mercoledì 23 dicembre 2015

Letterona di Natale



Amarcord filese dedicato al Palazzone
di Aderitto Geminiani

Santo Natale, Addì 19/12/2015. 

Mi chiamo Aderitto, ma tutti mi chiamavano Pippi, sono di Filo, il mio piccolo paese, dove, credo, ormai siano in pochi a ricordarsi di me.
Sono nato nel Palazzone, l’edificio più grande e più alto del villaggio, oggi in rovina, ma fucina di singolari personaggi in un’epoca in cui metà degli abitanti vivevano stipati in grandi caseggiati (la Cà Longa, i Vagòñ e e’ Palazòñ, appunto), in locali presi a pigione ove famiglie assai numerose si sistemavano in una o due stanze al massimo.

Il Palazzone qualche anno fa

Una mia nipotina qualche anno fa, dopo aver ascoltato i tanti racconti e le lunghe elencazioni di chi era nato in quel mastodontico edificio, mi chiese se tutti i Filesi erano nati nel Palazzone.
Con grande stupore le domandai il perché e lei, candidamente, replicò:  «Ma non è un Ospedale?» Le spiegai allora un po’ meglio come stavano le cose e lei, quasi incredula, annuì.
Nel Palazzone vivevano fra i tanti, con le loro rispettive famiglie, alcuni miei coetanei come Franco Guasoni, figlio del calzolaio Olao, Giorgio dott. Tamba, figlio di Jonne ed Enrico nonché Ermanno Zagatti, nipote di Meto, e perciò cugino di Jorky (Medardo Tirapani).
Eravamo tutti del ’38 o ‘39 e a scuola frequentavamo la stessa classe. Un insegnante ci battezzò niente meno che: «Il quadrunvirato del palazzone», appellativo di cui chiaramente andavamo fieri.

 Un’estate, durante le vacanze, arrivò persino una cartolina indirizzata proprio al «Quadrunvirato del palazzone». Il postino, molto imbarazzato, la lasciò al forno Rossi, che stava al pianterreno del nostro stesso fabbricato, e da lì, una volta riconosciuto il mittente, e intuiti i destinatari, la cartolina ci fu recapitata, con grande gioia di tutti.
Nel nostro pianerottolo viveva anche la Möra (Gattia Udolina), madre della ‘Stašìa (Anastasia Vandini) e dell’Irie, a sua volta madre di Franco Guasoni.
Un giorno, in prossimità delle feste, la sentii rivolgersi alla mia mamma e all’Irie con queste parole):«Ma voi?... Domani è Natale e non pensate neanche di fare una parvenza di albero? Voi che avete dei bambini? »
Le due donne risposero imbarazzate: «Ma non abbiamo l'albero! E poi cosa ci possiamo appendere?»
 La Möra, quasi indispettita partì tambur battente. Andò ai Dossi, recuperò due rami di pino e li portò a casa. Ne diede uno a Franco ed uno a me. Io lo porsi subito alla mia mamma che a quel punto esclamò:
«E adesso cosa ci appendo all’albero?»
Soldi non ce n’erano, mia madre quindi si arrangiò come poté. Mise quel ramo dentro un barattolo di latta e cercò di addobbarlo con qualche caramella e alcuni zuccherini fatti da lei. In vita mia per la prima volta capii il significato del Natale, con l'albero che ne avrebbe simboleggiato la festa.
La sera stessa, a mezzanotte, assistetti alla Santa Messa e compresi pure il comune detto dialettale rèsar lóng coma Mèsa cantêda (essere lunghi come la messa cantata): non finiva mai!!!
Per l'indomani la mamma aveva preparato un cibo speciale, riservato alle grandi festività, ovvero Natale, Sant’Agata e Pasqua:  i cappelletti in brodo e il coniglio arrosto.
Mi diedi parecchio da fare...
Come sono cambiati i tempi, da allora! Forse è meglio così, ma quei valori e quelle sensazioni tanto innocenti esisteranno ancora? E la immensa felicità che si provava in quella giornata fin lì sconosciuta? Altri bambini la proveranno ancora? (Pippi)