venerdì 21 ottobre 2022

Il borghetto da noi chiamato «Corea»

Il centro di Filo dall’Unità d’Italia ad oggi - 1 -

di Agide Vandini

Si raccomanda, per le fotografie qui proposte, il loro ingrandimento a tutto video col semplice doppio clic sull’immagine. 

 Pochi giorni fa Chiara Marani mi ha gentilmente fatto dono di un paio di rarissime cartoline d’epoca che ritraggono la nostra cosiddetta «Corea», cartoline non viaggiate fatte stampare, come altre del nostro centro cittadino, proprio dalla sua Cartoleria-Tabaccheria-Profumeria Marani nella seconda metà degli anni ’50.

Sono rare immagini che mi sembra doveroso condividere qui, coi lettori del blog.

Esse comunque forniscono lo spunto per alcune interessanti annotazioni intorno a quest’angolo di paese sorto nel dopoguerra, un borghetto che fu, per molto tempo, il simbolo stesso di una faticosa ricostruzione.

 

Quali e quante furono le rovinose distruzioni provocate al nostro Borgo Maggiore dai bombardamenti alleati lo possiamo cogliere da queste tre foto, tutte scattate dall’incrocio principale del paese, in direzione della chiesa, seppure in tempi diversi:

Nelle due foto anteguerra, la prima scattata negli anni ’10 e la seconda negli anni ’20 del Novecento, compare ancora la chiesa cinquecentesca demolita nei primi anni ’30 allorché fu sostituita dall’attuale chiesone senza campanile.



L’attenzione va posta però sugli edifici fra la chiesa e la strada Provinciale, ovvero le cosiddette «scuole nuove» e la residenza dei Tamba che, come si percepisce dalla foto scattata dalle forze alleate il giorno della Liberazione di Filo il 14 Aprile 1945, furono completamente rasi al suolo dai bombardamenti.


Va osservato inoltre come, fino al dopoguerra non ci fosse mai stata alcuna strada pubblica che, in proprietà Tamba, si dirigesse verso destra parallelamente alla Provinciale. In quella direzione c’era infatti soltanto aperta campagna.


Quanto alle distruzioni subite, disponiamo di alcune immagini del centro di Filo bombardato che ci mostrano quanto rimaneva del vecchio ed antico paese.

Queste fotografie, scattate all’indomani della Liberazione, dal punto in cui furono poi costruite le Scuole Elementari postbelliche, ci danno ampiamente il senso della devastazione e della rovina che, finita la guerra, stava di fronte ai sopravvissuti.

 


 


 

 Rimosse le macerie, l’opera di ricostruzione portò ad alcuni cambiamenti che consentirono la creazione del quartiere popolare nella ex campagna dei Tamba, ossia:

 1.    La costruzione di un nuovo ed unico edificio scolastico ove sorgeva la residenza dei Tamba;

2.    Il tracciamento di una strada parallela alla Provinciale in direzione est (poi denominata «Via II° Risorgimento») in grado di dare accesso ad un quartiere di nuova lottizzazione;

3.    L’abbattimento delle ex «Scuole vecchie» e la costruzione nello stesso luogo di una «Casa del Popolo» destinata a Centro Civico con annessa osteria. A sua volta, la vecchia Osteria Benassi diveniva la Tabaccheria di Giuanĕñ Guidarini, poi rilevata da Elio Marani dalla metà degli anni ’50. Diversi anni dopo quest’ultima si spostò di pochi metri, trasferendosi nell’attuale edificio sorto nell’area della vecchia caserma dei Carabinieri.

 Riguardo all’angolo di paese su cui intendiamo focalizzarci, disponiamo di una interessante foto di fine anni ’40, ossia del primo periodo della ricostruzione postbellica.

 

A fianco delle nuove Scuole Elementari già edificate, la futura Via II° Risorgimento è ancora uno stradone sterrato ove però si intravvedono in lontananza le prime pietre e fondamenta del villaggio «Corea». L’edificio scolastico, peraltro, non è ancora delle dimensioni attuali. Le fila di finestre nella facciata sono appena sei (oggi sono undici a seguito dei successivi ampliamenti).

Sulla destra della foto compare il magazzino ove per qualche anno furono stoccati i carburanti della Cooperativa Terra e Lavoro, prima del loro trasferimento al Molino di Filo. L’altra facciata del magazzino demolito a fine anni ‘50, quella rivolta verso la Provinciale, la possiamo rivedere invece grazie ad un’altra foto avuta tempo fa da Giuliano Dalle Vacche.

 


Centro di Filo, fine 1947. Via Provinciale, angolo fra casa Annunziatina Bosi e il Magazzino poi demolito (ora case Montanari - Vandini e Dalle Vacche). L’adolescente Gaetano (Tino) Mezzoli, classe 1935, di Mario il carbonaio e Celeste (Lesta) Dalle Vacche, posa dirimpetto alla propria abitazione, mentre sorregge il fratello Giorgio (sul seggiolone) e Franco Tarozzi (in piedi sulla sedia).

 

 

Il nuovo borghetto popolare sorse in poco tempo, molte case furono «tirate su» alla meglio, lasciate grezze, poi completate di proprie mani, facendo qualche debito e lavorandovi ogni giorno con gran lena nelle ore libere, dopo faticose giornate trascorse nei campi o in fornace.

A poco a poco comunque quelle tre strade divennero i bei vialetti alberati che possiamo osservare nelle due cartoline fine anni ’50: case e strade che presero vita, proprio come era nelle migliori speranze dei nuovi abitanti.

 


Filo, fine anni ’50 – Via 14 Aprile

 


Filo, fine anni ’50 – Via XX Settembre

 

Va aggiunta un’ultima annotazione: le due cartoline, a differenza di altre dello stesso periodo, non recano, in facciata, le rispettive denominazioni delle strade. Questo perché tali denominazioni [Via II° Risorgimento, Via 14 Aprile e Via XX Settembre] furono attribuite soltanto successivamente, a metà degli anni ’70.

Fino ad allora, quel borghetto di tre strade, per tutti noi fu sempre e soltanto «la Corea».

 

Perché «Corea»?

Va ricordato che gli anni a cavallo del ’50, quelli delle prime lottizzazioni ed edificazioni, furono anche quelli della guerra tremenda scoppiata in Asia. Ci furono milioni di morti in un conflitto che vide il fronteggiarsi delle grandi potenze dell’epoca.

Ad un certo punto, a causa della guerra di Corea, il mondo diviso ed arroccato in due blocchi parve infiammarsi ancora, fino a far temere l’ennesimo e devastante conflitto planetario; poi, per fortuna, i combattimenti cessarono nel ’53, grazie ad un armistizio, tuttora vigente, che portò alla spartizione della penisola coreana fra due stati, uno a Nord ed uno a Sud del 38mo parallelo, entrambi assoggettati a diverse ed opposte «sfere d’influenza».

Il nomignolo «Corea» dato quasi scherzosamente in quegli anni al neonato borghetto operaio, ovvero alla residenza di chi, con tanto sacrificio, realizzava a poco a poco il sogno di un’abitazione di proprietà, attecchì subito molto facilmente.

In un piccolo centro come Filo, che aveva sofferto tante pene e distruzioni per cause belliche, si voleva forse in quel modo esorcizzare l’idea stessa della guerra, contrapponendovi quella che i paesani sentivano come la strada più giusta, quella ahimè ardua, ma pacifica, fatta di fatiche e di sudore, ma anche di fiduciosa speranza in un mondo, finalmente, di armonia e di pace.

 

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