Storie e foto - ricordo di vecchie
compagnie di attori filesi (2)
di Agide Vandini
Per
ricordare la prima compagnia teatrale di cui si abbia memoria a Filo, si deve risalire
ai primi decenni del '900. Portava il nome di «Filodrammatica Vittorio Alfieri»
e teneva le proprie rappresentazioni in una sala del vecchio «Palazzone»,
imponente edificio ottocentesco oggi vetusto e cadente, costruito all’epoca
affinché guardasse e dominasse il frammentato paese dall’alto e ne divenisse il
centro operativo e pulsante.
Pare che quell’edificio sia stato progettato
ancora in epoca pontificia quale sede dell’antico Comune di Filo. Si tramanda
addirittura che fra il Palazzone e l’edificio destinato ad ospitare la Caserma
dei Carabinieri fosse previsto un arco ornamentale sopra lo stretto passaggio che
introduce all’area cortiliva interna e quindi alla parte di fabbricato da
dedicarsi ad attività civiche.
Il
Palazzone nei primi anni ’40 del ‘900, visto da sud, dall’arena di casa
Carlotti. Da sinistra: Giovanni Guidarini (Giuanẹñ o Topolino),
Giovanni Geminiani (Giuanòñ d Pisini),
Eusebio Cesari (Šébio).
Il Palazzone, oggi, visto da
Nord-Ovest
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Il
Palazzone visto da sud-ovest negli anni’60 quand’era ancora abitato. A
sinistra la vecchia caserma dei Carabinieri; fra i due edifici pare fosse previsto,
nel progetto d’epoca pontificia, un arco ornamentale.
Il Palazzone, oggi, visto da Sud-Ovest.
Qui è ben visibile l’ala posteriore e la scalinata che dà accesso all’antica
sala pubblica.
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Sul
finire dell’800, tramontata ogni autonomia amministrativa del territorio in
provincia di Ferrara con la completa fusione nel comune di Argenta, chi si
occupò della costruzione, ossia Don Adriano Farabulini, filese e fratello del più
celebre David, alto prelato vaticano, lo destinò a piccole abitazioni e ad
attività civiche minori.
Il
luogo scelto per la costruzione, di antica proprietà parrocchiale, era il
terrapieno ottenuto dallo spianamento dell’arginello adiacente l’ultimo e
ristretto alveo di Po vecchio, a ridosso quindi della via del centro cittadino
che conduceva alla frazione di Filo d’Alfonsine ed al territorio di Ravenna. A
quel tempo le due frazioni filesi erano ancora collegate da un ponte, un ponticello
poi interrato, che attraversava Po Vecchio fra il Forno ex Saiani e la ferramenta
Diani. Dopo la diversione fluviale di fine Settecento l’antico alveo era ormai ridotto
ai minimi termini per portare acqua al molino di Filo, funzione peraltro che
non sempre fu in grado di assolvere. Trasformato il molino ad acqua in molino a
vapore, a fine ‘800 quel canale aveva praticamente perso ogni funzionalità,
tanto da venire poco a poco interrato dai frontisti lungo tutto il percorso,
dalla Bastia (ove derivava acqua da apposita chiavica) fino al Molino di Filo.
Ad
inizio Novecento il grande fabbricato fu addirittura raddoppiato. La nascente cooperativa agricola che vi si
insediò utilizzò la nuova ala in gran parte come ricovero macchine (area in
seguito divenuta falegnameria), mentre il vano al primo piano che volgeva verso
mezzogiorno fu adibito a sala pubblica ad uso ricreativo. Quella sala, oggi divenuta
deposito delle luminarie natalizie, funzionò molto attivamente nel primo
Novecento come Sala da Ballo, Cinematografo e quindi anche da Teatro. Fu il
luogo d’incontro dei nostri nonni e dei nostri genitori nella loro prima
gioventù.
Metà
degli anni ’20 del ‘900. Gli uomini (in
piedi) da sinistra: Vacchi [...], Forlani Mario, Roi [...], Vandini Nevio,
Dalle Vacche D’Artagnan, Veduti Ennio, Camerini Umberto, Valenti Gualtiero,
Banzi Ettore, Guerrini Alfeo (nonno di Fulvia Signani). Le donne (sedute da sinistra): Rocchi Rina, Paci Aldina (maestra e moglie
di Tamba Antonio), Ricci Bitti [...] (maestra), Beltati Gemma (maestra),
Vandini Gemma (maestra), Vandini Eugea, Belletti Egizia. (I riconoscimenti sono
di Gemma Vandini, madre di Beniamino Carlotti che premurosamente ne raccolse la
testimonianza e l’ha gentilmente messa a nostra disposizione).
Secondo quanto ci
è stato tramandato, pare che le rappresentazioni della «Filodrammatica Vittorio
Alfieri» registrassero sempre il tutto
esaurito, al culmine di giorni e settimane vissute con grande attesa ed entusiasmo
dalla popolazione. L’atmosfera durante gli spettacoli viene ricordata come
particolarmente allegra e gioiosa; il clima in paese era da Grande Evento tanto
che per parecchio tempo, prima e dopo la rappresentazione, non vi si parlava
d’altro.
Direttore e
regista agli inizi dell’«Alfieri» era il signor Aldo Guido Villani, fattore dei
Tamba , un signore che a fine recita riscuoteva il plauso popolare esibendo
versi in rima che scriveva lui stesso, rime baciate in cui parodiava qualche
personaggio e da cui possiamo ancora evincere il tipo di testi e di commedie
che venivano proposti.
Le rime di Villani
Amici
miei carissimi
nonché
compagni d'arte
meglio
che si potea
facemmo
la nostra parte
Ed
ora che finito abbiam di recitare
questi
miei pochi versi
vi
prego di ascoltare,
che
parlano di noi
e
delle papere che ciascun ha fatto.
Che
ve ne pare di Pacifico[1]
che
non sa mai la parte
e
crede tanto d'essere
il
più bravo in arte!
Per
lui genero e suocero
sono
la stessa cosa
però,
bisogna dirlo,
sa
prender giusta posa
accomoda
il vestiario
e,
se occorre, anche il sipario.
Di
Eugenio poco dirò, amici cari
perché
in confronto a lui
siam
tutti somari.
Ed
ora vien Gianetto[2],
l'amante
sfortunato,
il
cacciatore d'Africa,
marchese
disperato.
D'incoronar
mariti
egli
tentò ma invano
e
quando credeva
d'aver
tutto in sua mano,
gli
capitava in scena
un
Tizio od un Sempronio
che
gli mandava a monte
il
suo bel matrimonio
Ma
fuori dalla scena,
speriam,
s'ammoglierà;
la
mamma della sposa cascherà
oh,
cascherà!...
Alla
fin di tutto questo
gli
auguriam lunga età,
salute
e figli maschi in quantità..
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Questo
è quanto possiamo ancora leggere nella preziosa testimonianza che riporto qui
a fianco, ripresa da «Storia e leggenda di Filo», appunti anonimi redatti con
ogni probabilità dal maestro Soffiatti Guerriero sul finire degli anni ’60.
La
Compagnia fu attiva per lungo tempo, prima e dopo la Grande Guerra, giungendo
a rinnovarsi quasi completamente negli anni, sia nei conduttori che nei
protagonisti.
Uno
degli attori del Primo Novecento fu Roverati Pacifico, i cui dati
anagrafici sono riportati fra le note di fondo pagina a cura di Beniamino
Carlotti. Pazefic abitava nella cà dla Mingóna, di fronte alla chiesa; era calzolaio e bidello nelle
Scuole Elementari di Filo.
Gli
appunti anonimi lo descrivono come il tipico e solerte custode, alto, magro,
vestito con cura, che agiva sempre con una certa signorilità anche quando
versava l’inchiostro nei calamai. Parlava molto bene l’italiano, aveva una
certa cultura sia pure un po’ disordinata, tipicamente autodidatta. I filesi
bisognosi di consigli pare si rivolgessero solitamente a lui.
Un
attore che non si perdeva facilmente d’animo era invece Topi[3],
cumidieñt degli anni ’20, particolarmente
portato all’esibizione in pubblico. Durante uno spettacolo gli capitò, ad un
certo punto, di non ricordare più la battuta prevista, sicché richiamò a modo
suo l'attenzione del regista. Con molta disinvoltura sfoderò una frase improvvisata,
divenuta poi famosa in paese: «E per ragioni di salute... Accenderei un
mozzicone!»
Così
dicendo iniziò a palparsi lentamente il taschino della giacca alla ricerca di
un mozzicone di sigaretta, si fece da capo un paio di volte fino a che arrivò
il desiderato soccorso del suggeritore. La piccola pausa fuori programma fu comunque
colta dal competente pubblico presente che lo gratificò, più che mai, di un
sonoro ed interminabile applauso.
Fin
qui le memorie orali e scritte. Le immagini, o meglio, l’unica foto che si
conservi della Compagnia, ci mostra altri protagonisti, tutti identificati,
fra cui molte maestrine, alcune facce note e altre meno. E’ il gruppo che recitò
sul palco del Palazzone alla metà degli anni Venti. Lo scatto ebbe luogo
davanti alla canonica ove forse ci si incontrava per le prove e per
l’organizzazione degli eventi.
Nella
bella ed accurata posa di gruppo, possiamo ancora osservare sguardi che
attraversano il tempo, sorrisi che tuttora ci inorgogliscono, ci raccontano in tutta semplicità piccole e
sottili emozioni. Soprattutto testimoniano, con la forza inalterata delle
immagini, quanto questo paese sia stato capace, in anni ormai remoti, di
iniziative ben riuscite in campo ricreativo e culturale, attività che richiedevano
serietà, volontà, talento, fervore organizzativo. Sono doti non comuni, ma
che hanno potuto far leva sullo spirito profondo dei filesi, ed incontrarne in
modo del tutto naturale il loro accorato apprezzamento ed entusiasmo.
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[1] Roverati
Pacifico nato a Filo il 1.4.1857, figlio di Girolamo e di Carmela Galli, sposa
Maria Barbieri. Tra i figli avuti ricordiamo Ines nata nel 1888 (e detta Caramëla), sposa di Umberto Guasoni (colui
che da Genova, ov’era giunto in bicicletta, scrisse alla moglie che per anni
gli aveva intimato di togliersi dai piedi), una cartolina di poche parole: «am soia fat in là a basta?...». Dal loro
matrimonio sono nati Olao (il calzolaio), Giancarlo, Serafino, Romano, (Friz il
barbiere) e Beatrice, moglie di Elio Brunelli.
[2] I personaggi citati
sono i fratelli Eugenio Rocchi (1867-?) e Giovanni Rocchi (Gianetto) (1875-1955) figli del sarto lavezzolese Rocchi Bonafede
detto Fidina e della filese Guerra
Lauretana. Sono rispettivamente lo zio e il papà di Rocchi Rina (v.foto), nota
a Filo come la Rina d Gianetto,
indimenticata centralinista telefonica paesana degli anni della nostra infanzia
e prima gioventù.
[3] Si tratta di
Carlo Topi (1904-1993), figlio di Antonio (1876-1940) e di Alba Fortunata
Vandini (1882-1943). La famiglia abitava all’epoca a Chiavica di Legno. Carlo era uomo dalla
fine e pronta intelligenza, dotato di verve e simpatia fuori del comune. Così lo
ha sempre descritto Gemma Vandini Carlotti.
2 commenti:
Sulle corde della nostalgia, ricordare fatti ed avvenimenti di cui ormai non si ha più memoria, almeno da parte mia è un salutare bagno di umiltà, sta a ricordarci chi siamo, da dove veniamo e spero anche dove andremo a finire continuando di questo passo. La filodrammatica, anche se con un pochino di pretenziosità intellettualistica, assolse per i tempi quella che fu una vera e propria funzione di aggregazione sociale, unitamente ai "fularen", ai cantastorie ed ai musicisti improvvisati. Tutta la comunità partecipava agli eventi, sentiti sempre in forma collettiva, mai individuale, tutti si sentivano partecipi dell'avvenimento, chi sul parlco e chi sotto il palco.
Gli attori recitavano la propria parte sotto l'attenta guida del regista ed il pubblico si immedesimava nella parte di qualche personaggio, forse quello più affine alle proprie caratteristiche caratteriali, partecipando con proprie battute, a cui sempre con intelligenza e finezza Carlo Topi rispondeva a tono con battute fuori copione. Ma comunque è un mondo che fu !!!!!!!!
Hai ragione Benny, é un mondo che fu, ma che puo continuare a vivere finché noi lo vogliamo; attraverso i nostri ricordi o attraverso i ricordi e le parole di chi ci aiuta a tornare in quei luoghi e a quei momenti, con l'immenso desiderio e la grande volontà di renderli reali e attuali...
Grazie ad Agide Vandini per ogni sua testimonianza!!!
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