martedì 18 agosto 2009

Filo com’era: «Via Chiesa» nel primo ‘900


Note intorno a foto panoramiche e cartoline d’epoca(1)

di Agide Vandini


Capita di buttare l’occhio su vecchie foto o cartoline del primo Novecento filese e di non riuscire a raccapezzarsi a causa dei tanti e importanti mutamenti intervenuti. A Filo disponiamo poi di fotografi, cercatori e collezionisti di assoluto valore, sicché di tanto in tanto si scova in qualche cassetto un’immagine inedita su cui porre l’attenzione.



In questo primo approfondimento prenderò in esame alcune vecchie foto avute in gran parte dall’amico ed appassionato ricercatore Giovanni Geminiani (Vanni per noi filesi), che riguardano uno dei punti nevralgici di Filo, ossia la «Via Chiesa» (che vediamo ai nostri giorni nella prima foto a fianco a colori), e che ci consentono di rivedere nei primi decenni del secolo, uno scorcio di paese che fu successivamente sconvolto dall’abbattimento-ricostruzione della parrocchiale e del campanile (1929-1931) e dalle terribili devastazioni della seconda Guerra Mondiale (1945).

Le preziose foto-cartolina d’epoca in bianco e nero, che riporto a fianco in successione temporale, in versione ottimizzata e restaurata dal sottoscritto, risalgono all’arco di anni che va dalla metà degli anni ’10, fino alla fine degli anni ’20 del Novecento. Su di esse basterà cliccare, come al solito, per vederle ingrandite.


La prima foto d’epoca risale ai primi decenni del Novecento. E’ un’immagine ad uso postale, reca la scritta in alto «Un saluto da Filo di Argenta», ma è purtroppo a bassa definizione e coperta in buona parte da una vistosa soprascritta (Iride Project) che ne impedisce la piena fruizione. Di essa, peraltro, si è persa ogni traccia dopo averla osservata in vendita su internet[1].

La strada all’epoca denominata “Via Chiesa”, divenuta, negli anni ’70 un prolungamento di “Via Oca-Pisana”, vi è ritratta, come nella foto dei giorni nostri, di fronte, dall’incrocio della Provinciale. La sede stradale, come si vede, è molto più larga dell’attuale; lambisce la centrale cà dla Nuziadina (casa di Bosi Annunziata abbattuta a fine Novecento) e le costruzioni ad essa allineate: muretto ed abitazione di casa Tamba, la «nuova» sezione delle scuole (edifici, questi ultimi, distrutti dalla guerra) e la vecchia chiesa.

Sulla sinistra si intravede l’edificio delle «vecchie» scuole elementari, oggi Casa del Popolo, tutto il campicello (ora Piazza Agida Cavalli e monumento ai Caduti) che pare in corso di mietitura; più oltre, la casa Minguzzi tuttora esistente (la cà dla Mingóna). Al centro del campicello ed ai bordi della strada l’antica fontana (1912) con la classica fila di persone davanti agli scalini che scendono fino all’acqua zampillante che scorre a quota più bassa rispetto al piano stradale. In fondo agli scalini una pompa a pressione verticale permette di riempire il secchio più rapidamente, ma con acqua meno limpida[2].

Al centro della foto e in primo piano un uomo dedica la sua attenzione alle spighe distese al sole. I vestiti indossati e gli atteggiamenti della gente a passeggio, paiono indicare il trattarsi di giorno di festa. Sullo sfondo la residenza parrocchiale, caduta anch’essa coi bombardamenti, che pare quasi sbarrare la strada e chiudere il centro del paese.


La seconda foto d’epoca, piuttosto nota, risale ad alcuni anni dopo, ai primi anni ’20 del Novecento. E’ stata scattata da qualche metro più avanti e da posizione più decentrata, forse da una finestra della scuola che, nella ricostruzione del dopoguerra, lasciò il posto alla Casa del Popolo. L’angolazione esclude il campicello, la cà dla Mingóna, e anche la dla Nuziadina; include invece la fontana dove, come sempre, si raggruppano parecchie persone. Si nota meglio la pendenza dla rata d Fìl, mentre la sede stradale non è più larga come prima: è stata ridotta di parecchio e delimitata con robusti paracarri che s’infittiscono presso le scuole «nuove» e la chiesa. Sulla destra e in primo piano un parapetto innalzato a protezione della scarpata che dà verso le scuole «vecchie». Il giardino che sta dietro al muretto dei Tamba non è più così nudo; la crescita dell’alberello denota il tempo necessariamente trascorso dalla foto precedente. Dietro casa Tamba, s’ intravvede un’abitazione, fuori quadro nella precedente fotografia.


La terza e la quarta foto d’epoca, ragionevolmente scattate nello stesso giorno[3], risalgono a qualche anno dopo, ossia all’incirca alla fine degli anni ’20. La vecchia chiesa abbattuta nel 1931 qui è ancora ritratta, non ci sono segni della nuova chiesa costruita a partire dal 1929 e la linea elettrica, di cui si vedono per la prima volta i lampioni, i pali ed i fili decorrenti, è giunta da poco e permette, proprio in quegli anni (1929) l’edificazione del molino elettrico dei Barabani[4].

La terza foto, scattata dal campicello, inquadra da vicino la vecchia fontana incavata nel terreno e vi si notano i leggeri parapetti al fianco degli scalini che conducono alla quota più bassa. Vi si contano almeno undici persone nei pressi, venute a piedi (biciclette proprio non se ne vedono …)con uno o due fiaschi a testa. La bimba più a destra, già rifornita, sembra trasportare il suo carico con fatica. Dal vestiario si direbbe trattarsi di un giorno di tarda primavera. Si noti la facciata di casa Tamba, abbellita con cornicioni e losanghe assenti nella foto di qualche anno prima.

La quarta ed ultima foto, avuta poche settimane fa da Vanni, è importantissima, poiché consente l’osservazione della vecchia chiesa da posizione quasi frontale. L’immagine autentica non pare molto dissimile dalla ricostruzione sommaria al computer da me pubblicata qualche mese fa in questo stesso blog, esattamente l’11 febbraio 2009, in un articolo dal titolo “Il campanile che non c’è più”.

Dall’immagine si percepisce lo stato di incuria in cui versava la chiesa e si notano bene alcuni particolari: il grande portone ad arco con porticina per l’uso ordinario, la grande croce incavata nel muro, il finestrone ad arco, il rosone, le tre guglie, i bei motivi cinquecenteschi.

Anche questa foto, come la precedente, pare scattata di sorpresa. Ognuna delle persone ivi ritratte è dedita a qualcosa, chi a giocare (i bambini che corrono), chi a conversare (l’anziano col bastone appoggiato al muretto della Mingóna e i due avventori), chi, infine, sta forse lavorando, ossia l’uomo di spalle che si dirige verso la vigna del parroco, parzialmente coperto da un altro bimbo che guarda nella direzione opposta. Quasi tutti hanno un copricapo, fazzoletti tradizionali, berretti con visiera, ma più di tutti meravigliano le bimbe, col loro vezzoso cappellino a mo’ di pompiere, forse in voga a quel tempo.


Di questo scorcio di paese non è stato ancora possibile reperire immagini anteguerra (anni ’30 o primi anni ’40), che ritraggano la chiesa attuale assieme agli edifici poi distrutti dai bombardamenti. Su quest’ultima, tuttavia, e sulla sua storia tormentata, si tornerà ben presto con un interessante articolo di Vanni Geminiani che ci racconterà interessanti retroscena intorno alla sua edificazione e riporterà molte informazioni raccolte a suo tempo direttamente dal progettista e costruttore Ing. Gualandi di Bologna.



[1] Nel sito www.iride-project.com è dichiarata «non più disponbile» la cartolina seguente: Numero inventario: PARMCART04583, Soggetto: Veduta di Filo di Argenta, Datazione: 1916ca. - 1916ca., Autore: Anonimo, Materia e tecnica: stampa fotomeccanica - collotipia. Se qualcuno, in possesso dell’originale fosse disposto a fornire l’immagine completa, anche a pagamento, può contattare questo blog scrivendo a: agide.vandini@gmail.com

[2] Scriveva Libero Ricci Maccarini: «sul marmo riquadrato della fonte, poi abbattuto per seguire la continua depressione del debole zampillo, si leggeva la data del 1912, che indicava l’agognata conquista dell’acqua di sorgente, e, più sotto, recava la quota di perforazione: metri 96» (L.R.Maccarini, Dal palazzone, Argenta, C.S.Offset, 1983, pp.79-80).

[3] Lo si deduce dall’identica posizione delle coperte appese alla recinzione fra la chiesa e le scuole «nuove».

[4] A quell’epoca abbandonarono infatti l’opificio a vapore sito al «Molino di Filo» (e’ mulinàz), la cosiddetta «fabbrica nuova» che pochi decenni prima (1885), aveva preso il posto del predecessore più antico, quello protagonista di una storia tormentata di chiusure e riaperture, di assalti, demolizioni e ricostruzioni dovuti all’ostilità comacchiese e che, per secoli, aveva macinato con l’acqua di Po vecchio (si veda la storia completa dei «molini di Filvecchio» in A.Vandini, Filo la nostra terra, Faenza, Edit, 2004, pp.327-350).

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