Sintis rumagnul in Lusemburgh
di Remo Ceccarelli
Ho conosciuto Remo sul forumrossoblu, luogo d’incontro sul web dei sostenitori del Bologna. Un vero vulcano di idee, di slanci, propositi e soprattutto di sentimenti. Ci siamo visti, e conosciuti meglio, una decina di giorni fa quando è venuto, assieme ad Alessandra a rendermi visita a Filo, a casa mia. La sua però è una storia troppo bella ed interessante per non essere divulgata, ovviamente col suo consenso, ai lettori di questo blog. Eccola qui allora tutta la storia di questo romagnolo in Lussemburgo, e raccontata proprio da lui, con le sue parole, atóran a l’irôla, come s’usava nel tempo antico. Una ciöpa d’zŏch int e’ camen, un bichir ad che bon int al man, e adës: scultì mo’… (Agide Vandini)
Caro Agide,
tu mi chiedi di raccontarti la mia storia, ebbene in Lussemburgo, anzi ad Esch-sur-alzette, la capitale del ferro come la chiamano qui, io sono solito dire che ci sono arrivato nel 1908, quando sbarcarono in realtà i due fratelli maggiori della mia nonna materna.
Lei li raggiunse nel 1910, dopo che morì il padre, giacché la madre, la mia bisnonna, era già mancata da alcuni anni. Veniva dai Greppi dietro a Talamello (formaggio di fossa per intenderci), da un posto che si chiama Ca' Francesconi (Ca' d’Francescoun). Assieme a lei salì il fratello più piccolo, Alessandro, nonno del rettore dell'attuale Università di Lussemburgo.
I miei nonni materni erano mezzadri, e chi, come loro, venne in Lussemburgo trovò lavoro in miniera e posto letto (bada bene, non stanza…) affittato per dodici ore, a turno, a due persone. Mia nonna tornò in italia una sola volta, rispedita a forza dopo l'inizio della 1a guerra mondiale: dieci giorni di viaggio in vagoni tirati per lo più da cavalli, poiché le locomotive erano di strategica importanza militare. Mai più volle tornarci dopo... Comunque mia nonna (morta nel 1984) seppe raccontarmi della fame continua che trovò in Italia, altro non ha mai voluto dire a nessuno.
Passata la Grande Guerra, tornò a Esch e, alla fine degli anni ‘20 si sposò con un ragazzo veneto (di Calderino, tra Verona e Vicenza) venuto a riposarsi in miniera dopo alcuni anni trascorsi al Piave col fucile in mano. Nacquero due figli, tra cui mia madre nel 1932. Abitavano in un condominio di 14 famiglie, tra miniere e altiforni (secondo i canoni del taylorismo), di cui 11 collegate alla mia: la casa veniva chiamata in effetti «la casa dei romagnoli», tanto da farne un articolo in un giornale locale.
Come racconta ancora oggi mia mamma Irma, la folta comunità italiana dell'epoca era spaccata in due: pro-fascio, anti-fascio, questi ultimi nettamente superiori di numero. Noi eravamo tutti «anti» meno uno a cui i miei ancor oggi non rivolgono la parola, mi spiego? Tra gli implicati nella lotta antifascista, il grande Luigi Peruzzi, attivista del PCI anche dopo la guerra, nonché promotore della Festa de l'Unità in Lussemburgo (ad oggi l'unica fuori dal territorio italiano e alla quale vado sempre a dare una mano), che visse la realtà dei campi e le cui memorie saranno presto pubblicate in italiano (per ora c'è solo la versione tradotta in francese, perché nessun editore italiano se ne è interessato).
Dopo la seconda guerra mondiale (se vuoi ti uccido di storie vissute), mio padre Riccardo, mezzadro nato nel comune di Maiolo (quindi dall'altra parte proprio di Talamello, ad d'là de’ fiom insomma) si fa convincere dalle lettere di alcuni suoi cugini a raggiungerli ad Esch, dove ormai parecchi di loro sono nati. Tra i suoi parenti in Lussemburgo c' è anche la cugina di secondo grado di sua mamma, ossia la mia nonna materna: quando si dice che il mondo è piccolo… Insomma, mio padre intuisce che il mondo contadino sta per chiudere i battenti e, dopo il servizio militare svolto a Palermo (ove diede anche la caccia al bandito Giuliano), decide di partire, a 24 anni, con una delusione amorosa e poco altro nella valigia.
L'obbiettivo è, partendo da zero, mettere assieme i soldi per comprare una casa ai miei nonni paterni (il nonno era asmatico a causa della prima guerra mondiale, passata nelle umide trincee del Piave), ed anche una moto che doveva essere rossa (comprò una moto Guzzi Airone, ma ci tornerò dopo). Fece le due cose nel giro di un anno, perché all'epoca lavorare in miniera significava, in Lussemburgo e con l'aiuto di un cambio favorevolissimo contro la lira, prendere quattro volte lo stipendio di un muratore.
Non resisto al piacere di raccontarti cosa accadde quando mio padre scese dal treno a Lussemburgo città. Porse allo sportello una banconota da 20 franchi assieme ad un biglietto con la scritta ''Esch-sur-alzette'' (entrambi inviatigli dai cugini), perché ovviamente non conosceva una parola della lingua locale, e saltò sul treno. Quando arrivò ad Esch, decise istintivamente di seguire due ragazzi che parlavano in dialetto romagnolo (il granducato era strapieno di romagnoli dei colli all'epoca) e quando vide che stava per finire la strada si avvicinò loro e chiese, in dialetto, dell’indirizzo cui era diretto. Gli fu risposto: «T’cì propri dnenz a cà!''. Ecco, ma ce ne sono mille altre di queste storie volendo.
In sostanza anche lui scese a lavorare nel buco, trovando il tempo per divertirsi ed abbandonando praticamente subito l'idea di ritornare (uno tra i pochi, e io aggiungerei, a volte ''purtroppo'', altre volte ''per fortuna''), anche perché nacque del tenero fra lui ed Irma, mia madre, che sposò ben presto. Seguirono due figlie con le quali parlarono in dialetto (una ora sta a Como) e molti anni dopo (1967) il sottoscritto al quale fu deciso di parlare in italiano.
La mia fame, però, per il passato e per le mie radici è stata troppo forte. Verso i 15 anni ho iniziato a recuperare il terreno perso da piccolo e con grande sorpresa dei miei cominciai, ad un certo punto, a rispondere in dialetto ogni qualvolta mi era possibile. Bisogna dire però che dovevo essere ben disposto, perché, oltre ad aver sempre avuto il dialetto nelle orecchie, sono anche cresciuto a piadina, tagliatelle e lasagne, boia d'un mond!
Avrai notato che il mio italiano è una specie di ''italiondo'', l'italiano del terzo mondo [in realtà ho apportato soltanto correzioni marginali (nota di a.v.)], perché a differenza dei tanti figli di emigranti della mia generazione, io decisi di non seguire alcun corso di italiano, preferendo dedicare il tempo libero al pallone, alla lettura, alle boiate che si fanno da ragazzi, tant'è che ho imparato a leggere l'italiano tramite i «Topolino» e si vede purtroppo.
Mi sono iscritto al Liceo, secondo caso nella famiglia emigrata oltre al cugino che ora è rettore universitario. Tutti hanno lavorato in acciaieria o in miniera fin quando, negli anni 80, si iniziò a smantellare tutto. Ho scelto il «linguistico» per questo mio innato amore verso tutte le lingue tutte (parlo, oltre al dialetto, l'italiano, il francese, il tedesco, l'inglese, lo spagnolo, il portoghese e il lussemburghese), e mi sono iscritto alla sezione spagnola, perché l'italiano lo conoscevo già.
La mia intenzione era di fare Giornalismo a Strasburgo, ma durante l'ultimo anno di liceo capìi di non averne più, insomma, anche se i voti restavano sempre buoni. Musi lunghi in casa, mio padre non mi rivolse la parola per oltre una settimana. Per lui era una delusione terribile, lui che avrebbe voluto studiare, ma che dopo la 3a elementare (ha poi ottenuto il brevetto della 5a) fu obbligato al lavoro nei campi, come tutti. Soltanto pochi anni fa ha avuto modo di dirmi che, alla fin fine, non ho poi fatto troppo male nella vita. Questi sono i suoi tempi, questo è anche e soprattutto la dimostrazione di quanto sia rimasto fedele alle sue origini: parole poche, ma pesanti come pietre.
Da neodiplomato mi cercai un lavoro, che trovai subito in una banca francese, anche se nulla mi aveva predisposto al mondo bancario, ma nel 1986 avrebbero preso anche un cane morto, tanto forte era la richiesta di personale. Io, però, aspiravo ad un lavoro in ambito italiano e dopo un anno entrai nella Banca Popolare di Novara - Lux. Sette bellissimi anni, che mi videro presto passare dal back-office alla sala mercati: diventai trader di titoli, roba da matti! Usavo tutte le mie lingue, anche il dialetto, per esempio guadagnando come clienti la Banca Popolare di Ravenna e soprattutto la Cassa di Risparmio di Ravenna dove trovai un responsabile dei titoli prossimo alla pensione e poco incline a parlare, non dico inglese, ma italiano, e che fu felice come una Pasqua di concordare quasi tutto con me in dialetto!
Nel 1995 il mio capo fu contattato per fare il direttore della nascente succursale lussemburghese della Carisbo e mi volle a fare il responsabile dei titoli. Io accorsi, anzi, volai con entusiasmo, perché in qualche modo riuscivo a lavorare per la mia terra. Furono otto anni strepitosi, ottenni tutto: soldi, riconoscimento, successo, amore... Eh sì, perché la Carisbo c'entra con la mia Ale, e mi spiego.
Nel 1997 un mio collega bolognese (ora direttore S.Paolo-Intesa a Dubai) mi disse di seguirlo a Bologna per il ponte di Ferragosto e io non ne avevo troppa voglia perché ero appena tornato da Rimini (in ferie presso i miei zii come sempre fin da bambino). Alla fine mi convinse ad aspettarmi nella sua casa di via Fondazza. E, assieme a sua moglie chi c'era? Certo, Alessandra! Ci siamo marcati per tre giorni, poi è venuta su in Lux a trovarci e qui è decollata tutta la storia. La rividi altre due volte e sui primi di novembre, al ristorante ''Vecchia Roma'' di Calderino, le dissi: «O vieni su te, o vengo giù io...». Per mio sommo dispiacere di allora (a ragion veduta un pò meno) lei, innamorata del Nord Europa, decise di raggiungermi in Lux.
Nel 2003 fui vittima della fusione col S.Paolo, che mi eliminò. Ale, dotata di ottimo nasino, mi aveva fortunatamente convinto, due anni prima, a fare le carte per diventare lussemburghese (dico convinto perché l'idea stessa mi era insopportabile, tant'era il mio senso di appartenenza e lo è ancora) che mi ha dato accesso ai concorsi statali: ne ho vinto uno dopo due mesi scarsi, e ora calcolo le pensioni degli statali. Beh, meno Far West, meno divertente, ma più rilassante.
Alessandra è nata a Bologna, unica dei suoi, perché tutti gli altri sono nati a Solarolo, quindi, in pratica, è... romagnola! Come vedi, l'italia mi ha dato tutto, senza che ci abbia mai risieduto. Ale è qui con me da dieci anni ormai e mi sembra ancora un sogno ad occhi aperti.
Ah, capitolo dialetto: Ale lo capisce, ma non lo parla più, appena qualche battuta, mentre io, figlio di figli di emigrati, lo parlo ancora decentemente, lo respiro dentro di me, tant'è che quando sono a Rimini e sui miei Greppi faccio fatica a trattenere le lacrime (giuro) sentendo la gente esprimersi proprio come i miei nonni e chi prima di loro. Quando sono a San Leo, a Novafeltria, a Verucchio, Sant'Agata Feltria, a Pennabilli eccetera e mi guardo intorno, mi dico sempre che la fame deve essere una brutta bestia se, chi è nato in un posto così bello, decide liberamente di andarsene a lavorare dentro a un buco profondo oltre 200 metri. Quando sono lassù mi gusto ogni secondo, parlo a tutto e tutto mi parla: non saprei descriverti a parole cosa provo, anzi nemmeno lo voglio fare. Ti posso solo dire che sono al mio posto, semplicemente.
Io sono romagnolo dentro, più di tanti che non sanno nemmeno cosa significhi, perché ho coltivato fino all'ossessione questa mia appartenenza, positivamente, senza odiare nessuno e senza considerare da meno chi non lo è: semplicemente provo il bisogno di essere legato a questa terra, come se io dovessi un giorno, spero davvero accada, chiudere il cerchio per conto di chi è dovuto partire da lì, praticamente senza poter scegliere.
Io so di essere romagnolo, come lo sanno anche i sette comuni della Valmarecchia che hanno chiesto di tornare in Romagna, per tornare alla verità storica.
Chiudo con un piccolo flash back. Prima ti dicevo dell'Airone di mio padre. Ebbene, dopo alcune ricerche, sono riuscito a stabilire con precisione qual'era la versione comprata da mio padre Riccardo, perché la sua moto fu radiata e demolita nel 1968. Due anni fa, tramite un sito web specializzato, ho trovato un modello identico a Parma e l'ho acquistato. Avevo sempre coltivato il sogno di cavalcare quella moto che in qualche moto è alla base della mia esistenza. Anche i miei sono stati piacevolmente sorpresi quando l'hanno rivista e pensa che il mio baldo vecchietto (82 anni) è riuscito a farla partire al primo colpo dopo 40 anni!
Ecco, ti ho detto qualcosina di me per aiutarti ad inquadrarmi. Rimane molto da dire e da parte mia ancor di più da ascoltare, poiché questo è quanto so fare di meno peggio, assieme a leggere. Anch'io penso che non possiamo fare a meno di incontrarci, quando verrò giù ti farò un segno.
Par adës a-t salut,
Remo
...e scusa se ti ho risposto con un romanzo.
4 commenti:
Mi viene da piangere...
Mi sono imbattuta per caso in questo scritto, sono da circa un anno in viaggio nel passato, per cercare quella parte di me che nasce nelle colline della Valmarecchia: Novafeltria, Talamello, Maioletto, Pennabilli...
Cerco e ricerco storie di contadini in viaggio verso nuove frontiere, cerco in altri racconti le memorie di un nonno che da anni non è più qui a raccontarmi delle miniere, di Hussigny, della vita povera ma al tempo stesso ricca degli emigrati... cerco cerco freneticamente e chi incontro????
Lui, quel ragazzo che ho sempre "adorato" e ammirato per la sua cultura, per la fierezza delle sue origini, per l'amore per la sua terra, per mille e mille altre cose...
Non ci si crede.
Sono secoli che non lo sento e ancor di più che non ci vediamo.
Beh, se avrete modo di incontrarlo ancora portategli i miei saluti, a lui ed alla sua fantastica famiglia.
Grazie per le emozioni.
Ciao Milly RSM
credo che se Remo leggerai questi commenti ti farà piacere leggere di questo sito...www.sanmarinoparigi.eu/
Ci troverai Luca.
Ciao e piacere di averti ri-incontrato.
Ac vìdém
cara milena,
gli anni passano e non si migliora o peggiora, ma come vedi si tende solamente a diventare sempre più se stessi!
mi fa molto piacere ritrovarti in questo modo, spero tu stia bene, anzi benone (come dice guccini nella mitica 'i miei amici veri'). sicuramente pochi al mondo hanno saputo cogliere la dolce tristezza di questa mia nostalgia per le cose che furono e mai più saranno: sei tra questi e dunque non mi sorprende affatto che anche tu stia frugando nel passato dei tuoi nonni.
ormai le mie scorribande romagnole mi portano di più nel ravennate, complice la famiglia di alessandra cui giustamente diamo la precedenza quando veniamo giù. ma io giro sempre la testa verso sud e spero di scorgere il titano o torriana, anche se so benissimo che non è possibile. quando capito a rimini è per lo più una questione di poche ore, nemmeno per un giorno intero, con qualche raro 'intervento' marecchiese... c'est la vie, come dicono a hussigny. ma in ufficio ho un quadro col manifesto della fiera di san martino del 1996, non rinnego nulla e a modo mio resto fedele!
mi sono preso del tempo per percorrere il folle viaggio in 500 di luca con la sua 500l, la stessa (ma bianca) che dorme nel mio garage: se lo avessi saputo a tempo debito, li avrei accolti cinquecentescamente a hussigny che dista 10 km da casa mia.
ti saluto affettuosamente, augurandoti il meglio: te lo meriti tutto.
remo
Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo.
Quando scrivevo e poi, con ansia, aspettavo il postino con una risposta, che arrivava sempre quando ormai non l'aspettavo più.
Si cambia, si cresce, ma le cose che ci legano agli amici - verissimi - rimangono sempre le stesse e sono quelle che poi fanno, in qualche modo ri-incontrare.
Sono felice di leggere che stai bene, sono felice di ritrovare immutata la tua verve di combattente, leale e nostalgico.
Spero che stiano bene anche i tuoi, se puoi salutameli tanto, l'ultima volta che li ho visti a Esch tua mamma mi aveva fatto promettere che saremmo andati a mangiare da loro, ma sono passati anni e con le mie due piccole tutto è molto ma molto complicato...
Non voglio dilungarmi troppo, in fin dei conti questo è lo spazio di Agide e dei suoi bellissimi ricordi.
Ciao Remo, buona vita a te.
Milly
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