Settant’anni dopo, la memoria di
un paese martoriato (1)
di Agide Vandini
Appena pochi mesi fa (7 agosto
scorso) la proiezione in sala pubblica a Filo di una copia digitalizzata de’
«L’Aquilone sul Reno», ci ha fatto capire, se mai ce ne fosse stato bisogno,
quanto frammentaria, talvolta carente, risulti la documentazione e la
narrazione sin qui proposta, bibliografica e cinematografica, intorno al
tragico e sanguinoso 1944 filese. Si tratta di eventi basilari della nostra
storia che toccarono profondamente il paese durante l’occupazione nazi-fascista,
eventi di cui ricorrerà nei prossimi mesi il 70esimo anniversario.
Il filmato, dedicato a quanto
avvenne nei dintorni di Argenta durante la seconda guerra mondiale, fu
realizzato a metà degli anni ‘90 sotto la regia di Andrea Barra e sponsorizzato
da una Coop Costruttori al tempo assai sulla cresta dell’onda. La realizzazione
del progetto si avvalse, oltre che di attori locali, di molte testimonianze
raccolte con passione e meticolosità fra gente che custodisce con orgoglio e
fierezza le sue memorie, ben cosciente del prezzo, enorme, pagato, qui, per la
conquista della Libertà e della Democrazia. Grande fu a Filo il contributo dato
alla Resistenza e tante le irreparabili perdite umane che accompagnarono le devastazioni
delle nostre case, in particolare nei giorni del passaggio del fronte bellico
nel territorio fra il Reno e le Valli di Comacchio, in quella che porta il nome
di battaglia dell’Argenta Gap (la
stretta di Argenta) una delle battaglie più importanti della Campagna d’Italia
nell’ultimo conflitto.
|
All’epoca in cui furono girate le
scene, io accompagnai ad un colloquio col regista mia sorella, testimone
diretta dell’evento tragico che aveva comportato la morte di nonna Agida
Cavalli. Carla raccontò con grande emozione ogni minimo particolare della
terribile esperienza vissuta da bambina, cercammo insieme di spiegare come
quell’avvenimento si inquadrasse nell’annosa vicenda di persecuzione politica
di nostro padre e come la decisione di sopprimerlo da parte dei repubblichini fosse
avvenuta a fine febbraio 1944, quando a Filo non si respirava ancora il clima
di battaglia militare e in un periodo in cui il movimento di Resistenza, appena
agli albori, non poteva ancora preoccupare seriamente gli occupanti
nazi-fascisti. Spiegammo come e perché babbo Guerriero e il suo designato compagno
di fucilazione (Matulli Giovanni detto Gianêl)
ebbero salva la vita per il sacrificio
della nonna, un rilascio che intendeva essere un gesto riparatore e che
soltanto qualche mese dopo, nel clima esasperato e di violenza spietata che si
instaurò coi fascisti e i tedeschi alle strette, non sarebbe stato possibile, violenza
che determinò, come sappiamo, ulteriori persecuzioni, rappresaglie e morti
atroci.
Nel film purtroppo non trovò
posto nulla di tutto questo; la scena dell’uccisione, forse esigenze scenografiche
e narrative, fu proposta con una dinamica diversa dall’accaduto e soprattutto collocata
temporalmente in modo errato. Il fatto viene proposto addirittura dopo
l’eccidio dell’8 settembre 1944 e persino dopo la sparatoria partigiana sugli
argini del Reno del gennaio 1945, quasi che fosse avvenuto a ridosso del
passaggio del fronte, senza accennare minimamente agli esiti finali della spedizione
fascista. Nulla si dice sulla conclusione, lungo la scarpata della strada
provinciale in località Civettara, sul rilascio all’ultimo momento dei
prigionieri già pronti per l’esecuzione, con una decisione che sorprese persino
i due perseguitati, per fortuna ignari
delle condizioni disperate della donna trasportata all’ospedale in fin di vita.
Non aver rappresentato questo aspetto, ha significato togliere allo spettatore la
possibilità di capire come e perché il gesto e l’estremo sacrificio dell’Agida
fu, non solo coraggioso ed eroico nel suo slancio di madre, ma utile e
determinante per la vita del figlio e del suo compagno di lotta politica.
La vita di Ghéo e Gianêl fu
risparmiata, di fatto, davanti alla vergogna di avere, con uno spiegamento di
forze del genere (ben 12 brigatisti neri fatti venire da Migliaro, Migliarino,
Dogato e Massafiscaglia) colpito ed ucciso a tradimento una donna, forte e
temeraria, ma pur sempre una donna. Seguendo il filmato non si capisce neppure quale
fine abbia mai fatto l’antifascista prelevato da casa, un silenzio che indurrebbe
a pensare alla sua soppressione. Eppure, se così fosse stato, chi scrive (e
porta il nome della nonna) e che all’epoca spiegò tutto al regista, non sarebbe
nato 20 mesi dopo.
Chi volesse documentarsi un po’
meglio intorno a questo fatto che appartiene ormai alla storia di Filo può
farlo consultando a fondo questo blog, oppure leggere l’articolo rievocativo di
Renata Viganò («Una madre della Resistenza», Noi Donne, 27.4.1952) ripubblicato e corredato di note integrative
in A.Vandini, Sotto l’ombra d’un bel fior, Faenza, Edit, 2005, pp. 67-68. La
scadente ricostruzione cinematografica ci suggerisce tuttavia che si può e si
deve fare di più, raccontando meglio ciò che avvenne a Filo in quel tragico
1944.
Intorno all’eccidio dei dieci
filesi, ad esempio, avvenuto alla data dell’8 settembre 1944, sei mesi dopo la
morte dell’Agida e quattro mesi dopo la vile eliminazione di un uomo come Mario
Babini, vero trascinatore dell’antifascismo filese, i cineasti ferraresi devono
aver ricevuto altrettante testimonianze accorate. Ricordo che all’epoca nella
saletta della Casa del Popolo di Filo si tennero affollate riunioni e dibattiti
sull’argomento.
Com’è stata possibile allora una introduzione
delle scene del misfatto con parole in grado di lasciare allibiti i filesi? Si
è udito recitare nella proiezione pubblica: “Avvennero episodi terribili come
l’uccisione di dieci cittadini, cinque di
Filo e cinque delle località vicine, per rappresaglia…”, un commento al
limite del ridicolo, arcinoto com’è, a Filo e non solo, che quei poveri corpi
insanguinati e quelle dieci famiglie distrutte erano tutte e soltanto del
nostro martoriato paese, circostanza, di per sé, nella logica folle della
rappresaglia nazista.
Ancora sbigottito, arrabbiato con
me stesso per non averlo notato prima, ho voluto riascoltare e rivedere per
l’ennesima volta la raccapricciante scena nella copia del filmato in mio
possesso (una digitalizzazione casalinga della videocassetta comperata a suo
tempo) e sono rimasto di stucco. Nella mia copia (Edizione dell’Aprile 1995) la
voce di Raul Grassilli recita ben diversamente: «Avvennero episodi terribili
come l’uccisione di dieci cittadini di
Filo d’Argenta[1],
per rappresaglia, dopo la morte di un soldato tedesco…».
Più che tranquillizzarmi, il
fatto ha reso evidente come in giro ci siano copie sbagliate e pasticciate del
film, copie che evidentemente non vennero mai sostituite. Non ho peraltro mai
saputo di opportune note di “errata corrige”. Sta di fatto che chi ha
digitalizzato la copia proiettata in pubblico in questi giorni non sapeva dell’esistenza
della versione riveduta e corretta.
Peccato. E’ davvero triste avere
avuto una simile possibilità di spiegare alle future generazioni le tragedie
della guerra nell’argentano, aver potuto contare sulla partecipazione
entusiastica di così tante persone, ed averla in parte sprecata, pasticciando in
modo tanto maldestro i fatti filesi rappresentati, ed aver reso in sostanza il
filmato, per le sue imprecisioni, scarsamente utilizzabile a scopo
storico-documentaristico e didattico.
Vero è che il film fu concepito
con un taglio “narrativo” ove la realtà, i fatti avvenuti, sono collegati ad
una vicenda del tutto fantasiosa, pur verosimile, la vicenda personale del
giornalista che tiene insieme il racconto. Per questo suo taglio romanzesco o,
se si vuole, per le discrete performances di attori improvvisati e qualche buona
ricostruzione ambientale, il filmato merita di essere proposto. Difficile invece
è distinguere nel filmato la realtà dalla fantasia, e viceversa, almeno per la
parte «filese», da parte di chi non
visse gli avvenimenti o non ha avuto, come noi, la possibilità di udire le tante
testimonianze dell’immediato dopoguerra.
Credo allora che, intorno all’eccidio,
ma anche agli altri tragici fatti filesi del 1944, visti i limiti e l’ambito
circoscritto dei resoconti fin qui pubblicati, sia giusto scrivere ancora
qualcosa, raccogliendo e mettendo ragionevolmente assieme racconti e
testimonianze di chi visse direttamente o indirettamente gli eventi, in modo
che la “finzione” o “l’approssimazione” non finiscano per sostituire, un giorno,
la verità storica. E’ quel che, con impegno, mi ripropongo di fare in questo
blog in altre quattro consistenti puntate settimanali.
(1/5 - continua)
[1] Un «d’Argenta» che, come avviene purtroppo
assai spesso, è sempre di troppo quando ci si riferisce al paese nel suo
complesso, articolato, com’è noto, in due frazioni di comuni diversi. Alcuni
dei trucidati infatti erano di Filo d’Alfonsine.
Nessun commento:
Posta un commento