sabato 1 dicembre 2007

Cosa può raccontarci la S-ciapèta di Filo...


La S-ciapeta, la borgata che si incontra giungendo a Filo da ovest e lungo la Strada Provinciale, deve il suo curioso toponimo alla diramazione stradale che, in quella posizione, si collocò per alcuni secoli.

Prima della diversione fluviale del 1782, infatti, l’alveo del Po di Primaro, in corrispondenza del territorio di Filo, era affiancato alla sua sinistra da due strade parallele. A ridosso del fiume ed alla sua sinistra, alla quota più alta dell’arginatura, passava una carraia chiamata Via di Sopra, mentre ad una quota più bassa scorreva per la spalla più esterna la Via di Sotto, a sua volta sopraelevata rispetto al suolo.

La Via di Sotto a fine Ottocento divenne poi la Strada Provinciale Filo-Longastrino, mentre la Via di Sopra, che ai primordi e per secoli ebbe l’importantissima funzione di «alzaia» per il traino dei natanti, fu abbandonata quasi ovunque, spianata ed occupata dai privati. Di essa sopravvivono appena alcuni brevissimi tratti nel borgo maggiore di Filo (la Via Pradina proprio alla S-ciapeta, un «Vicolo non denominato» che scorre dietro l’attuale sede della delegazione comunale), ed un altro a Molino di Filo (la Via Mario Babini).

Ritornando allo scenario antico, ossia al tempo in cui il Po di Primaro occupava il vecchio alveo, è importante sapere che, lungo le poche centinaia di metri fra il centro di Filo e La S-ciapeta, il corso del fiume ebbe a subire un lieve spostamento verso sinistra; di conseguenza la Via di Sopra fu erosa dalle acque in quello stesso tratto e si provvide quindi, per proteggere l’abitato, al rialzo dell’arginatura esterna, quella percorsa dalla Via di Sotto.

A memoria d’uomo si ricorda ancora come proprio quella parte di argine antico sia stata abbassata in anni a noi vicini, precisamente negli anni Sessanta del Novecento al tempo dell’asfaltatura della Provinciale, e come, il materiale di sterro sia finito nella banchina e nel largo gradone a fianco della strada.

La Via di Sotto perciò, fra il Settecento e l’Ottocento, dirigendosi da Filo verso la Bastia e Argenta, riceveva la Via di Sopra più o meno all’attuale confluenza di Via Rondelli, in quello stesso punto compiva una brusca salita, scorreva alta e stretta per alcune centinaia di metri, poi scendeva alla quota precedente all’altezza dell’attuale Via Pradina. Lì una biforcazione stradale la ricollegava alla Via di Sopra che così riprendeva il suo corso proseguendo, parallela alla principale, fino alla Bastia.

Il luogo della biforcazione ebbe perciò l’appellativo «La s-ciapeta», dal verbo dialettale S-ciapê (“dividere per lo lungo” come recita nel suo antico dizionario il «Morri»), termine che oggi sembra non avere corrispondenza nella lingua italiana. Deriva comunque dall’arcaico «schiappare» (fendere o spaccare il legno) a sua volta mutuato dal provenzale clapar (battere, rendere il suono di cosa rotta o percossa).

Fino a che, poi, nell’alveo di Po vecchio rimase in vita un modesto canale per dare acqua ai molini di Filo, il paesaggio non mutò, tanto che la Via di Sopra e l’alveo stesso mantennero la loro funzione con una portata d’acqua molto ridotta rispetto al passato. Nella seconda metà dell’Ottocento, tuttavia, si passò a nuove forme d'energia per la macinazione del grano; la chiavica della Bastia non fornì più acqua al canale e, davanti alla perdita di utilità dell’alveo, delle arginature e, in alcuni punti, delle strade che le percorrevano, molti privati, caduto lo Stato Pontificio, poterono di fatto occupare ed acquisire parte dei vecchi terreni golenali. In pochi anni il territorio fu stravolto e si determinò la fine dell’ambiente fluviale e rivierasco, quello che i filesi, per secoli e secoli, avevano avuto sotto gli occhi. Alcuni di quei terreni furono utilizzati per edilizia privata, altri per uso pubblico (il cimitero), altri ancora ed in misura prevalente, per lo sfruttamento agricolo.

Allo stesso modo la Via di Ravenna, la strada che - probabilmente con funzione di alzaia - affiancava in territorio ravennate l’argine destro del Primaro, subì notevoli rimaneggiamenti perdendo molti pezzi, incorporati nelle campagne e nelle proprietà confinanti. Nei tratti non sopprimibili quella strada fu chiamata dal volgo «Bassa» poiché situata a quota inferiore rispetto alle due strade parallele dell’altra sponda.

In proposito va ricordato che il versante destro del fiume, di giurisdizione ravennate, non fu mai arginato, dovendo le acque limacciose facilmente tracimare e rialzare per colmata i terreni adiacenti, ossia la vasta area paludosa all’epoca denominata «Valli di Filo e Longastrino». Per questo il suolo ravennate di Filo ha oggi qualche metro d’altitudine in più rispetto alla zona ferrarese.

Col mutare dello scenario, poi, con la sparizione della Via di Sopra e per uno dei tanti paradossi della storia, la Via di Sotto, rimasta la sola strada sopraelevata, fu chiamata dal volgo la strê élta, la strada «alta».

Dei percorsi stradali minori oggi restano piccoli tratti della Via di Sopra e consistenti pezzi della «Via di Ravenna». Dell’antico letto fluviale permangono alcuni chilometri d’alveo abbandonato di Po Vecchio fra Molino di Filo e Menate. E’ invece rimasta completamente integra tutta la Via di Sotto, poi Via Provinciale e di recente Via 8 settembre 1944 - Via M.Margotti divenuta arteria principale di comunicazione del basso argentano.

Sopravvivono infine, dure a morire ad un paio di secoli di distanza, molte testimonianze del paesaggio antico nelle espressioni dialettali, nei modi di dire e negli strani toponimi. Fra questi ultimi, un appellativo dialettale ignorato dalla toponomastica locale, un termine d’uso popolare dall’efficace fonetica e dal chiaro significato, che, di tutto lo sconquasso ambientale che qui si consumò, è ancora in grado di raccontarci la storia: La S-ciapeta (Agide Vandini, luglio 2006[1]).

Nelle foto ed illustrazioni:

A. Parte del territorio di Filo tratto dalla carta «Napoleonica» del Ferrarese (1812-1814)

B. «Alzaie» per il traino dei natanti, funzione un tempo svolta dalla Via di Sopra e dalla Via di Ravenna.

C. L’alveo di Po “Vecchio”, oggi, fra Molino di Filo e Menate. Una pioggia abbondante sembra ridar vita all’antico fiume.



[1] Per approfondimenti sull’argomento ed in generale sulla storia ed il folclore del territorio, si veda il testo A.Vandini, Filo, la nostra terra, Faenza, Edit, 2004.


3 commenti:

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