «vita difficile» di due giovani di indole aperta e generosa che hanno il solo torto di aspirare ad un mondo più libero e più giusto in pieno Ventennio Fascista. La gioia della loro balda gioventù viene contrastata da avversità, ingiustizie e persecuzioni che poi sfociano nel dramma: una tragedia che, nel contesto della lotta Partigiana, colpirà il più sacro degli affetti.

E’ il piccolo, ma coraggioso mondo di famiglia, costretto a fare i conti con la repressione del Regime, con la Guerra d’Africa, con la Seconda Guerra Mondiale e l’Occupazione Nazi-Fascista, con la necessità di battersi per la riconquista della Libertà e della Democrazia.

Tutto questo, in un territorio contraddistinto da lotte secolari e da forti rivendicazioni sociali, destinato a subire grandi lutti e distruzioni nella cruenta battaglia che segnerà, di fatto, in Italia, la fine dell’ultimo conflitto.

Toccherà alla generazione di Guerriero ed Elvira, l’opera di ricostruzione morale e materiale, ed il compito di risollevare il loro mondo operaio e contadino dalle macerie e dalla desolazione.

Scene familiari, a tratti di serena gaiezza (compongono il testo alcuni «medaglioni» di piacevole aneddotica), si alternano a vicissitudini emblematiche di un periodo che non va mai dimenticato.

E’, in definitiva, una storia, nella storia. (Faenza, Edit, 2018: 144 pag. - € 15 - Codice ISBN: 88-8152-265-1- ESAURITO).

 

 

 





 

Letture filesi , è un inedito su carta, una raccolta di scritti dedicati a Filo ed al suo territorio. La raccolta risale all’incirca al 1995, aggiornata ed integrata nel 2002 quando ne venne realizzata una Edizione su CD ROM. E’ una scelta di opere, brevemente presentate, di autori filesi di ogni tempo nonché di scrittori (piccoli e grandi) che hanno reso onore a Filo ed alla sua gente, con brani di assoluto valore storico e letterario. Dario Fo, Franco Sacchetti, Ludovico Ariosto, Renata Viganò, Antonio Meluschi sono i nomi altisonanti che compaiono in questa antologia paesana che dà spazio anche opere meno conosciute, fino a formare un «insieme» di notevole suggestione. La raccolta è composta di due Parti (Frammenti di Storia del Novecento e Rassegna di Graffiti Paesani, la prima delle quali suddivisa in tre Sezioni. Consta di complessive 130 pagine che prossimamente verranno revisionate e trasferite in alcuni Quaderni tematici dell’Iròla e resi così disponibili agli interessati.

  

Due capitoli delle «Letture Filesi» hanno contribuito (1995) alla realizzazione del volume:

 

 L’infermiera e il comandante senza stellette (1995) dedicato da A. Leoni e M. Bonicalzi alle figure di Antonio Meluschi e Renata Viganò, noti celebrati scrittori. Il primo già comandante partigiano a Filo e la seconda, autrice de l’Agnese va a morire, sua compagna nella vita e nella Resistenza, vissuta in gran parte a Filo. (Sesto S. Giovanni, Il Papiro, 1995: 120 pag. - € 7,75 )