venerdì 24 febbraio 2017

La famiglia della ‘Medéa

Una foto una storia (6)
di Agide Vandini


Filo, 1917. Da sinistra in basso: Irma Tagliati (1915, in piedi sulla seggiola), Amedea Righini (1894-1984) che regge sulle ginocchia Santina Tagliati (31-10-1916) e Lilia Tagliati (1913, con la bambola). In alto, da sinistra, verosimilmente i nonni materni delle tre bambine Antonio Righini (1853-1935) e Flaminia Roverati (1859-?).


Tagliati  Pietro di  Giovanni  e  di  Elisa  Vecchiattini, nato  a Portoverrara  il  03.06.1894, soldato, morto in prigionia in Austria (31.7.1918, 14° Rgt Bersaglieri).
Quante cose può raccontarci la foto a fianco fornita da mia cugina Rita Toschi. Sul verso si leggono le annotazioni di quanto le riferì sua madre, ovvero zia Lilia: «Nonna Amedea Righini - Mamma Lilia Tagliati con bambola - 1917».
Noi, la generazione dei nati nell’ultimo dopoguerra, la ‘Medéa la ricordiamo ovviamente molto più anziana, nella casa-negozio dal tetto a quattro acque, ai piedi della rata che scendeva davanti all’attuale piazzetta «Giulio Bellini» e che conduceva, a passo sempre più svelto, alla butéga ad S-ciflĕñ, ovvero al luogo preferito da noi bambini.
Prima di ricordare quella favolosa bottega, però, va fatto un passo indietro per conoscere la storia composita della famiglia della ‘Medéa, una storia certamente non comune a quei tempi e che ho potuto ricostruire, con un po’ di pazienza, attraverso i preziosi registri parrocchiali.
Amedea Righini, nasce a Filo il 28.10.1894 da Antonio (di Andrea e Coatti Francesca) e da Flaminia Roverati (di Girolamo e Carmela Galli) entrambi filesi[1]. Non ha neppure vent’anni quando il 23.5.1913 nasce la sua prima figlia, ossia zia Lilia (futura moglie di zio Pipèñ - Giuseppe Toschi - e madre di Renza e Rita).
Dal marito Pietro Tagliati, con cui si è unita civilmente, nascono poi anche Irma il 23.3.1915 (futura moglie di Renato Tarozzi, madre di Giovannino - il ben noto Johnny - e Giovanna), nonché Santina che vede la luce il 31.10.1916 (futura moglie di Ennio Veduti detto Magnaccia, madre di Carlo e Anna, una famiglia emigrata a Milano negli anni ‘60).
Pietro e Amedea dopo il battesimo della terza figlia si sposano anche in chiesa, a Filo, il 14-3-1917, in piena guerra ’15-’18. Pietro, bersagliere, viene però chiamato al fronte. Lì, catturato dagli austriaci, muore in prigionia negli ultimi mesi del conflitto (luglio 1918).
Lilia, Irma e Santina hanno anche un fratellastro. Il padre, Pietro Tagliati ha avuto infatti ancor prima di loro un altro figlio naturale ad Argenta cui non ha dato il cognome: è Renzo Bonaveri (che vediamo a fianco), uomo che tutti ricordiamo abile e solerte operatore in cabina di proiezione al cinema Tebaldi di Filo.
Renzo Bonaveri



Con tre figlie piccole e col marito in guerra, Amedea, bracciante, si dà da fare come può. Si presta anche a lavori di fatica solitamente riservati agli uomini, per mettere in tavola qualcosa davanti alle tre bocche da sfamare. Nelle due foto che seguono, scattate con ogni probabilità proprio negli anni a cavallo del Primo Conflitto mondiale, la vediamo «alla carriola» nei pressi della sopraelevazione ferroviaria, alle prese con pesanti lavori di sterro e trasporto manuale, assieme ad altre donne come lei, energiche, instancabili e coraggiose.

Nella foto sopra (E. Checcoli, Filo della Memoria, p. 45) la ‘Medéa è in primo piano, dietro la carriola, appoggiata al manico del paletto; in quella a fianco, con lo stesso abbigliamento, è sulla passerella, vicino al palo di sostegno.



Divenuta, ahimè, vedova di guerra, ‘Medéa, a cavallo dei trent’anni, fa una scelta di vita e si accompagna al filese Alberto Bolelli (1883-1963) in paese conosciuto come S-ciflèñ. Questi commercia un po’ di tutto ed è anche un piccolo possidente, poiché ha la casa di suo, proprio nel bel mezzo del paese.
Medéa e S-ciflẽñ a Bologna

Primi Anni ’40, da sinistra: Ester Felletti (figlia dei vicini), Loretta Bolelli e il cugino Giovannino Tarozzi. Sullo sfondo i capanni dietro casa.
La ‘Médea è ora in grado di crescere dignitosamente le tre figlie e altre ne arrivano dal buon S-ciflèñ. Nascono prima Ermisde (1927), che muore nel ‘31 a poco più di quattro anni, e poi Loretta Bolelli (1933).


Nell’anteguerra le tre sorelle Tagliati si sposano e mettono su famiglia con altrettanti baldi giovanotti filesi, Lilia con zio Pipèñ ad Capitëni (10.6.1934), Irma con Renato ad Taròz (9.3.1935) e Santina con Magnaccia Veduti (28.7.1940).
‘Medéa e S-ciflèñ vivono con la piccola Loretta nella casa a fianco della Cà Longa, ossia nella più alta che vediamo al centro della ben nota foto a fianco, scattata dagli Alleati il giorno della Liberazione di Filo.
Proprio in quella casa, demolita negli anni ‘70, ai piedi della rampa adiacente la strada principale del paese, abbiamo conosciuto, noi bimbi dell’immediato dopoguerra la favolosa Butéga ad S-ciflèñ.
Lì, una volta entrati al dolce dindon azionato dalla porta a vetri, i bambini della mia età  potevano vedere ed ammirare ogni ben di Dio, spendere le magre mancette dei genitori e finanche il modesto ricavato dei ferrivecchi ottenuto dallo strazér (straccivendolo). Non c’era che da scegliere: miclézia (liquirizia in stecche), lègn dólz (tranci di liquirizia in natura), mistöca e mistuchina (schiacciate di farina castagna), luéñ (lupini), brustlìñ (semi di zucca), ziž (arachidi), zižĕñ (ceci), cuciarùl (castagne secche), patóna (dolci in quadretti spugnosi), cìc (gomme da masticare), caramelle e ogni altra leccornia di allora; e poi: figurine dei calciatori in cartoncino ante Panini (che ci giocavamo a marëla oppure a zacàgn), palline di terracotta (che ci giocavamo a maclĕt), palline di vetro (prignǒñ) con cui giocare a cichê o alle trè buši; e ancora: girandole, scherzi di carnevale, mascherine, coriandoli, stelle filanti, i primi giochi in plastica come i dischi volanti a molla, gli hula-hop ecc.
Insomma, ogni sorta di golosità, o giochino da pochi soldi per bambini, aveva il suo posto in quella specie di bottega magica, sopra un fitto banco a più ripiani dietro al quale comparivano come folletti, a volte il piccolo S-ciflĕñ col cappello sulla nuca, a volte invece la cerimoniosa Medéa, fino a quando, ormai piuttosto anziani, i due decisero di lasciare l’attività alla figlia Irma e di trasferirsi a Bologna con la figlia Loretta.
Riposano entrambi, per loro espresso desiderio, nel cimitero di Filo.
Una complessa storia familiare; volti, luoghi, vicende cui ripensare con struggente nostalgia; frammenti di vita filese che andavano qui ricordati e raccontati.




[1] Antonio e Flaminia, sposatisi a Filo nel 1878 ebbero fra il 1879 ed il 1900, oltre ad Amedea (1894) questi altri figli: Giuseppa (6.12.1879), Teresa (3.6.1883), Clotilde I (29.4.1885/1-9-1885), Clotilde II (14.4.1886/29-3-1888), Clotilde III (9.11.1891), Benilde (11.7.1897/1919), Maria (16.7.1899), Andrea (13.5.1900/25.11.1905). Clotilde III sposò (solo civilmente) Aderito Geminiani (Pisini) da cui ebbe Maria, Giovanni (Giuanòñ), Antonio (e’ Gàg’) e Giuliana. Benilde, morì molto giovane, dopo aver sposato Mario (Mariẽñ) Vandini da cui era nata Elda. I due anziani  ritratti nella foto del 1917, sono dunque anche i bisnonni di Edmondo Belletti figlio di Maria, di Aderito (Pippi) e Maria Pia di Giovanni, di Enrico di Antonio (Ricco dla Lina), nonché di Giorgio e Roberto Minguzzi (de’ Mèstar) figli di Elda. Non risultano pronipoti filesi invece nella discendenza di Giuseppa che sposò Giuseppe Leoni.

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