di Luciana Belletti
A proposito dell’appartenenza della mia terra natia di Filo all’«area culturale» romagnola, un tenero ricordo mi porta alla mia bisnonna Paola Pagani detta Cléta (che abitava alla S-ciapèta verso Case Selvatiche), alla quale da bambina mi sentivo particolarmente legata. Lei era molto devota e praticante, recitava abitualmente una lunga preghiera in dialetto e qualcuna delle strofe in metrica stentata che mi ripeteva io le ho sempre portate nel mio cuore. Essa usava mormorare ad esempio:
venite a višitê l’anima meja…»
Qualche anno fa, io filese da anni trapiantata a Ravenna, ho avuto la bella sorpresa di ritrovarla per intero in un volume comprato al mercatino. Reca il titolo “Signór mi ponghi žo” e rileggendola ho potuto risentire con tanta emozione le devote parole in dialetto della mia nonna, capire che si trattava di preghiera diffusa e conosciuta in quei termini in un territorio ben più vasto di Filo e pensare, allo stesso tempo, al grande, immenso patrimonio culturale dei nostri vecchi che purtroppo non sempre siamo stati capaci di conservare e di trasmettere ai nostri figli.
Ecco il testo integrale della preghiera, che si conclude in lingua italiana:
Signór mi ponghi žo
(trascrizione in dialetto filese di Agide Vandini)
d’ livêm a-n so piò;
trë grezi av cmend a vo:
Cunfsion, Cumignon, Oli Sent;
a m’aracmend a vo, Spiritu Sent
venite a višitê l’anima meja
fasì ch’la seja sêlva da e’ Signór,
da
a
a so sérva dla su Cumpagneja
a m’j arivulz cun dulór e pient,
a m’aracmend a vo, Spiritu Sent…
incóra a la su mèdar Mareia Madalena;
a m’aracmend a Senta Elisabeta
incóra a la su mèdar Mareja banadeta;
tot i Sent chi seja de’ vostr umór
chi vegna a praghê dnenz a e’ Signór.
a jò l’ènžal ‘d Dì;
Am guérd dachent
A j ò e’ Spiritu Sent;
Am guérd da la tësta,
a j ò
per la buona guardia che m’ha dato Dio,
tu mi scampi dal demonio,
angelo guardami, ben custodiscimi,
sii meco ad ogni lato.
Quando sarò dal mio Signor chiamato
Potrò dire: “Questo è l’angelo che mi ha ben guardato”.
In manu tua Domine, raccomando lo spirito mio. Amen[1]
[1] Da F.Balilla Pratella, Poesia, narrazioni popolari in Romagna, Ravenna, Ediz. Del Girasole, 1974, Vol. I, pp. 119. Secondo il testo si tratta di «riduzione non completa in dialetto - dal verso 28 alla fine è in italiano - con corruzioni, dimenticanze, contaminazioni, di altre preghiere probabilmente toscane o italiane».
1 commento:
Bravo Luciano, dal cassetto della tua memoria, hai fatto uscire una perla di rara bellezza. Una semplice preghiera , che esprime devozione e spiritualità espressa con animo semplice ed umiltà. Patrimonio questo si saggezza popolare, che fonda le radici nella tradizione culturale di quella Romagna esteriormente atea e mangiapreti, ma profondamente intrisa di religiosità e devozione cristiana. Speriamo dunque che il tuo esempio, sia di stimolo ed esempio affinchè altri stimolino la loro memoria e di perle se ne
colgano tante altre da riempirne uno scrigno. Benny
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