Poesia
di Orazio Pezzi
Esattamente un anno fa, il 2 marzo 2010, mia madre, per tutti l’Elvira d Capitëni, ci lasciava ad assai veneranda età. Il suo ricordo è ancora vivissimo e col trascorrere del tempo, sempre più la rivedo nitida nella mia mente nei suoi anni più belli, anni lontani della mia adolescenza e gioventù che considero forse i più cari e felici.
E’ un sentimento unico e profondo quello che unisce ognuno di noi alla propria madre e ne è prova questa poesia che ho avuto poche settimane fa da Orazio, il mio migliore amico di gioventù. Anch’egli ha perso purtroppo la madre di recente ed è, anche questa, una perdita di cui io faccio ancora fatica a rendermi conto.
Personalmente ho un caro ricordo della Laura, soprattutto del periodo (1977) in cui assisteva all’ospedale di Lugo il figlio Gabriele, Cicci per i filesi. Io, operato al ginocchio, fui compagno di camera di Cicci per un paio di mesi, ma lui, uscito da un incidente pauroso, quasi miracolato seppure con parecchie ossa rotte, era un degente di lungo corso, capace di sopportare dolori tremendi.
Gli occhi premurosi della Laura a quell’epoca non lasciavano mai quelli del figlio, occhi dai quali lei sapeva capire ogni sofferenza o bisogno. Era onnipresente, gentile con tutti, soprattutto con me che sapeva amico per la pelle del figlio maggiore e, senza dubbio per questo, mi faceva sentire praticamente in famiglia e mi trattava quasi come fossi il fratellone di Cicci.
Tanta dolcezza, ma anche tanta personalità si percepivano facilmente dalla sua presenza. Orazio ora le ha dedicato una poesia meravigliosa. Leggendola, direi che la Laura possiamo rivederla tutti, io per primo, come fosse ancora qui fra noi. Miracoli della vera poesia.
La pubblico nell’anniversario della morte di mia madre e credo possa essere dedicata ai tanti amici e coetanei che, come noi, tengono ormai il ricordo della propria madre racchiuso nel più profondo del cuore.
Ciao Laura. Sono sicuro che oggi i tuoi occhi brillerebbero più che mai. (a.v.)
Mi Mê di Orazio Pezzi
L’avéva in tësta tọt i su cavẹl Pitné indrì un pô mọs e undulé I éra una maravéja e parèc’ bẹl: Biéñc, cun di riflẹs grìš aržinté.
I ọc nìgar, vẹsp e inluminé Che tọt i t dgéva, zeñza fiatê. Se pu la t gvardéva bura L’éra mej che t’andẹs fura E t’aspitẹs ch la fọs lì a ciamê.
Còma e’ dgéva e’ babo: «Purcaza dla mišéria, Ènch quènd ch la rìd, la mama la rìd séria».
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Mia Madre di Orazio Pezzi
Aveva in testa tutti i suoi capelli Pettinati all’indietro, un po’ mossi e ondulati Erano una meraviglia e davvero belli: Bianchi, con tanti riflessi grigio - argentati.
Gli occhi così neri, vispi e luminosi Che tutto ti dicevano, senza fiatare. Se però ti guardava rabbuiata Era meglio andarsene fuori E aspettare che fosse lei a chiamarti.
Come diceva il babbo: «Per la miseria, Anche quando ride, la mamma ride seria».
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