Una
foto una storia (6)
di
Agide Vandini
Filo,
1917. Da sinistra in basso: Irma Tagliati (1915, in piedi sulla
seggiola), Amedea Righini (1894-1984) che regge sulle ginocchia Santina
Tagliati (31-10-1916) e Lilia Tagliati (1913, con la bambola). In alto, da sinistra, verosimilmente i nonni materni delle tre bambine
Antonio Righini (1853-1935) e Flaminia Roverati (1859-?).
Tagliati Pietro di
Giovanni e di
Elisa Vecchiattini, nato a Portoverrara il
03.06.1894, soldato, morto in prigionia in Austria (31.7.1918, 14° Rgt
Bersaglieri).
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Quante cose
può raccontarci la foto a fianco fornita da mia cugina Rita Toschi. Sul verso
si leggono le annotazioni di quanto le riferì sua madre, ovvero zia Lilia:
«Nonna Amedea Righini - Mamma Lilia Tagliati con bambola - 1917».
Noi, la
generazione dei nati nell’ultimo dopoguerra, la ‘Medéa la ricordiamo ovviamente molto più anziana, nella casa-negozio
dal tetto a quattro acque, ai piedi della rata
che scendeva davanti all’attuale piazzetta «Giulio Bellini» e che conduceva,
a passo sempre più svelto, alla butéga
ad S-ciflĕñ, ovvero al luogo preferito da noi bambini.
Prima di ricordare
quella favolosa bottega, però, va fatto un passo indietro per conoscere la
storia composita della famiglia della ‘Medéa,
una storia certamente non comune a quei tempi e che ho potuto ricostruire, con
un po’ di pazienza, attraverso i preziosi registri parrocchiali.
Amedea
Righini, nasce a Filo il 28.10.1894 da Antonio (di Andrea e
Coatti Francesca)
e da Flaminia Roverati (di
Girolamo e Carmela Galli) entrambi filesi[1].
Non ha neppure vent’anni quando il 23.5.1913 nasce la sua prima figlia,
ossia zia Lilia (futura moglie di zio Pipèñ
- Giuseppe Toschi - e madre di Renza e Rita).
Dal marito
Pietro Tagliati, con cui si è unita civilmente, nascono poi anche Irma il 23.3.1915 (futura
moglie di Renato Tarozzi, madre di Giovannino - il ben noto Johnny - e Giovanna), nonché Santina
che vede la luce il 31.10.1916 (futura
moglie di Ennio Veduti detto Magnaccia,
madre di Carlo e Anna, una famiglia emigrata a Milano negli anni ‘60).
Pietro e
Amedea dopo il battesimo della terza figlia si sposano anche in chiesa, a
Filo, il 14-3-1917, in piena
guerra ’15-’18. Pietro, bersagliere, viene però chiamato al fronte. Lì,
catturato dagli austriaci, muore in prigionia negli ultimi mesi del conflitto
(luglio 1918).
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Con tre figlie
piccole e col marito in guerra, Amedea, bracciante, si dà da fare come può. Si
presta anche a lavori di fatica solitamente riservati agli uomini, per mettere
in tavola qualcosa davanti alle tre bocche da sfamare. Nelle due foto che
seguono, scattate con ogni probabilità proprio negli anni a cavallo del Primo
Conflitto mondiale, la vediamo «alla carriola» nei pressi della sopraelevazione
ferroviaria, alle prese con pesanti lavori di sterro e trasporto manuale,
assieme ad altre donne come lei, energiche, instancabili e coraggiose.
Nella foto sopra (E. Checcoli,
Filo della Memoria, p. 45) la ‘Medéa è in primo piano, dietro la
carriola, appoggiata al manico del paletto; in quella a fianco, con lo stesso
abbigliamento, è sulla passerella, vicino al palo di sostegno.
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Divenuta,
ahimè, vedova di guerra, ‘Medéa, a
cavallo dei trent’anni, fa una scelta di vita e si accompagna al filese
Alberto Bolelli (1883-1963) in paese conosciuto come S-ciflèñ. Questi commercia un po’ di tutto ed è anche un piccolo
possidente, poiché ha la casa di suo, proprio nel bel mezzo del paese.
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Medéa e S-ciflẽñ
a Bologna
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Primi Anni ’40, da sinistra: Ester
Felletti (figlia dei vicini), Loretta Bolelli e il cugino Giovannino Tarozzi.
Sullo sfondo i capanni dietro casa.
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La ‘Médea è ora in grado di crescere
dignitosamente le tre figlie e altre ne arrivano dal buon S-ciflèñ. Nascono prima Ermisde (1927), che muore nel ‘31 a poco
più di quattro anni, e poi Loretta Bolelli (1933).
Nell’anteguerra
le tre sorelle Tagliati si sposano e mettono su famiglia con altrettanti baldi
giovanotti filesi, Lilia con zio Pipèñ
ad Capitëni (10.6.1934), Irma con Renato ad Taròz (9.3.1935) e Santina con
Magnaccia Veduti (28.7.1940).
‘Medéa e S-ciflèñ
vivono con la piccola Loretta nella casa a fianco della Cà Longa, ossia nella più alta che vediamo al centro della ben
nota foto a fianco, scattata dagli Alleati il giorno della Liberazione di
Filo.
Proprio in
quella casa, demolita negli anni ‘70, ai piedi della rampa adiacente la
strada principale del paese, abbiamo conosciuto, noi bimbi dell’immediato
dopoguerra la favolosa Butéga ad S-ciflèñ.
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Lì, una volta
entrati al dolce dindon azionato dalla porta a vetri, i bambini della mia
età potevano vedere ed ammirare ogni ben
di Dio, spendere le magre mancette dei genitori e finanche il modesto ricavato
dei ferrivecchi ottenuto dallo strazér
(straccivendolo). Non c’era che da scegliere: miclézia (liquirizia in stecche), lègn dólz (tranci di liquirizia in natura), mistöca e mistuchina (schiacciate
di farina castagna), luéñ (lupini), brustlìñ (semi di zucca), ziž (arachidi), zižĕñ (ceci), cuciarùl
(castagne secche), patóna (dolci in
quadretti spugnosi), cìc (gomme da
masticare), caramelle e ogni altra leccornia di allora; e poi: figurine dei
calciatori in cartoncino ante Panini (che ci giocavamo a marëla oppure a zacàgn),
palline di terracotta (che ci giocavamo a maclĕt),
palline di vetro (prignǒñ) con cui
giocare a cichê o alle trè buši; e ancora: girandole, scherzi
di carnevale, mascherine, coriandoli, stelle filanti, i primi giochi in
plastica come i dischi volanti a molla, gli hula-hop ecc.
Insomma, ogni
sorta di golosità, o giochino da pochi soldi per bambini, aveva il suo posto in
quella specie di bottega magica, sopra un fitto banco a più ripiani dietro al
quale comparivano come folletti, a volte il piccolo S-ciflĕñ col cappello sulla nuca, a volte invece la cerimoniosa Medéa, fino a quando, ormai piuttosto anziani,
i due decisero di lasciare l’attività alla figlia Irma e di trasferirsi a
Bologna con la figlia Loretta.
Riposano
entrambi, per loro espresso desiderio, nel cimitero di Filo.
Una complessa storia
familiare; volti, luoghi, vicende cui ripensare con struggente nostalgia;
frammenti di vita filese che andavano qui ricordati e raccontati.
[1] Antonio e Flaminia,
sposatisi a Filo nel 1878 ebbero fra il 1879 ed il 1900, oltre ad Amedea (1894)
questi altri figli: Giuseppa (6.12.1879), Teresa (3.6.1883), Clotilde I (29.4.1885/1-9-1885),
Clotilde II (14.4.1886/29-3-1888), Clotilde III (9.11.1891), Benilde (11.7.1897/1919),
Maria (16.7.1899), Andrea (13.5.1900/25.11.1905). Clotilde III sposò (solo
civilmente) Aderito Geminiani (Pisini)
da cui ebbe Maria, Giovanni (Giuanòñ),
Antonio (e’ Gàg’) e Giuliana. Benilde,
morì molto giovane, dopo aver sposato Mario (Mariẽñ) Vandini da cui era nata Elda. I due anziani ritratti nella foto del 1917, sono dunque
anche i bisnonni di Edmondo Belletti figlio di Maria, di Aderito (Pippi) e Maria Pia di Giovanni, di
Enrico di Antonio (Ricco dla Lina), nonché
di Giorgio e Roberto Minguzzi (de’ Mèstar)
figli di Elda. Non risultano pronipoti filesi invece nella discendenza di
Giuseppa che sposò Giuseppe Leoni.
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