di Agide Vandini
Correva l’anno 1949 e la guerra, la terribile guerra che aveva sconvolto il mondo, era finita da poco con la sua scia di lutti, privazioni, tragedie umane. La gente aveva voglia di guardare avanti e di vederci un chiaro e luminoso futuro di pace.
Ci fu un boom delle nascite in quel periodo, a Filo come nel resto d’Italia: tante famiglie si erano formate, altre si erano ricongiunte dopo lunghi periodi di lontananza causati dalla guerra e dalla prigionia. Si lavorava ancora alacremente, un po’ ovunque, per rimuovere macerie, per ricostruire quanto necessario ad un contesto civile di cui si faticava a ricordare ritmi e consuetudini smarrite.
Era un lento ritorno alla vita, ad una vita normale e pacifica, in cui si potesse scacciare il ricordo del violento uragano appena passato, riducendolo quasi a fantasma maledetto, ad emanazione di un mondo infernale in cui non si sarebbe mai più dovuti cadere.
I ragazzi riprendevano in edifici di fortuna la scuola abbandonata nel periodo bellico, gli uomini lavoravano alla ripresa delle campagne, alla rimozione degli ordigni di morte e qualcuno ancora, di tanto in tanto, ci lasciava, purtroppo, la pelle.
Dopo la caduta dei regimi totalitari che avevano sfidato il mondo, dopo tanto spirito di sacrificio messo in campo nei duri mesi dell’occupazione militare tedesca e della lotta di Liberazione, nei mesi della rinascita e della febbrile ricostruzione si era fatta largo in tutti la speranza in un domani di concordia, in un mondo da cui fosse bandito per sempre il ghigno scheletrico e mostruoso della guerra, quello che essa sa mostrare in ogni tempo e luogo.
L’idea stessa di nuovi conflitti, che rigettassero i popoli del mondo nell’orrenda miseria umana che si erano appena messi alle spalle, veniva scacciata persino nelle canzonette di musica leggera dell’epoca. Si ascoltava per questo volentieri Clara Iaione cantare, proprio in quell’anno 1949, "Siamo tre, tre guerrieri noi siam, / e la pace nel mondo portiam. / Noi siamo i cadetti di Guascogna / veniam dalla Spagna, andiamo a Bologna!/ La pace che tutto il mondo sogna / ognuno l'avrà, se questa canzon, con noi canterà".
Si concepiva tuttavia, proprio in quegli stessi mesi, quella divisione del mondo in blocchi contrapposti che venne poi ad essere alla base della cosiddetta “guerra fredda” e l’Italia degasperiana scelse (18.3.1949), con una decisione molto sofferta e problematica, di entrare nel Patto Atlantico, la nascente alleanza militare che univa gli Stati Uniti d’America alle nazioni dell’Europa Occidentale. Ad esso finì poi per contrapporsi, qualche anno dopo nel 1955, il Patto di Varsavia che riuniva i paesi del blocco sovietico.
I socialisti di Pietro Nenni ed i comunisti di Palmiro Togliatti, già alleati nel Fronte Democratico Popolare ed usciti sconfitti dalle elezioni politiche di un anno prima (18.4.1948), mobilitarono attivissimi Comitati della Pace, che raccolsero ben 6 milioni di firme contrarie all’adesione. Il coinvolgimento emotivo fu tale da trascinarsi dietro settori non trascurabili del mondo cattolico (i dossettiani) e laico, settori contrari anch’essi ad un Patto militare largamente inviso ad una popolazione che aveva ancora nella carne e nello spirito le ferite di una guerra così sanguinosa.
Nei paesi e nelle campagne, ove il seguito socialcomunista era più forte, (ricordo bene l’immagine dei due leaders affiancati ed affratellati in bianchissimi bassorilievi di gesso appesi all’interno di molte case di Filo ove, da bambino, andavo a dare il “Buon Capodanno”) vi si organizzarono, in quel marzo del 1949, riunioni e manifestazioni di popolo per la “Pace”. Proprio una di queste è quella che vediamo nella foto qui riprodotta, messaci a disposizione dal buon Vanni Geminiani, foto che fu scattata dal punto più centrale di Filo di Alfonsine, ossia lungo la ex Via Bassa (oggi Via V.Antonellini) col Palazzone visto da Sud-Ovest.
Come si vede non c’era ancora la casa e la bottega di ferramenta di “Tugnitti” che fu infatti costruita a partire dal 1950 ed abitata dal 1952.
A quell’epoca e per molti anni, ogni manifestazione politica, sportiva, religiosa, oppure anche di ossequio funebre, prevedeva il cosiddetto “giro di Filo”, ovvero il compimento del circuito Via 8 settembre 1944 / Via dei Martiri / Via V.Antonellini / Via Rondelli, un anello stradale che univa in poche centinaia di metri le due frazioni di Filo d’Argenta e di Filo d’Alfonsine, e scorreva davanti ad edifici storici e rappresentativi come Il Palazzone, le due Case del Popolo (ravennate e ferrarese), I «vagoni» e la «Cà Longa», edifici oggi, o scomparsi, o malamente raffazzonati, oppure in condizioni visibilmente indecorose.
Alla testa del corteo vediamo in questa foto donne, bambine e giovinette. Davanti a tutte sostiene una bandiera rossa Carla Vandini, mia sorella, allora poco più che quattordicenne. Sopra la testa, Carla, come le coetanee vestite di bianco che la seguono, reca una «crestina» di una certa eleganza, fatta di carta di giornale ripiegata. Fra le ragazze in prima fila par di riconoscere Pia Signani, che regge, a sinistra, uno dei sostegni dell’enorme ed iridato striscione con la parola “PACE” a grandi lettere. Più in distanza, e con la mano alzata, sembra dirigere il corteo Genoveffa Lolli, moglie di Amato Rossi.
Carla, a distanza di oltre 60 anni, ricorda ancora gli slogans gridati e comandati da una certa Loredana che abitava alla Rossetta di Filo: “ Con De Gasperi non si va, vogliam la Libertà…” e poi: “Con De Gasperi alla testa, non si mangia la minestra…” e infine : “… e per noi che siam lavorator, Togliatti e Nenni capi del lavor…”
Poche settimane dopo, il 17 maggio del 1949 sarebbe caduta la filese Maria Margotti, nelle campagne di Molinella durante una manifestazione di solidarietà ai braccianti in sciopero.
Ricordi di un sofferto e vivace dopoguerra filese, echi lontani che vagamente risuonano nella mente, immagini che ci raccontano di un paese organizzato e tenace che, anche in quei frangenti e come da tradizione, seppe stringersi con tutta la sua forza intorno ad un ideale di progresso, di solidarietà e di pace.
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