(rispetto ai dialetti della Romagna Centrale)
di Agide Vandini
Notizie storiche essenziali
- La striscia rivierasca del Po di Primaro, la più
importante via d’acqua del territorio, fu abitata fin da tempi antichissimi.
Filo, il centro più antico, vi sorse presumibilmente nell’Alto Medioevo.
L’esistenza di una chiesa è documentata a Filo (S.Maria) dall’anno 1022 e
successivamente a Longastrino (S. Giuliano) dall’anno 1195. Alle villae ultra padum Sancto Blaxio ad mare ed ai loro abitanti erano dirette speciali
norme degli Statuti Ravennati del Duecento e di quelli successivi[1].
- Tutta la Riviera di Filo, sia a sud che a nord di Po
Vecchio fino alle Valli, appartenne al Comitatus
Ravennatis fino al primo Quattrocento. Le villae ultra Padum della Riperia Padi, in quanto parte della
Romagna, furono nell’anno 1371 opportunamente censite nella Descriptio
provinciae Romandiolae del Cardinale Anglic Grimoard de Grisac,
fratello del papa Urbano V[2].
- Nel 1433 la parte ultra
padum della Riviera di Filo, con la sua Bastia del Zaniolo, passò ai Duchi
di Ferrara, nell’ambito di un’espansione territoriale che interessò tutta la
cosiddetta Romagna Estense. La Riviera si resse a comune autonomo fino
all’Unità d’Italia (1861). A quell’epoca furono restituiti a Ravenna i
territori a sud del Po Nuovo (Lugo, Bagnacavallo ecc.), mentre il comune di
Filo (di Ferrara), invece, fu incorporato gradualmente - e non senza
opposizione - in quello di Argenta fra il 1861 ed il 1888; le zone ravennati di
Filo, Longastrino, Humana (poi Anita) e S.Alberto erano state nel frattempo
trasferite da Ravenna ad Alfonsine e da questo comune, ad eccezione di
S.Alberto, dipendono tuttora[3].
- Le sistemazioni idrauliche di fine Settecento
comportarono l’immissione delle acque del Reno nell’alveo del Po di Primaro (Po
Vecchio) e determinarono rettificazioni fluviali (Po nuovo) quasi ovunque a sud
del vecchio alveo[4].
I paesi e le borgate di Filo e Longastrino si ritrovarono allora lungo un fiume
abbandonato, mentre dal prosciugamento delle valli ravegnane, fra il Po nuovo e
il Po vecchio, si ebbe tanta terra da lavorare. Nel primo Ottocento affluirono così
dalla Romagna, in particolare dal lughese, molte famiglie contadine i cui
soprannomi sono, ancora oggi, gli stessi delle zone d’origine. Tali apporti
rafforzarono vieppiù gli usuali legami col ravennate; la popolazione aumentò,
sorse un nuovo villaggio romagnolo alla «Chiavica di legno» di fronte alla foce
del Santerno ed in prossimità di due passi fluviali, villaggio poi abbandonato
a fine Novecento, i cui abitanti si sono spostati a Filo.
°°°
L’uscita, col patrocinio dell’«Istituto Friedrick Schürr»,
del testo di Daniele Vitali, L’ortografia romagnola, Cesena, Il Ponte
Vecchio, 2009, mi ha consigliato di rivedere ed approfondire quanto ebbi a
pubblicare in Bëli armunej, Faenza,
Edit, 2001, pp. 95-97 al riguardo delle “peculiarità del dialetto filese».
Con l’aiuto della grafia suggerita da Daniele Vitali,
grafia che mi ripropongo di utilizzare da qui in avanti nei miei componimenti e
nel blog l’«L’irôla de’ Filéš», credo
si possano definire con più chiarezza le caratteristiche del dialetto tipico
filese, laddove si differenzia dai dialetti della Romagna centrale.
Ricordo che nell’area filese[5], per le vicissitudini
storiche qui riportate in estrema sintesi, sono presenti due parlate distinte,
ognuna delle quali praticata più o meno da metà della popolazione dialettofona,
con una distribuzione sul territorio a macchia di leopardo che esula dai
confini geografici provinciali, confini anacronistici che, sull’orma del Po
vecchio, tagliano tuttora l’intero territorio in direzione est-ovest.
La prima forma dialettale, quella praticata dalle
famiglie di chiara (e relativamente recente) provenienza centro-romagnola, non
si discosta nella sostanza dai dialetti d’origine, ed è una parlata che, in
linea di massima, si richiama ai dialetti di area lughese[6].
La seconda parlata presente nel territorio invece, praticata
dalla metà della popolazione costituita da famiglie autoctone, è un dialetto
romagnolo caratterizzatosi nel luogo, che può essere definito “dialetto tipico
filese”, oggetto di questa breve dissertazione e le cui espressioni distinguerò
con la sigla FL.
Poche e limitate risultano le varianti del «dialetto
tipico filese» rispetto a quelli della Romagna Centrale (RC)[7], particolarità determinate
da una collocazione geografica periferica, nonché dal contatto naturale con
l’area argentana, zona di lontana origine romagnola e di conservata dipendenza
ecclesiastica ravennate, ma la cui parlata, oggi piuttosto ibrida, ha ricevuto
nel tempo sostanziosi apporti dall’area bolognese e ferrarese.
Si può ritenere peraltro assente, nel dialetto tipico
filese, l’influenza del comacchiese e del portuense (ferrarese), zone
apparentemente limitrofe, eppure tradizionalmente lontane poiché, fino alla
seconda metà del Novecento, situate al di là della barriera naturale formata dalle
grandi valli d’acqua salata.
Va da sé che, nella definizione delle «peculiarità»
linguistiche, non si è tenuto conto dell’uso di termini prettamente locali, di
vocaboli desueti o tipici poco indicativi di seria distinzione dialettale. Sono
termini tipici e particolarità presenti nel filese come in ogni dialetto e
paese di Romagna.
Si è cercato di porre l’attenzione, invece, sulle ben
più indicative distinzioni di tipo morfologico e fonetico che caratterizzano la
parlata. Circa il primo aspetto il compito è risultato piuttosto semplice. Preso
a riferimento la Grammatica del
lughese Pellicciardi[8], vi si è osservata una
sostanziale coincidenza fra il dialetto tipico filese ed il dialetto ivi considerato.
Pochissime e marginali le eccezioni. Sotto l’aspetto fonetico, invece, il
confronto fra le due parlate mostra differenze piuttosto interessanti e
significative.
Si dà conto, comunque, qui di seguito, di tutte le
distinzioni individuate.
FONETICA[9]
Suoni nasali
La nasalizzazione delle vocali toniche seguite da «n»
o «m», comunemente praticata nei dialetti centro-romagnoli, è assente nel
dialetto tipico filese («nasalizzazione rifiutata» nella definizione di
D.Vitali), come in altre aree periferiche romagnole. La consonante nasale è qui
pronunciata solo in parte, come si usa nelle parole tronche italiane buon, ben, lontan ecc.. Tramite la
grafia consigliata da Vitali, che prevede la rappresentazione della
nasalizzazione «rifiutata» con una tilde sulla consonante ñ, è oggi possibile darne opportuna indicazione grafica. Quindi: cã RC (cane) = cañ FL, mentre: cãn RC (canne)
= can FL; e ancora: pã RC (pane) = pañ FL; pãn RC (panno) = pan FL; nõ RC (noi)= nọñ FL; bõ RC (buono) = bòñ FL; tavlẽ RC
(tavolino) = tavlẹñ FL. La stessa
differenza di comportamento si osserva anche in corpo di parola come in pãna RC (panna) = pana FL, o cavdãgna RC
(carraia) = cavdagna FL.
Lettera «n»
dopo le consonanti «c», «t» e «v»
Rispetto ad alcune zone centro-romagnole, nel filese
la «n» tende a trasformarsi nella
consonante palatale «gn». (Esempi: cnòsar
RC (conoscere) = cgnòsar FL; tnì RC (tenere) = tgnì FL; vnì RC (venire)
= ‘gnì FL.
Lettera «e»
tonica
In qualche caso, la «e» tonica del dialetto RC
(nasalizzata o meno), nel dialetto tipico filese si trasforma in «i». Ad
esempio: babẽna RC = babina FL; fameja RC = famija FL; meia RC = mia FL; veia RC = via FL; dẽt RC (denti) = diñt FL, zẽcv RC (cinque)= ziñc FL, vẽt RC (venti) = viñt FL, azidẽt RC (accidenti) = azidint FL; séra RC = sira FL ecc.
In altri casi, poi, la «e» tonica dei dialetti
centrali viene ad avere, nel dialetto tipico filese, durata più breve. E’ una
«e» breve e chiusa, da rappresentarsi col grafema «ẹ» (presente anche nel sarsinate), che talvolta diversifica il
plurale dal singolare (un brèt, berretto
- du brèt, un casèt, cassetto - du casèt RC, diventano un brèt - du brẹt, un casèt - du casẹt FL), ma che si nota anche altrove: drèt
(diritto) RC = drẹt FL, te RC (tu) = tẹ FL. In particolare la ẹ
filese la si trova nel passato remoto dei verbi con desinenza in ê, come ad esempio bašê (baciare), magnê, cantê ecc. In questi casi, anziché: me a bašè,
a magnè,
a cantè,
ecc. RC (io baciai, mangiai, cantai, ecc.), nel filese si pronuncia: mẹ a bašẹ,
a magnẹ,
a cantẹ ecc. FL.
Lettera «a»
tonica
L’«a» tonica, allorché nasalizzata in RC, nel dialetto
tipico filese muta normalmente in «e». Ad esempio: zinquãnta RC = zinquènta FL; gnãnch RC (neanche) = gnènch FL, smãna RC = smèna FL, stãp RC (stampo) = stêmp FL, stẽp RC
(stampi) = stémp FL, lò e’ câta RC (lui canta) = lọ e’ chêñta FL.
Lettera «o»
tonica
In alcuni casi la «o» tonica dei dialetti centrali, muta
in «u» nel dialetto tipico filese. (Esempi: nôva
RC = nuva FL; (a m) môv RC = (a m) muv FL; (basta ch’a) trôva RC =(basta ch’a) truva FL; (spëta ch’a) prôva RC = (spëta ch’a) pruva FL; a sõn RC (io suono) = a sun FL; com RC = cum FL; cos RC = cus FL ecc.).
In altri casi la «o» tonica, come si è già visto per
la «e», viene pronunciata con durata più breve. Ecco alcuni esempi: t cì ròs, a sì ròs RC (sei/siete rossi)
= t cì ròs, a sì rọs FL ed anche: i è ròt RC (sono rotti) = i è rọt FL, oppure, anche al singolare, l’è bròt RC (è brutto) = l’è
brọt FL.
MORFOLOGIA
Diminutivi
Nei diminutivi la desinenza «ì» di area ravennate (che
pare sottintendere una nasale ĩ)
tende a trasformarsi in «eñ»: znĩ, ušlĩ = zneñ, ušleñ FL. La stessa
cosa avviene in altre aree centrali ove la vocale nasalizzata è una «ẽ»: znĩ, ušlĩ = znẽ, ušlẽ.
Uso del
secondo termine di negazione («briša» e «miga»)
Nell’area filese si fa un uso pressoché generalizzato
del secondo termine di negazione, ossia «briša
e «miga» (quest’ultimo nelle forme
interrogative ed esclamative), rafforzativi comunque utilizzati anche in RC. Si
usa dire: a n t e’ dëgh briša. - a n t e’
dëgh miga, veh! = Non te lo dò
affatto - Non te lo dò!, mentre assai meno utilizzata è la forma
italianeggiante A n t e’ dëgh,
viceversa molto diffusa in RC.
Forma
interrogativa
Nessuna distinzione in questo caso rispetto ai
dialetti centrali. Nel dialetto tipico filese, infatti, non è necessario alcun
cambio di tonalità di voce per formulare l’interrogazione. In sostanza, a sit tẹ? (Sei tu?) implica domanda
inequivocabile, qualunque sia il tono usato. Del tutto assente perciò la forma
italianeggiante della Romagna meridionale e collinare, area in cui viene mantenuta
la forma affermativa pronunciandola con altra tonalità di voce: T cì te?
Verbi
In alcuni casi piuttosto circoscritti, in prima
persona plurale ed ancor più in seconda, la desinenza dei verbi del dialetto
tipico filese diverge dal centro-romagnolo, o quanto meno da quello preso a
riferimento del lughese Pellicciardi. Così fòsuv
RC (foste) diventa fọsi FL, srèsuv RC (sareste) = srẹsi FL, lavimia RC (lavavamo) =
lavimi FL, lavèsuv RC (lavaste) = lavẹsi FL e così via.
Inoltre, nei verbi che iniziano per «a», in prima e
seconda persona plurale, a differenza di quanto avviene in RC, si omette il
pronome personale soggetto in forma debole «a», e di conseguenza viene meno la
necessità di una «j» eufonica fra le due vocali. Così nõ a j
avẽ - nõ a j andẽ RC (noi abbiamo – noi andiamo) si riduce nel dialetto
tipico filese a nọñ avèñ – nọñ andèñ FL, ecc.
***
Altre significative distinzioni del «filese tipico»
rispetto ai dialetti centro-romagnoli, presenti, come si è detto, nello stesso
territorio filese, non ne sono state notate.
Si tratta di peculiarità, come si può constatare,
essenzialmente di tipo fonetico. Ben altre distinzioni sia fonetiche che
morfologiche caratterizzano altre vaste aree romagnole periferiche (riminese,
imolese e sarsinate in primo luogo), i cui dialetti vengono giustamente ed
appropriatamente definiti di area romagnola.
Al termine di questi appunti perciò, non si può che
concludere e riaffermare come, anche il dialetto tipico filese, pur parlato in
area oggi scarsamente popolata e geograficamente promiscua, appartenga, come
sempre è stato del resto nella sua storia ultramillenaria, alla grande e
numerosa famiglia dei dialetti romagnoli.
[1] I capitoli interessati sono integralmente trascritti e tradotti in A. Vandini, Filo la nostra terra, Faenza, Edit, 2004, pp. 175 ss.
[2] Cfr. Anglic D.G., La Descriptio Romandiolae a cura di L. Mascanzoni, Bologna, La Fotocroma Emiliana, 1985, pp. 238-240. Argenta, affittata e poi venduta agli Estensi qualche anno prima (1344) dopo un paio di secoli di scontri e litigi, non fu censita.
[3] L’opposizione di S.Alberto al trasferimento fu accolta, sicché questo paese rimase in comune di Ravenna.
[4] Presso S.Alberto la rettificazione si tracciò a nord, sicché il paese si trova a sud del Po Nuovo (poi Reno) e a nord di Po Vecchio.
[5] Si tratta di area piuttosto uniforme sotto l’aspetto dialettale, a nord dell’attuale corso del fiume Reno (ex Po di Primaro), ad est del Ponte Bastia ed a sud delle Valli del Mezzano (oggi prosciugate). Vi si incontrano le località di: Case Selvatiche, Filo, Molino di Filo, Menate, Longastrino ed Anita i cui territori sono in parte in provincia di Ravenna (comune di Alfonsine), e parte in provincia di Ferrara (comune di Argenta).
[6] Come si è ricordato nelle note storiche essenziali, per effetto delle bonifiche seguite alla rettificazione del Po di Primaro del 1782, nonché dei grandi lavori di sterro e arginatura eseguiti durante la nota epopea degli “scariolanti”, il territorio filese fu meta, nel primo Ottocento, di una consistente immigrazione di braccianti e contadini provenienti in particolare dalla romagna estense, ossia dai comuni di Lugo, Fusignano, Bagnacavallo, Cotignola, Massalombarda e Conselice. Di questa emigrazione e delle rispettive provenienze sono testimoni i registri parrocchiali di Filo ed i tanti soprannomi di famiglia coincidenti con quelli delle terre d’origine. Si veda in proposito il capitolo “Vecchi soprannomi delle famiglie filesi”, pubblicato nell’appendice di A.Vandini, La valle che non c’è più, Faenza, Edit, 2006, pp.163-174.
[7] Secondo la definizione contenuta in Aa.Vv., Regole fondamentali di grafia romagnola, Mario Lapucci - Edizioni del Girasole, 1986, è considerata Romagna Centrale approssimativamente l’area il cui perimetro è indicato dalle seguenti località: Lavezzola di Conselice, Voltana, Alfonsine, S.Alberto di Ravenna, Ravenna, Castiglione di Cervia, Forlì, Faenza, Imola, Bagnara, Cotignola, Bagnacavallo, Bizzuno di Lugo, S.Lorenzo di Lugo.
[8] F.Pellicciardi, Grammatica del dialetto romagnolo, Ravenna, Longo, 1977.
[9] Nella trascrizione fonetica dei termini dialettali ci si è attenuti all’ortografia romagnola consigliata in D.Vitali, op.cit.
1 commento:
Posta un commento