Ricordi di un tempo e di un’infanzia felice
di Vittoria Corelli
Ho avuto, via mail, questa sfilza di ricordi buttati giù di getto, e a più riprese, da mia cognata Vittoria. Ne sono rimasto impressionato. Commosso, vivamente commosso e impressionato. Da parte mia, mi sono limitato ad incoraggiarla nelle esternazioni ed a mettere assieme, riordinando e sistemando, un po’ tutti i pezzi arrivati alla rinfusa. A me, e a mia moglie Diana, queste memorie così lucide, hanno fatto un effetto straordinario. Dentro, in quei favolosi anni Sessanta filesi, ci sentiamo, con tutta l’anima, anche noi.
Pubblico i bei ricordi di Vittoria con grande piacere proprio in prossimità dell’anniversario della scomparsa di mio suocero, Vincenzo «Cenzino» Corelli, ancora oggi tanto ricordato a Filo, seppure se ne sia «volato in cielo», come scrive Vittoria, in un lontano e triste 10 agosto 1966.
Aveva appena quarant’anni.
Intorno alla figura di «Cenzino» ho riportato qualche bell’aneddoto nel mio ultimo libro La valle che non c’è più, ma il ricordo della sua umanità è, e resterà sempre, dentro al cuore di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di vivergli accanto. Credo che sarebbe ben felice ed orgoglioso nel leggere, oggi, le parole che ricordano quegli anni belli e che, se potesse, ci strizzerebbe volentieri l’occhio anche lui (agide vandini).
Caro Agide,
grazie per le notizie che mi mandi sempre attraverso il blog. Sono molto gradite. Io che vivo dall’altra parte dell’Italia [Bernalda (MT)], riesco a sentirmi vicino in qualche modo al mio vecchio paese.
A proposito della foto e del corteo del 1949, la Veffa [Genoveffa Lolli] l’ho riconosciuta anch’io. E’ nel suo tipico atteggiamento, pronta a disporre, e poi è uguale, fisicamente, alla figlia Leda. Pia Signani è la moglie - vedova del maestro Lino Rossi, che fu amico di mio padre. Li ricordo tutti bene. Così come ricordo bene Elio Brunelli, cui hai dedicato un recente articolo, meccanico, lo Schéz che abitava sulla Provinciale.
Mio padre lo stimava tantissimo e ne era cliente. Ricordo bene anche la figlia, Brunella, piccolina, esile. Sono stata talvolta da lei. Frequentavo le elementari ed era bravissima a disegnare. Conservo ancora i suoi disegni. Un pomeriggio, coi colori a cera, mi disegnò un gallo e un paesaggio stupendi. Li disegnò in un batter d'occhio e ne rimasi incantata. Denotavano una vena artistica notevole.
Ricordo la sua timidezza e riservatezza in particolare verso il padre e facevo fatica a comprenderne la ragione, avendo io, col mio babbo, un rapporto speciale e confidenziale. A me pareva la prima persona a cui confidare ogni cosa, proprio come si fa con un amico: il migliore amico che si possa avere!
I miei ricordi del doposcuola, però, non si fermano lì. Ricordo i bei pomeriggi a casa della Rita, tua cugina [Rita Toschi] che abitava alla Campeggia. Leggermente claudicante, quasi rossa di capelli, dolcissima.
Andavo da lei e mi faceva fare ciò che volevo. Portavo le polpette per merenda, raccoglievo le uova nel pollaio, staccavo i fichi con la figarôla[1], facevo di tutto. Quando mi ero ben saziata del profumo della campagna, solo allora cominciava il doposcuola. Praticamente da lei e dalla sua mamma[Lilia Tagliati], ero a dir poco adorata. Vorrei rivederle. Mio padre regalava loro ogni tanto un po’ di carne, proprio perché mi sopportavano. Come ti ho detto, loro mi adoravano e io, nel loro mondo semplice, mi sentivo felice.
Che bei ricordi ho del paese-più-bello-del-mondo. Spesso dico, fra me e me: prova a scendere in strada col bicchiere di vetro, vedi se passa Taròz [Tarozzi Irpio] col suo carrettino. Magari ti prendi un bel gelato tutto di cioccolata o anche uno di quei bei «Moretto» col cioccolato fondente, da 30 lire, di quelli che solo lui sapeva fare e che ti mandavano a letto con una dolcezza tutta speciale.
Insomma, Agide, io, alla Festa dell’Unità del paese-più-bello-del-mondo, sogno ad occhi aperti di venirci un giorno, di prendere il microfono, di chiamare a raccolta la mia gente, e di dire pressappoco così:
”” Gente di Filo. Ciao filesi, sono Vittoria Corelli, la figlia di Vincenzo Corelli, «Cenzino» , il macellaio che aveva la bottega addlà da Pö Vëc’, in quella che una volta si chiamava «Via Bassa», vicino all’altra di «alimentari» di Ciglio [Carlotti Icilio], bottega che, a sua volta, stava dirimpetto al forno della Dorina [Felloni]. All’altro angolo della piazzetta, stava la ferramenta di Tugnitti d Gabarẹñ [Antonio Diani] proprio di fronte alla nostra macelleria.
Chissà se vi ricordate di noi, a ben quarantatre anni dal giorno in cui dovetti andarmene via [ad Alfonsine, luogo d’origine della famiglia], sradicata dal mio paese perché «babbo» era volato in cielo. Io di certo ho ancora ben presente le belle persone che hanno animato e riempito la mia infanzia e ho sempre portato con me i profumi e gli aromi di quel quartiere.
La mattina il babbo apriva la macelleria alle cinque e, a quell’ora, circolavano gli operai, donne e uomini che, in bicicletta, andavano a lavorare in campagna. Dal forno vicino a casa usciva un odore irresistibile di pane fresco, un invito vero e proprio ad andare dalla Dorina per gustarsi il pane caldo o, anche soltanto per procurarsi la massa del pane lievitato, e farne tanta piê da friggere in casa.
Il paese si svegliava. Quando incontravi le persone, ti regalavano immediatamente un sorriso, o una parola buona. Quanti panini mi sono fatta da Ciglio con la mortadella e i peperoni … E il mio babbo, si arrabbiava sempre, dicendomi che avevamo di meglio, che avevamo il prosciutto in bottega, accidenti …
Dietro alla casa rossa e lunga dove abitavo io, c’erano campi che si estendevano fino al fiume, quel fiume Reno che per i filesi, ovunque lo mettano, rimane, e resterà sempre, il Po... Verso quei campi e quel fiume correvamo sempre a branchi, a volte di dieci, o anche di venti, bambini. Quanto giocare, giocare e mangiar frutta, e quanto correre, felici tutti assieme. Con così poco riuscivamo a divertirci.
Dove siete, amici e amiche mie? Dove siete: Cristina Leoni, Emma [Nanni], Carmen Tarroni, Leda [Rossi], Piera Pasotti, Vanna [Zagatti], Gianni Galamini, Felino (ora Lamberto) Diani, Beniamino Carlotti, più grande di me a cui facevo saltare i luẹt, le trappole per i passerotti, Ivano[Zagatti], Luisa [Nanni], Maria [Battisti], Delves (Piròñ) [Coatti], Chécco [Francesco Diani], Mirella Brusa, Giuliano [Leoni], Mirca [Trentini], Paolo [Dosi] (dla Rita d Nuràt), e quei tanti altri di cui ricordo il volto, ma non il nome?
Di certo siete nel mio cuore, perché con voi ho giocato, giocato, giocato, e solo così, io credo, si può crescere bene. Giocavo felice a quei tempi, accarezzata dallo sguardo del mio babbo, che fischiava di tanto in tanto per richiamarmi, per farmi tornare in macelleria, ad aiutare a dare il resto se c’era bisogno.
Ci volevamo bene tutti, allora... Era un mondo nel quale si percepiva grande solidarietà fra la gente, dove chi aveva qualche cosa in più, lo divideva con gli altri. Io, ad esempio, possedevo un televisore, ed allora, tutti a casa mia a vedere Rin-Tin-Tin, o Ivanhoe, tutti in gruppo. Se si era in troppi, alcuni si sedevano fuori dalla cucina, nel cortile, seduti davanti alla finestra e di lì seguivano le trame dei nostri eroi. Che bello …
Da casa mia si dominava il paese e il suo centro vitale: l’incrocio della Via Provinciale. Più sotto e più in basso, si vedevano le Scuole Elementari e l’Asilo delle Suore, a fianco della Chiesa.
A scuola ci arrivavo spesso in ritardo, perché la mattina mi piaceva dormire. La decana delle maestre filesi, la Gemma [Vandini], la moglie di Ciglio che mi aveva visto nascere, rabboniva la bidella e mi faceva entrare. Se mi avessero respinto e fossi tornata indietro, con mio babbo non sarebbero state rose e fiori …
Alle dieci, ricreazione nel cortile che stava a fianco della scuola. All’una del pomeriggio, più o meno, ci si trasferiva nel vicino Asilo, dove si mangiava e vi si teneva il doposcuola. Come non ricordare la dolcezza di Suor Giulia! E chi non ricorda Suor Regina, piccola con gli occhiali rotondi e che, quando non rispondevi ai suoi richiami, ti tirava il campanello ... Ricordo che ero diventata abilissima a schivarlo!
Che ricordi meravigliosi! Dietro l’asilo c’era un campo grande, tipo Campo Sportivo, dotato di altalena, e anche lì si giocava tutti in gruppo. Avevo un compito importante, datomi da Suor Giulia: i bambini che piangevano, dovevo consolarli io. Ci riuscivo benissimo, anche perché ero più «pagliaccio» di loro …
A Natale poi, con le Suore, si preparava il Presepe, quello con le statue grandi, e poi si andava a cantare, ci si preparava a gorgheggiare dietro l’altare, durante le messe di mezzanotte e della mattina del Santo giorno. Si faceva tutto, comunque, con forte senso di aggregazione.
Mio padre mi accompagnava e mi diceva spesso: “Vai a messa e prega Dio perché abbiamo la salute e perché possiamo esserci sempre tutti!” In chiesa si gelava, eppure anche quel freddo ora mi manca. Era un freddo, peraltro, reso più sopportabile dal tepore che veniva dallo stare tutti l’uno vicino all’altro.
Il Natale era bello, allora. Povero forse, ma semplice, e più o meno uguale in ogni famiglia.
Si decorava l’albero di Natale, talvolta quello vero nel vasone di terracotta, con le palle di vetro, palle che difficilmente venivano rinnovate. Proprio per questo le sentivi davvero tue, una parte dell’addobbo della tua stessa casa. A quell’albero si appendevano i «baci» di cioccolata ricoperti di carta lucida rossa comperati allo «spaccio», ossia alla tabaccheria di Elio Marani. Venivano legati all'albero col filo di cotone verde. A casa mia, per la verità, di questi «baci» ogni sera ne mancava uno... Chissà, qualche golosone...
Sotto l’albero di Natale facevo il presepe con la grotta di legno e col muschio vero che andavo a raccogliere coi compagni di gioco. Lo si doveva mettere in una scatola da scarpe, perché non si sgretolasse, e lì andava conservato, morbido come il velluto.
Non poteva mancare il laghetto, che si rappresentava con un pezzetto di specchio. Il tocco finale comunque era dato dalla pioggia di farina che si faceva cadere sul paesaggio, tramite il colapasta.
In ogni casa, passava poi il prete per la visita e veniva premiato il presepe più bello.
Se anche non ero premiata, comunque, per il babbo le mie creazioni erano sempre un «capolavoro» e quindi, per me, erano già vincenti …
Quando arrivava l'autopista, in prossimità della festività di S. Agata (5 febbraio), patrona del paese, tutti noi bambini correvamo felici a pilotare quelle piccole macchine infernali che ci permettevano di scontrarci liberamente in pista. Una volta ci andai con un cappotto nuovissimo, azzurro, preso da pochi giorni nientemeno che da Tadini a Ravenna. Quando uscii dall'autoscontro, il cappotto era pieno di grasso... Sento ancora oggi le urla di mia mamma. Però, mi ero divertita da morire.
Le occasioni di divertimento si avevano comunque anche al di fuori delle feste tradizionali. Ricordo la balera ricavata proprio dietro al Bar Centrale: una pista in cemento, una piccola orchestrina o un juke-box e via, tutti a saltare. Un po’ di sedie attorno, e con niente si organizzava una serata.
La vita del paese era piuttosto movimentata, la gente lavorava, si incontrava, si parlava. Si andava almeno una volta al giorno a prender l’acqua fresca alla fontana che fungeva da importante punto di aggregazione. Soprattutto, in casa, non si poteva prescindere da alcuni lavori domestici .
La domenica, invece, noi ragazzi si correva tutti al Campo Sportivo ad insultare l’arbitro e, sempre raggruppati, la sera, si andava al cinema. Pagato il biglietto, si comperavano immediatamente da Taròz piazzato all’entrata: ceci, arachidi e brustolini e una bella gazzosa in cui s’infilava la lunga liquirizia che faceva da cannuccia.
Fra il crepitare dei gusci ci si gustava un cinemascope in galleria, quasi sempre in prima fila, attaccati alla ringhiera che dominava la platea dall’alto. Che tempi!
Terminata la settimana, il lunedì, di nuovo tutti a scuola. Elementari a Filo, Medie ad Argenta e le Superiori, chi a Ferrara, e chi a Ravenna. Alle Medie fui messa in convitto a Ravenna, ma regolarmente ogni sabato rientravo sempre al mio bel paese. Quando non mi ci riportava mio padre, ci tornavo con la corriera. Scendevo alla fermata davanti al Bar Centrale, giravo alla svelta l’angolo della tabaccheria, e rivedevo la mia casa rossa, che a me pareva la più imponente e bella del paese. Mio babbo, col cane Ala, mi aspettava davanti alla bottega e, con le braccia aperte, mi trasmetteva tutto l'amore che si può provare per un figlio.
Così tornavo nella mia Filo, finalmente a casa. Per prima cosa infilavo i pattini e con quelli andavo a correre per la Via Bassa con le amiche. Quante passeggiate in bicicletta, e quante festicciole organizzate all’improvviso! Prendevo per mano il mio giradischi LESA, qualche disco, poi correvo a casa di qualche compagno e via col twist. Bastava davvero poco ed era grande festa!
Era bello abitare a Filo, perché si apparteneva alla famiglia ma anche al vicinato. C'era una specie di adozione di quartiere. Ci si voleva bene e ci si conosceva un po' tutti. La caratteristica curiosa del paese era che la via Bassa era sotto Ravenna, e invece la parallela via Provinciale, a pochi metri, era sotto Ferrara. A trenta metri da casa mia, si era già sotto un'altra provincia. Avevamo due Case del Popolo, due Collettivi Agricoli, e poi due medici di base: il dottor Valloni, sotto Ravenna, e il dottor Fiorentini, sotto Ferrara. Il paese si unificava invece in una sola banca, una sola farmacia, cimitero, chiesa ecc. Soprattutto si aveva una sola ostetrica, la mitica Déra [Dera Bedeschi] che ci ha visti nascere un po’ tutti.
Non ci mancava proprio niente! Io ero nata nel 1952, annata di ferro, e a Filo sono rimasta fino a quel doloroso 1966. Ogni tanto ci ritorno, rivedo la mia casa, in parte cambiata. La piazzetta di allora non c’è più, in parte occupata da un giardino che sembra fuori posto.
Mia cara gente di Filo, vorrei rincontrarvi tutti e stringervi in un forte abbraccio, dicendovi, ad uno ad uno: «Sono la figlia di Cenzino Corelli, vi ricordate di me?» ””
Dunque, caro cognato, caro Agide, sarà che io sogno, ma a Filo, tutto era bello!
C'è poi un’ultima chicca fra i miei ricordi di cui ti voglio parlare e che riguarda ancora il mio babbo.
Ogni anno, coi suoi amici andava a caccia nei paesi dell’Est. La sua partenza veniva preceduta da lunghi preparativi che comprendevano la scelta delle cartucce, la messa a punto dei fucili, fino a che, dopo un viavai intorno a casa mia per ogni tipo di consulenza, la comitiva si metteva in viaggio.
L'attesa, in famiglia e in paese pareva non finire mai. Finalmente il gruppo rientrava,quasi sempre con un bottino di cacciagione piuttosto abbondante: lepri, folaghe, pizàcar [beccacce], ecc.
Prima di rientrare nelle loro case, i cacciatori tappezzavano la macchina coi loro trofei e facevano il giro del paese. Era quello, per loro, il momento più atteso, quello in cui potevano finalmente godere dello stupore della gente. I bambini, a loro volta, correvano dietro le macchine e così si compiva quasi un rito, si improvvisava una festa capace di rendere tutti partecipi del bottino, di dare orgoglio a tutto un paese.
Al bar, poi, si continuavano a raccontare per giorni e giorni le più straordinarie imprese di caccia.
So che anche tu hai vissuto questi stessi momenti, ma puoi ben immaginare quanto la vita appariva sana e bella agli occhi di una bambina che saltellava dietro la macchina del babbo, orgogliosa e fiera di lui.
Ciao. A te, a Dianẽ, come la chiamava il babbo, e a tutta la bella gente di Filo!
Vittoria Corelli
Diana e Vittoria Corelli (a destra) davanti all’albero di Natale (1961 ca)
Lido d Taròz col suo immancabile carrettino che fu, prima a pedale, poi a motore. Con la sua caratteristica trombetta fu la colonna sonora di quei lontani, sereni, anni ’50 e ’60. Presente un po’ ovunque, al cinema, in piazza, al Campo Sportivo, col suo strombettio annunciava, ogni giorno d’estate e per tutte le strade di Filo, i suoi impareggiabili gelati. In quei tempi grami, accettava regolarmente in pagamento anche le uova che i bambini riuscivano a reperire nel pollaio. Un’altra risorsa per i bimbi era poi la raccolta di metalli (schegge raccolte nei campi, fil di ferro, rottami ecc.), paglia, ossa, pelli di coniglio. I soldi del rottamaio venivano quasi sempre lasciati ai bambini per il gelato. Bastava quel suono allegro e inconfondibile udito da lontano, perché si formassero capannelli di persone davanti ad ogni abitazione e, soprattutto, per vedere immediatamente stampato un sorriso sulla faccia di ogni bambino. Un personaggio indimenticabile.
Pinarella di Cervia, colonia marina Nullo Baldini, 1956 circa. Ragazzi filesi dla Strê Basa posano in assetto di gioco e durante una visita parenti. Da sinistra in alto: Gino Nanni (Tarapẹñ) con una sfrombla in azione, Foletti Luciano (Luzio) punta una pistola, Beniamino Carlotti in atteggiamento di lancio (forse di un omino col paracadute da lanciarsi con la fionda), Doriano Signani, Giuliano Leoni (Pëcia) col tamburello davanti ad Ada Nanni, amorevole mamma di Luzio. In primo piano, da sinistra: Emma Nanni (in piedi), Giuliana Sacrato, Pasqua Foletti, la piccola Lorena Mancini, in piedi, venuta in visita al fratello Anter (Gnarinez) accosciato al suo fianco.
CLICCANDO SULLE FOTO SI POTRANNO VEDERE LE IMMAGINI NOTEVOLMENTE INGRANDITE
| Una rara cartolina anni ’50 che «riuniva» sapientemente il paese. La prima foto in alto riprende da lontano un paio di edifici di Filo di Alfonsine (RA). Di fronte, sullo sfondo, la «casa rossa e lunga» abitata da Diana e Vittoria. Sulla sinistra, la porta della bottega paterna. Sulla destra gli Alimentari di Icilio Carlotti e l’angolo della «Pesa Pubblica». L’edificio bianco di taglio sulla destra è il Forno (all’epoca intitolato ad Ovidio Saiani) di Dorina Felloni. La macelleria di Cenzino Corelli si vede, più ravvicinata, anche nella foto in basso a sinistra che inquadra, in direzione est, la Via Bassa (oggi Via Antonellini). La terza foto, in basso a destra riguarda invece Filo di Argenta (FE) e ritrae la tabaccheria di Giuanẹñ (alias Topolino) Guidarini, ceduta poi ad Elio Marani. Sulla sinistra della via che conduce sotto Ravenna (addlà da Pö Vëc’), la vecchia caserma dei Carabinieri e uno scorcio del Palazzone.
Le quattro suore filesi dell’immediato dopoguerra. Da sinistra: Suor Giulia, la «dolcezza», Suor Superiora, la «Sapienza», Suor Regina, la «severità» e Suor Matilde, la «Bontà». Il paese di Filo le amava e le stimava e chi, come noi, è cresciuto con loro, le ricorderà sempre con immenso affetto.
1959. La gioia del cacciatore. «Cenzino» Corelli è in primo piano a destra.
1959. Foto di gruppo con la selvaggina in esposizione. «Cenzino» è il secondo da destra in primo piano. Sulla sinistra regge qualche preda Minghinẹñ Minghetti. Il ragazzino (quarto da sinistra) col basco in testa (un berretto qui chiamato Brilli - Peri è il quattordicenne Ettore (Tenacia) Fabbri. L’ultimo in alto a destra è Oliviero Minghetti. |
[1] Strumento fatto in casa, per la facile raccolta dei fichi, consistente in un barattolo di latta privo della parte superiore. Dentro al barattolo ancorato ad una lunga canna si fa precipitare il fico maturo.
2 commenti:
Gianni Galamini, e’ fiôl d Massimo e’ fatór, dall’Algeria dove dirige come ingegnere importantissimi cantieri stradali, mi manda questo commento, di cui lo ringrazio con tutto il cuore. E’ un commento che onora questo blog e che mi ha autorizzato a pubblicare (agide vandini):
Ciao Agide
Ho letto l'articolo di, e su, Vittoria.
L'ho rivista qualche anno fa a Bernalda (lavoravo a Potenza ed un amico lavorava con lei in comune).
Mi sono molto commosso perché i suoi sono anche i miei ricordi, anche se non so esporli cosi bene (e di questo la ringrazio). Se puoi salutala tanto da parte mia.
Dille che ha scordato quando girava col cartoccio ( e’ scartöz ) da un chilo di ciliegie sottobraccio e le mangiava tutte sputando i semi, e stando attenta a non farsene fregare neanche una.
Mi ha colpito la foto di Vicenzino (io lo ricordo cosi e non come Cenzino ) il cui viso non ricordavo più, ma ricordavo bene le strette di mano nella stalla con mio padre, quando veniva a comprare la vaca ch'l’à magnê e’ filfër (la mucca che aveva mangiato il fil di ferro) per macellarla prima che morisse di morte naturale e quindi non più commerciabile.
Non me lo ricordavo bene, Vicenzino, e di colpo sono tornato a quando si mise in società con Massimo, mio babbo, per comprare il bar centrale con l'annesso (all’epoca) albergo, che fecero gestire all'inizio direttamente alle mogli (la Renza e mia mamma), fino a quando non venne la Maria Battisti.
Poiché Vittoria chiede notizie, dille che adesso lavoro in Algeria, sono sposato ( e tre… ) con un’algerina ed ho un bellissimo bimbo di 6 mesi: Massimo Mehdi.
Ciao e grazie di questo blog che é una macchina del tempo ed anche un modo per abitare ancora un po’ in via Bassa 101.
Gianni.
La VITTORIA, ha dimenticato " la stanza del carbone" dell'asilo,ma ha descritto cosi' bene quei ricordi e lughi che non si puo'aggiungere altro.
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