Una poesia «Pane e Olio»
di Orazio Pezzi
La casa contadina dei Brandulẹñ sta lungo la strada oggi chiamata «Lodigiana». Andando in direzione del ristorante "Il Cavallino" precede sulla sinistra la storica Risarôla (o Cašèta). Nelle moderne carte topografiche compare tuttora come Cà dei Bovi, ma il popolo di Filo l’ha sempre chiamata la cà de’ Trumbòñ.
E’ un nomignolo che le deriva dal pozzo artesiano ivi scavato, forse al momento stesso della costruzione della casa colonica, a spese dell’allora proprietario Duca Massari. L'escavazione avvenne presumibilmente a fine Ottocento, poiché, della casa non si trova alcuna traccia nel catasto napoleonico di inizio ‘800.
Da quel pozzo artesiano sgorgava di continuo, e senza bisogno di pompe, un’acqua buona, fresca ed inesauribile. Quel tipo di prelievo dal sottosuolo dovette ricordare, ai nostri paesani dell’epoca, proprio quello della «tromba», ossia del tubo flessibile utilizzato per calare nei fiaschi il vino contenuto nelle damigiane.
E’ Trumbòñ, quindi, divenne il nome di quella fonte, un termine dialettale già in uso ai tempi del Morri (1840) che nel suo dizionario Romagnolo - Italiano specifica: Tromba da aqua - Tromba aspirante, Tromba da attingere, o cavar acqua. L’etimo, secondo il Dizionario etimologico on line, risale addirittura al provenzale trumpa. L’accrescitivo che gli si appiccicò (trumbòñ) voleva evidentemente indicare la grande profondità e l’eccezionale lunghezza del tubo che faceva salire l’acqua dal sottosuolo mediante il vuoto.
L’aqua bóna de’ Trumbòñ divenne subito una grande risorsa per tutto il paese e, gli eredi dei Brandolini, ricordano ancora oggi gli usuali assembramenti, i carri e carretti in fila per approvvigionarsi di quell’acqua limpida e preziosa, tanto desiderata, cercata ed ambita nelle sparse, e in alcuni casi lontane, borgate di Filo.
Di quel pozzo andato perduto, reso quasi inutile dall’acquedotto giunto negli anni Sessanta del Novecento, c’è traccia in poche fotografie. Una di queste, è quella che mi è stata gentilmente offerta dalla famiglia di Paolina Brandolini ove la fonte si intravvede in lontananza[1].
A ricreare un’immagine nitida del luogo e di quei tempi andati ci ha pensato, però, con la sua poesia, il nostro ispiratissimo Orazio. Non sarà difficile, dopo aver letto le sue note e i suoi versi dialettali romagnoli, rivedere, nella nostra fantasia, quella gente, quei tempi, quella fonte assiepata di gente. Io li ho semplicemente tradotti e trascritti, cercando di rispettare la fonetica del «dialetto tipico filese», nella nuova grafia adottata dal blog.
E’ un altro tuffo nel passato di cui Orazio, con la dolcezza poetica che lo contraddistingue, ha voluto e saputo farci dono (agide vandini).
Ai tempi non c’era l’acquedotto, ed il territorio era disseminato di pozzi artesiani. Il nostro pozzo di casa aveva, anzi ha ancora, l’acqua leggermente salata, per cui si andava al pozzo dei Brandolini, chiamato dal popolo di Filo “e’ Trumbòñ”. Aveva un’acqua eccezionale che saliva di continuo e che fuorusciva da un beccuccio a forma di manina. C’erano anche pozzi più vicini, uno di questi era ae’ Stalòñ , ma l’acqua non reggeva il confronto. Noi ci andavamo coi fiaschi e, d’estate, il nostro era un via vai continuo, per portare da bere a genitori e zii che lavoravano nei campi.
Era insomma un’acqua importante e fonte di vita (Orazio Pezzi).
E’ Trumbòñ (L’aqua l’è la vita) U j éra una funtêna A cà d Brandulẹñ Cun un bëch d utòñ Fàt coma ‘na manéna Mej cgnusuda coma «e’ Trumbòñ»
L’aqua l’éra un quël ch’u n s pö dì La fašéva digerì, e incóra mej pisê Nenca e’ dutór u t l’urdinéva pr al malatìi Döp un bichìr t’a t sintìv rigenerê Tọt i mél e i dulùr i éra sparì
L’éra ciêra, frësca e pura S t’a t la dbìv u t paséva la paura A pinsej pröpi bèñ L’éra un miràcul dla natura Fàt a cà d un cuntadẹñ
L’éra l’aqua dla nöstra vita Da piọ d zènt métar la šgurghéva La vnéva sọ nöt e’ dẹ Ch’e’ fọs tẹmp catìv o tẹmp bòñ D invéran o d istê Nọñ avèñ dbù pr ögni stašòñ L’aqua banadeta de’ Trumbòñ
Se a sö a quẹ ch’a l pọs cuntê La fašéva pröpi bèñ, cardìm a mẹ.
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Il «Trombone» (L’acqua è vita) C’era una fontana A casa di Brandolini Con un beccuccio d’ottone Che pareva una piccola mano Meglio conosciuta come «il Trombone»
L’acqua era una cosa che non si può dire Faceva digerire, e ancor meglio urinare Anche il dottore te la ordinava per le malattie Dopo un bicchiere ti sentivi rigenerato Tutti i mali ed i dolori erano spariti
Era limpida, fresca e pura Se la bevevi ti passava la paura A pensarci meglio Era un miracolo della natura Avvenuto a casa di un contadino
Era l’acqua della nostra vita Sgorgava da oltre cento metri Usciva notte e giorno Col tempo cattivo come col tempo buono D’inverno come d’estate Noi abbiamo bevuto in ogni stagione L’acqua benedetta del «Trombone»
Se son qui che ve lo posso raccontare Faceva proprio bene, credetemi.
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[1] La foto ritrae alcuni cliclisti in arrivo nel cortile dei Brandolini. In testa al gruppetto Aurelio Brandolini. La fonte è sullo sfondo, in alto a sinistra.
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