martedì 4 maggio 2021

Quel matto di Zambeccari…

 Mongolfiere ottocentesche sui cieli di Romagna(1)

di Agide Vandini

 


In questi giorni ho potuto leggermi il racconto di Guido Tarozzi dal titolo Francesco Orlandi, l’aerobata: una storia interessante che ci porta al tempo lontano delle mongolfiere, ispirata dal ritrovamento di una lapide ottocentesca davvero  misteriosa, una curiosa vicenda romagnola di cui racconterò nella 2° parte.

E’ un tema stuzzicante, quello dei pionieri dell’aria, che ci riporta alla grande passione per i voli aerostatici diffusasi in Europa sul finire del XVIII secolo, passione che attecchì in particolare nella città di Bologna. Qui, fra i suoi primi e più conosciuti protagonisti, ci fu un ardente scavezzacollo, uno spirito ribelle di nobile stirpe, amante del rischio e dell’avventura, la cui famiglia aveva chiari legami col nostro territorio.

Questo degno esponente del "secolo dei lumi", inventore ed aeronauta, si chiamava Francesco Zambeccari ed era figlio del Marchese Giacomo, senatore bolognese e proprietario di importanti terreni e valli nella nostra Riviera di Filo[1] .

Volle il destino che, proprio sopra le estese proprietà di famiglia, dovesse un giorno volare l’ingegnoso aeronauta, nel corso di un paio di imprese avventurose che fecero, all’epoca, grandissimo clamore.

Oggi, quello di Francesco Zambeccari è un nome assai famoso: pioniere dell’aria fra i più celebrati, importante protagonista della storia dell'aerostatica d’ogni tempo e Paese, tanto che le sue gesta ed emozionanti peripezie devono essere qui riportate con un minimo di completezza.

Nato a Bologna nel 1752, egli viene descritto come un giovane dalla testa calda, insofferente alle regole della nobiltà, incline all’esplorazione e all’avventura.  Dopo una rigida istruzione ricevuta nel Collegio dei Nobili di Parma, egli si arruola nella marina spagnola.

Impegnato dapprima nella lotta ai pirati nel Mediterraneo, poi nella difesa dei domini d'oltremare, negli anni della rivoluzione americana il futuro aeronauta si mette però in contrasto con la Santa Inquisizione ed è costretto a lasciare L'Avana. Si trasferisce prima a Parigi, poi a Londra all’epoca dei primi esperimenti di volo col pallone e viene in contatto coi fratelli Montgolfier.

Il 25 novembre del 1783 Francesco Zambeccari lancia dal Moorfields Artillery Ground un modello di pallone aerostatico  del diametro di circa tre metri. Quel pallone rimane in volo per oltre due ore ed atterra intatto presso Graffam, a circa 75 chilometri di distanza. L’anno successivo, il 15 aprile, Zambeccari  incanta Venezia col volo di una  mongolfiera alla punta della Salute. L’ evento viene immortalato da Francesco Guardi in un dipinto oggi conservato alla Gemäldegalerie di Berlino (vedi immagine a fianco).

La passione per gli aerostati a Bologna si diffonde a tal punto  che persino un frate e maestro di novizi, tale padre Giovanni Maria Romaironi, il 27 febbraio 1784 si leva in volo dal chiostro della chiesa di San Giacomo Maggiore e la sua «macchina» raggiunge l’altezza di settanta metri «Fra lo stupore e il compiacimento universali»[2].

Il 22 marzo 1785 l’impavido Zambeccari, in compagnia dell’ammiraglio Vernon, s’alza imperiosamente in volo nel cielo di Londra superando i 3000 metri di quota.

Sono però anche anni che preannunciano grandi sconvolgimenti. Il vento rivoluzionario sta per attraversare  la Francia e l’intera Europa, sicché l’ardimentoso Marchesino trova il modo di lanciarsi in altre rischiose avventure. Nel 1787 s’arruola nella Marina  russa, partecipa alla guerra contro l’Impero Ottomano e finisce prigioniero a Costantinopoli per oltre due anni. Durante la prigionia ha modo di  approfondire i suoi studi sul volo e sulle macchine aerostatiche.

 Messo in libertà grazie all’intercessione del re di Spagna, torna a Bologna. Nella città natale si sposa contro la volontà del padre[3], dopo di che si dedica a nuovi studi sul volo aerostatico che lo portano ad impegnarsi in altri esperimenti in Italia e in Inghilterra.

Nella notte tra il 7 e l’8 ottobre 1803, organizza il lungo volo che lo vede partire, assieme a due suoi allievi, dalla Montagnola di Bologna[4]. Il pallone, a doppia camera secondo una tecnica di sua creazione[5], sale ad alta quota, vola nel buio per i cieli di Romagna e raggiunge una quota tanto elevata da congelare gli abiti dei passeggeri e da far loro perdere conoscenza. I tre si ritrovano inconsapevolmente naufraghi nelle acque dell’Adriatico. Riavuta rapida coscienza, essi riprendono quota per poi scendere precipitosamente in mare nei pressi della costa istriana. Lì sono tratti in salvo da una barca di pescatori.

La disavventura non dissuade però l’intrepido marchese che, recuperato il pallone finito in Bosnia e rimesso a punto il suo cesto volante, l’anno successivo ritenta l’impresa partendo stavolta dalla collina di San Michele in Bosco.

Quella volta riesce a portare l’aerostato sopra Piazza Maggiore e Porta San Mamolo sostandovi a lungo fra lo stupore e l’ammirazione di circa cinquantamila cittadini ivi radunati. Anche in questo caso, però, non tutto va per il verso giusto: la manovra di atterraggio incontra impreviste difficoltà. Mentre il compagno di volo riesce a scendere, il marchese viene riportato rapidamente in quota. Il pallone sorvola di nuovo le nostre campagne, prosegue fino al delta del Po e lì atterra in qualche modo nei pressi di Comacchio.

Otto anni dopo, Francesco Zambeccari ormai sessantenne e giunto al terzo volo spettacolare, incontra, ahimè, il suo tragico appuntamento col destino. Il 21 settembre 1812, subito dopo il decollo, la sua mongolfiera urta violentemente un albero, il fornello ad alcool si rovescia sul pilota e prende fuoco. Per l’aeronauta  non c’è scampo. Muore il giorno dopo per le ustioni riportate.

A quanto si racconta, le avventurose imprese aeronautiche di Francesco Zambeccari avrebbero provocato la quasi totale rovina della sua famiglia, costretta forse per questo a cedere le ricche proprietà fondiarie nella Riviera del Primaro. Tuttavia la storia del volo umano nei cieli d’Europa parla ancora oggi di lui, delle vicende del nuovo Icaro, del grande «pioniere dell’aria» e ci si inchina  con immutato stupore di fronte all’inventiva singolare del marchesino e al suo indomito coraggio [6].

 

 

(1 – continua)

 

 

 



[1] La casa Zambeccari aveva acquisito alcune proprietà fondiarie dai Signori Grelli Danzi di Argenta nel 1745. L’odierna Via Tamerischi di Filo nel XVIII secolo era per questo chiamata «Strada Massari detta l’Argine Zambeccari». Dei Marchesi e Fratelli Zambeccari ho pubblicato integralmente un Esposto «informale» di fine ‘700 alla R.C.A reclamante l’uso delle acque del Canale di Filo [A.V., Filo la nostra terra, Faenza, Edit, 2004, pp. 349-350].

[2]  * Guida ai misteri e segreti dell’Emilia Romagna, Como, Sugar Edizioni, 1987, p.  134.

[3] Sposò Diamante Negrini da cui ebbe tre figli. Uno di questi, Livio, ebbe un importante ruolo nel Risorgimento italiano.

[4] Pare che, proprio  in quell’occasione sia preso un colpo all’amico Carlo Mondini che trepidava per la sua incolumità: Questo il racconto che se ne fece in seguito: […] Francesco Zambeccari dopo gli studi e i viaggi fatti, prese la risoluzione di aggirarsi per gli spazi celesti col favore di un proporzionato macchinamento, e dirigersi per l'aria come per l'immensa superficie del mare il pilota regola il suo naviglio. Non perdonò egli né a spese né a fatiche, né a veglie né a prove per condurre ad effetto il concepito disegno. Tutto andò a seconda de' suoi desiderii. La molteplice suppellettile occorrente all'uopo fu trasportata entro un vastissimo steccato eretto ne' pubblici giardini, luogo dato a quello spettacolo. E fu intimato che quando dall'avanzamento de' lavori conosciuta si fosse la vicinanza del tempo del volo, ne avrebbero dato segnale al pubblico gli strepiti delle artiglierie. Ma il Mondini, che amava teneramente lo Zambeccari, conoscendolo di un cuore risolutissimo, e credendo, che un tanto ardimento gli costerebbe la vita, era oppresso dalle angustie, tremava e palpitavagli il cuore. Giunte le cose al punto bramato del volatore, diedesi il promesso annunzio. E nello stesso momento in cui udissi il rimbombo del primo colpo, nel medesimo il Mondini cadde apoplettico"[Mirtide Gavelli]

[5] Il pallone a doppia camera rappresenta la più straordinaria realizzazione di Zambeccari: un'idea talmente in anticipo sui tempi che si dovette attendere la seconda metà del XX secolo per vederne la compiuta realizzazione. Zambeccari espose per la prima volta il suo progetto in una lettera inviata al padre da Londra il 28 novembre 1783, una settimana appena dopo il primo volo umano della storia. Il pallone a doppia camera, o "aeromongolfiera", consisteva in due involucri separati, uno superiore riempito con idrogeno e uno inferiore gonfiato con aria riscaldata per mezzo di un braciere. In questo modo non era più necessario gettare zavorra per salire, o liberare gas per scendere.

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