lunedì 26 ottobre 2009

Le opere «filesi» del maestro Angelo Biancini

Un patrimonio prezioso da difendere

di Agide Vandini

A Filo abbiamo l’onore e il privilegio di ospitare alcune opere d’arte di notevole pregio scolpite, niente meno, dal maestro Angelo Biancini (1911-1988), grande romagnolo, una delle figure più rappresentative della scultura e dell’arte ceramica italiana del Novecento.

Per conoscere appropriatamente il maestro Biancini basterebbe leggere la sua biografia su: http://www.racine.ra.it/micfaenza/programma/biancini/index.htm

Qui voglio ricordare almeno che tra le sue opere monumentali si annoverano i rilievi per la nuova Basilica di Nazareth (1959), il baldacchino del Tempio dei Martiri Canadesi a Roma (1961), il ciclo scultoreo per l’Ospedale Maggiore di Milano (1964), mentre tra le opere a carattere commemorativo spiccano il Monumento alla Resistenza di Alfonsine (1972), a Grazia Deledda a Cervia (1956), ad Angelo Celli a Cagli (1958), a Alfredo Oriani a Casola Valsenio (1963) e a Don Minzoni a Argenta (1973).

Nato a Castel Bolognese nel 1911, il suo nome rimane legato a Faenza, città dove ha lavorato fino alla morte e dove entrò, nel 1942, all’Istituto d’Arte per la Ceramica assumendo poi la cattedra di Plastica. Mantenne l’incarico fino al 1981, contribuendo a formare, nel suo studio all’interno della scuola, varie generazioni di artisti e di ceramisti. Nel 1980, l’Amministrazione Comunale di Faenza gli conferì, con una medaglia d’oro, la cittadinanza onoraria.

Il maestro, scrivono i suoi biografi,

«ha segnato la storia della ceramica riuscendo ad innovare il suo tempo. I suoi principali interessi scultorei non mancheranno, riversandosi nella ceramica, di contribuire in maniera decisiva all’affrancamento di quest’arte da una condizione “minore” di arte decorativa e alla sua affermazione come espressione artistica tout court. Biancini rimane fedele a una figurazione e a un “vero” che hanno fonti riconosciute nella più antica tradizione italiana, rinverdita da una singolare capacità di registrare le più tenui espressioni emozionali di soggetti, spesso umili e popolari, indagati con un acume quasi psicologico».

Le opere che egli ha donato al paese di Filo sono quattro, due dedicate alla memoria di Maria Margotti e due figure emblematiche inserite nel monumento ai caduti di Filo inaugurato nel 1955 e di cui si è festeggiato l’ultimazione del restauro il 25 aprile 2008.

Nel contesto dell’elegante monumento di Piazza Agida Cavalli, possiamo oggi ammirare nell’originario splendore, grazie al lodevole restauro a cura del Comune di Argenta terminato nel 2008, l’eroe e la madre piangente, figure intorno alle quali Libero Ricci Maccarini, nel descrivere l’intera opera, ebbe a sottolineare:

« […] per ultime le due figure, del Caduto e della Madre in lacrime, disposte secondo una collocazione visiva che risultasse accetta a tutti, quasi per naturale assimilazione, rispettosa del luogo, delle animosità vissute e da vivere in futuro.

Si osservi l'Eroe, riverso, senza divisa e con la «canottiera», che sa di ribollire di stoppie e di trebbiature patite dal sorgere del sole al cadere del giorno; o che ricorda il vociare aspro del boaro ai buoi, dietro l'aratro, quando, ancora, il sollievo della trattrice era sogno da farsi; o che rivela l'ossuta e asciutta corporatura dell'uomo uso al largo gesto dello sfalcio dei campi, chiuso e compreso della essenzialità del suo vigore e dell'assunto incombente di dare il pane ai suoi cari. Qualcuno ne ha voluto ritenere troppo marcata la configurazione facciale e non proprio perfetto l'abbandono delle membra e del corpo, già come la vita si è spenta; si può nutrire rispetto all'altrui opinione, ma una cosa è certa e conta ai fini della rappresentazione voluta: in Lui noi ci riconosciamo !

Poi, ogni riserva scompare, quando lo sguardo si posa sulla figura materna, piangente e più contrita, in quel viluppo di pieghe che il grembiule, stretto con la cordella ai fianchi, raccoglie nella mestizia della veste nera, che da sempre segna la costante del lutto e il sacrificio dell'esistenza vissuta solo per la famiglia. Qual disperato gesto delle mani portate al volto, a nascondere un pianto che vuole invocare la sublimazione della penitenza e, insieme, compassione per lei, costretta a vivere quando il senso dell'esistenza si è dissolto con la scomparsa del figlio: quel gesto, sì, noi tutti bene lo comprendiamo!»[1]

Altrettanto ispirate e toccanti appaiono le sculture dedicate alla tragica fine di Maria Margotti, caduta il 17 maggio 1949, a 34 anni, madre, bracciante e mondina filese, durante gli scioperi bracciantili del dopoguerra, alla quale dedicò un’opera molto bella anche Renato Guttuso e della cui vicenda ho scritto alcune pagine commemorative pochi mesi fa, celebrando il 60° anniversario di quei fatti ( in questo blog 7.5.2009: In memoria della nostra Maria, 1949-2009: 60 anni fa cadeva Maria Margotti, di Agide Vandini ).

All’evento così doloroso che emozionò tutta l’Italia, Angelo Biancini dedicò un busto in bronzo dedicato alla figura della nostra mondina ed un trittico in gesso raffigurante alcune donne piangenti, opere donate dal maestro alla locale Coop. Agricola Braccianti che oggi ne è custode.

Il busto è accuratamente custodito negli uffici dell’azienda, l’opera in gesso è stata invece, ahimè, piuttosto abbandonata e trascurata in questi anni e non ha mai trovato degna ed adeguata collocazione, stando a quanto mi ha segnalato qualche settimana fa Vanni Geminiani a cui debbo la preziosa fotografia.

Si tratta di sculture, queste ultime, che, dato il loro rilievo sociale e storico, sarebbe il caso di collocarle in edificio pubblico, in luogo cioè alla portata dei visitatori tutti, ovviamente a Filo e non altrove. Sarebbe il modo migliore per valorizzarle ed onorarle come meritano. Pare ci siano in vista importanti ristrutturazioni nelle due ex Case del Popolo. Lì forse potrebbe esserci l’occasione per una più opportuna sistemazione delle due opere.

Avendo la fortuna di disporre di beni artistici così prestigiosi, che danno lustro al paese di Filo, alla sua storia e alla sua cultura (mi rivolgo alle amministrazioni dei comuni di Argenta e di Alfonsine), sarebbe un vero delitto mancare di adeguata sensibilità e spirito di iniziativa.

Alla memoria del maestro romagnolo vada in ogni caso, per sempre, tutta la gratitudine dei filesi.

Cliccare sulle foto per vederle ingrandite

[1] L.Ricci Maccarini, Dal Palazzone, Argenta, Centro Stampa Offset, 1983, pp. 124-125.

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