giovedì 2 febbraio 2017

Filo e la sua Riviera - Parte Prima

Compendio di storia del territorio filese e delle sue vie di comunicazione
 di Agide Vandini


Il breve compendio storico articolato in cinque paragrafi, che qui propongo suddiviso in due parti, l’ho scritto su richiesta, poche settimane fa, quale «Introduzione al territorio filese» per un libro alfonsinese di prossima pubblicazione. Il testo si occuperà della storia del territorio comunale in generale e delle sue vie di comunicazione in particolare, ne spiegherà origini, denominazioni, ecc. Conterrà anche una parte del lavoro (vie e strade del Borgo Ravegnano in Filo) qui dedicato qualche anno fa allo stesso tema (si veda https://drive.google.com/open?id=0B17SSzLxL1RbSVE2SUVad1BSUm8 - Quaderno del 26.8.2011 - «Per le vie di Filo») una guida storica alle vie del paese divulgata e presentata durante una bella serata estiva organizzata per il ciclo de’ «I Talenti».
Non ci saranno invece, nel libro alfonsinese, le due «Appendici» guidate che ho inserito in questa anteprima per l’«Irôla», ove propongo alcune interessanti immagini tratte dalla Cartografia Geologica Regionale reperibile sul web[1]. Si tratta di Tavole molto circostanziate che confermano, col rigore della scientificità, le mie ricostruzioni del territorio più antico, anche quelle proposte in passato sulla base di pochi indizi e, sia pur ragionevoli, deduzioni.
Le immagini cartografiche, che consentono la sovrapposizione Antico / Moderno, aiuteranno a cogliere gli aspetti geo-morfologici della trattazione ed anche a meglio comprendere le tematiche storico-medievali già affrontate (si veda in particolare in questo blog: https://drive.google.com/open?id=0B17SSzLxL1RbMm1rZHRodlVqaTg - Quaderno del 15.5.2014 - «Quando a Filo si pescavano gli storioni»).
Il Compendio, pur includendo necessariamente immagini ed argomenti da me già trattati, vuoi per la forma assai sintetica, vuoi per il focus geo-morfologico, vuoi infine per l’arricchimento cartografico in Appendice, costituirà - io credo - per il lettore, uno strumento di straordinaria immediatezza ove poter cogliere tutta la complessità e vastità delle grandi trasformazioni subite nei secoli dal nostro territorio (a.v.).

E’ sempre interessante, in tempi di rinnovato interesse verso l’antico ambiente naturale, risfogliare qualche pagina della nostra storia lontana, anzi lontanissima, e, quasi come in un viaggio nel tempo, tornare alle origini dei nostri villaggi.
Il territorio, quello ove si insediarono i primi abitanti di Filo lungo il Grande Fiume, fu per secoli ben diverso da quello ricevuto in eredità dai nostri nonni, bisnonni e trisavoli, uomini che, nell’arco temporale della loro vita, hanno vissuto grandi mutamenti dell’habitat, radicali trasformazioni iniziate con la rettificazione fluviale di fine ‘700 e proseguite con le estese bonifiche eseguite fra ‘800 e ‘900. Noi, nel nostro tempo, abbiamo potuto vivere appena l’ultimo atto, ossia il prosciugamento totale delle Valli del Mezzano avvenuto alla metà del XX° secolo.
Per risalire al paesaggio del passato, va detto che la conformazione territoriale di Età Moderna ci è ben chiara: abbiamo il conforto di molte Mappe. Più ardua è invece la ricostruzione dell’ambiente e del territorio alto-medievale delle origini, poiché, come ben sanno gli studiosi di storia locale, cartografia d’epoca, fino alla metà del ‘400, non ce n’è. Per gli anni, però, cui possiamo far risalire l’insediamento del villaggio di Filo, disponiamo di fonti bibliografiche e documentali molto interessanti che ci consentono ricostruzioni ragionevoli e senza troppi voli di fantasia.


 1. Perché «Filo»? Come e quando è sorto il villaggio? Perché fu chiamato così?
Il costituirsi del nucleo abitativo, come per ogni villa dell’area meridionale del Delta Padano, va necessariamente collegato alle mutazioni morfologiche del territorio e, con esse, al determinarsi delle basilari risorse per il sostentamento umano, incluse le vie di comunicazione, sia d’acqua che di terra.
La foce ed i rami deltizi del Po, fin da epoche remote, hanno subìto periodici spostamenti per via naturale soprattutto allorché i fiumi non disponevano di arginature e di conseguenza il territorio, quello interposto fra il Po e l’Appennino, era coperto da estese paludi e specchi d’acqua. L’interrimento degli alvei dovuto agli apporti delle torbide[2], era causa di innumerevoli variazioni al corso dei fiumi nella pianura basso-romagnola. Secondo le fonti storiche tuttavia, il tracciato del ramo deltizio alle cui rive venne ad attestarsi il villaggio di Filo (ramo denominato Po di Primaro, il primo per chi proviene dal Mediterraneo) sarebbe stato, almeno in parte, provocato artificialmente in epoca bizantina (VIII sec.).
Il taglio avvenne, così si scrisse, per proteggere l’entroterra ravennate dalla pressione longobarda. Sta di fatto che il nuovo corso, o per intervento umano come si tramanda, oppure per spiegabili vie naturali, ebbe vita per incanalamento delle acque provenienti dal Volano in alvei già esistenti, al di sotto delle valli salate e di direzione ovest-est, alvei comunemente detti del Padoreno o del Vatrenum.
Lo scorrimento delle acque fluviali nella nostra bassa, piatta e con minime pendenze, produce, secondo le leggi della fisica, alvei naturali ad andamento molto tortuoso, e ciò aveva portato, verosimilmente in epoca tardo imperiale romana, al raddrizzamento del Vatrenum nel lungo tratto Bastia - Menata, ossia al drizagne Fili (così citato negli statuti Duecenteschi ravennati[3]), accortamente affiancato, al lato sinistro, da una strada selciata[4] [v. Cartografia in Appendice: Tavola 01].
Se l’antico rettifilo aveva permesso la navigazione fluviale nel Vatrenum, e facilitato i trasporti via terra, i lavori di arginatura e fortificazione a scopo difensivo dell’VIII° secolo, dovettero ancor meglio proteggere la salinità delle valli limitrofe (e con essa l’incremento dell’attività saliniera) nonché favorire con ogni probabilità gli insediamenti rivieraschi come Silicatam (forse Case Selvatiche), citato in un Diploma di Ottone I[5], e verosimilmente anche di Philus.
La denominazione pare risalire a quegli anni e derivare dal greco Phylai (in origine: gruppi o tribù delle città-stato) un termine che, fin dalla riforma ateniese di Clistene del VI° sec a.C., aveva assunto il significato  di «reggimento guidato da un filarca». Il Phylai, in sostanza, analogamente al Bandon trasmessosi ad altro abitato a noi vicino, era un termine che definiva unità o reparti militari dell’esercito bizantino dislocati nel territorio[6].
Il villaggio di Philus prese perciò ragionevolmente vita nell’Alto Medio Evo, intorno all’VIII-IX° secolo, nel luogo oggi chiamato Molino di Filo. Qui, a ridosso del Po di Primaro (o Po Vecchio), venne edificata la più antica chiesa di cui si abbia notizia nel territorio (dopo la Pieve argentana di san Giorgio): Santa Maria in Filo.

2. Ricostruzione del territorio antico, sue risorse ed organizzazione.
Alcune risorse ed attività rivierasche del villaggio di Filo a cavallo del Millennio si traggono dalla preziosa pergamena ravennate dell’anno 1022, allorché Bergunzo, ed altri coloni, prendono a «livello» dall’arcivescovado una striscia di terra emersa lungo il corso del fiume da Caput de Arre[7] fino all’ecclesia Sanctae Mariae in loco qui dicitur Filum. In quei pochi palmi i coloni possono scavarvi un canale, praticarvi caccia, pesca e, soprattutto, bonificare e coltivare quanto strappato alla palude.

25 set 1022 - Vitale Bergunzo ed altri coloni ottengono a «livello», a Filo, una lunga striscia di terra[8]

  Grande risorsa e fonte di traffici è però da tempo, nel territorio, il sale ricavato dalle valli di settentrione, oro bianco che si forma per via naturale nei morarium, raccolto, depositato in apposite tumbae ed arre lungo le rive del fiume e di lì trasportato nei luoghi di smercio[9]. Vediamola su carta, l’area che ci interessa.
La mia ricostruzione medievale della parte di Riperia relativa al territorio di Filo si basa su indicazioni topografiche (villaggi, fosse e canali) del Diploma di Ottone I (962), di alcune pergamene ravennati (Fantuzzi), della novella del Sacchetti[10] e della Descriptio Romandiolae del Card. Anglic (1371), indicazioni che ho sovrapposto alla particolareggiata cartografia di primo Ottocento (1814) riportata più oltre. [Si veda la Cartografia Geologica in Appendice: Tavole 02-03-04]

Ricostruzione e posizionamento dei villaggi filesi in epoca basso-medievale
1:Hostaria di Lapaccio; 2: Hospitale S.Giovanni Battista in Lombardia;3: Convento dei Dossi; 4: Chiesa di S.Maria in Filo

La Riviera ovviamente è assai più estesa e ne conosciamo con precisione confini e giurisdizione. Dagli Statuti duecenteschi ravennati[11] (XV) sappiamo che l’intera Riperia andava da «San Biagio al mare» poiché gli hominum de ultra Padum sono quelli qui stant et steterunt ultra padum Santo Blaxio usque ad mare.
I villaggi che la compongono godono di una certa autonomia e appartengono al Distretto di Ravenna che ne nomina il Podestà. Argenta, invece, che pur fa capo a Ravenna, all’epoca è già contesa da Ferrara e possiede, dalla fine del sec. XII, un suo Comitatum, una sua completa autonomia amministrativa e suoi specifici Statuti.
Nel già accennato art. XV gli stessi primi Statuti ravennati indicano confini con Argenta «da ripristinare» e da ciò si deduce come la Riperia, pur subordinata religiosamente alla Pieve argentana di San Giorgio, fin da tempi più antichi sia, al civile, una dipendenza del Comitatum e Districtum Ravennae. (et teneatur potestas providere quod confines, qui consueverunt esse et stare inter districtu Ravenne et Argente sint et stentet reduncantur in pristinum statum ut consueverunt).
Argenta, dopo un paio di secoli di conflitti coi ferraresi, viene affittata a tempo indefinito agli Estensi (1344). Con questa cessione la cunfina di S.Biagio, fino ad allora limite di districtum e comitatum, diventa confine politico, fra Stato Pontificio e Ducato Estense. E’ quanto si riscontra nella Descriptio dell’anno 1371, censimento dell’epoca. Vi si indica che il comitatum Ravennae confina con quelli di «Cervia, Cesena, Forlì, Faenza, Casemurate, Bagnacavallo e Argenta». Le due sponde della Riperia Fili sono dunque, entrambe, parte integrante della Provincia Romandiolae, come si osserva nella mappa ricostruita dal Mascanzoni. Il confine nord che la divide dal ferrarese è l’argine della Valle del Mezzano (l’«argine circondario Pioppa»).
La Descriptio Romandiolae fornisce la consistenza dei villaggi rivieraschi con le antiche denominazioni e permette una valutazione d’importanza economico-politica della riviera (sale, traffici e risorse vallive). Compaiono nella Riperia ben 249 focularia (117 in corrispondenza delle attuali due frazioni di Filo) quando Russi ne conta 70, Conselice 33, Massalombarda 35, Ravenna civitas 1743.

Descriptio - Mappa Mascanzoni (part.)
Descriptio - Consistenza dei villaggi del territorio


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Appendice alla Parte Prima



 In doppia linea blu, a nord di Filo e lungo la direttrice Bando - Menata di Longastrino, è facilmente osservabile il corso delle acque fluviali all’epoca in cui fu tracciato l’antico drizzagno di Filo (da Bastia a Menata) sul Vatrenum - Padorenum (dall’VIII secolo: Po di Primaro). Quest’ultimo tratto di fiume, contrassegnato nella carta geologica dalla linea continua azzurra, forse realizzato in epoca tardo imperiale romana, permise navigabilità (e la contestuale viabilità per la strada selciata al suo fianco) ai traffici provenienti da Caput Silicis (Conselice), e dal bolognese, in direzione dell’Adriatico e di Spina-Comacchio.

Fig. 01
Orma dell’antico Drizzagno di Filo


Fig. 02 – Orma del «Ruptulum»
Fig. 03 – Orma del «Morticium»
Fig. 04 – Orma «Canale dei Ravennati»

I tre particolari cartografici qui riportati (Tavole 02-03-04) confermano con chiarezza i percorsi iniziali delle tre derivazioni del Po di Primaro delineate nella mia «Ricostruzione e posizionamento dei villaggi filesi in epoca basso-medievale»[12]. Vi si osservano in colore blu il Ruptulum a Case Selvatiche, costeggiante l’attuale «Via Porto Vallone», con prosecuzione lungo la recentemente rimossa «Strada vicinale della Palazzola»; indi il Morticium nel Borgo Maggiore di Filo, di cui vediamo il suo punto d’inizio in prossimità dell’incrocio principale del paese (uffici ex CMR), l’andamento obliquo del suo corso verso nord fino alla zona torre - acquedotto e, da qui, il suo proseguimento lungo la Via Bindella (ex Via Dei Dossi); infine possiamo notare l’orma del Canale dei Ravennati, a Filvecchio (poi Molino di Filo) con derivazione dal fiume nei pressi di Via dei Laterizi  e la sua prosecuzione lungo la direzione Via Fossetta - Fossa Signora.

                                                                                                                              (1 – continua)




[2] Interrimenti che generano tuttora, nei nostri fiumi, lo scorrimento «pensile» delle acque all’interno degli argini.
[3] Statuti 1180-1260, XXII. Cfr A. Zoli- S. Bernicoli, Stat. Sec. XIII com. Ra., Ravenna, P.T. L. Ravegnana,1904, p.28. 
[4] Cfr. G. Uggeri, La romanizzazione dell’antico delta padano, in «Atti e memorie Deputazione Ferrarese di Storia Patria» s III, XX, 1975, pp. 37, e 167-168.
[5] Archivio Storico di Modena, Diploma 19 dicembre 962.
[6] Si noti come Filò, il trèb ferrarese e d’alta Italia, conservi ancora il significato più antico del termine Phylai.
[7] Antico toponimo nei pressi di San Biagio. Le Arre (v. nel prosieguo) sono aie di ammassamento del sale.
[8] L’integrale trascrizione, traduzione e commento della pergamena sono contenuti in A.Vandini, Filo la nostra terra, Faenza, Edit, 2004, pp. 38-41, testo cui si rimanda il lettore per l’approfondimento degli argomenti oggetto di questa trattazione, nonché per le fonti bibliografiche e documentali qui non riportate.
[9] Ibidem, pp.124-126 (nota 6). Quanto importante fosse il sale e quanto antica ed ambita fosse la sua raccolta lo si deduce da queste interessanti note storiche reperibili in rete (http://win.storiain.net/arret/num153/artic4.asp): «All'inizio del VIII secolo era importante il ruolo di Comacchio. Il più antico documento su questo commercio è un trattato di navigazione tra Liutprando e la città, datato 715, in cui il re longobardo concede ai milites clomaclenses, in cambio di tributi quasi esclusivamente in natura, il diritto di risalire con le loro imbarcazioni il Po, il Mincio, l'Oglio, l'Adda, e il Lambro. L'attività di questo commercio, al quale successivamente si aggiungeranno anche i negotiatores delle città lombarde, era il sale, con cui venivano scambiate derrate alimentari come olio, grano, carne di maiale, vino ecc. Il punto essenziale del trattato fu l'istituzione di un'organizzazione amministrativa lungo i fiumi: alle varie stazioni d'approdo si trovavano degli ufficiali, riparii, ai quali i milites di Comacchio versavano i tributi per la Camera Regia .
[10] Lapaccio e il morto, dal «Trecentonovelle» di Franco Sacchetti (1330-1400). E’ la novella XLVIII ambientata a Ca’ Selvatiche, integralmente riportata e commentata in A. Vandiniop.cit.,  pp. 171-174.
[11] Gli articoli degli Statuti ravennati dedicati alla Riviera, integralmente trascritti e tradotti, sono contenuti nell’Appendice di A.Vandini, Ibidem, pp. 175-182.
[12] Pubblicata una prima volta in A.Vandini, L’Antico Comune della Riviera di Filo, Ferrara, SATE, 1981, p. 30 e meglio circostanziata in A.Vandini. Filo la nostra terra, cit., p. 43, mappa anche qui riproposta.

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