Un ricordo ed una
importante lezione da ricordare
di Giovanni Pulini
presentazione
di Agide Vandini
Partigiano,
ex combattente ed aderente all’ANPI, Giovanni, che da anni risiede a Bologna,
ha espresso il suo dissenso - come il sottoscritto del resto - dalla posizione
presa dall’Associazione nei riguardi del recente Referendum Costituzionale. Il
suo breve ricordo di vita partigiana che tocca il tema profondo della
«democrazia», l’ho avuto un mese fa, ma lo pubblico soltanto ora, a risultato
referendario acquisito. L’intento è
stato quello di evitare a lui, ed al mio blog, la spiacevole etichettatura di mera
propaganda, nel contesto di una campagna spesso squallida e pretestuosa,
finalizzata, a parere di chi scrive, più alla «tattica» che alla «strategia»,
più ad effetti politici che istituzionali. Forse, almeno io credo, certi spunti
di riflessione sul tema qui affrontato, serviranno ancor più adesso, nei
momenti della grande, talvolta incontrollata, euforia da parte dei «vincitori» (a.v.).
Un giorno mi venne voglia di frugare in un cassetto dove avevo riposto
carte e agende telefoniche vecchie di trenta e più anni. La mia attenzione fu
attratta da una in particolare, quella del 1997; scorsi i vari nomi e numeri, e
mi venne da pensare che forse alcuni di loro non erano più in vita. Vidi, fra
gli altri, un nome che mi rimaneva nella mente, nonostante continuassi a girare
i fogli fra le mani.
Incuriosito da tale ricordo
pensai di comporre il numero, mi rispose una voce di bambina alla quale dissi
che desideravo parlare con Giordano. La bimba disse che Giordano era il nonno e
me lo passò. Rispose un uomo con voce cavernosa, mi chiese chi fossi ed io cercai di farmi riconoscere.
Gli rammentai che ero un vecchio partigiano
come lui e dall’altra parte del filo sentii che una voce strozzata
dall’emozione avrebbe voluto dirmi
qualche cosa, ma subito una voce di donna, la figlia, intervenne. Voleva sapere
chi fossi e mi riferì che il padre soffriva di demenza senile e che non era in
grado di darmi risposte.
Esposi alla donna le circostanze
nelle quali ci eravamo conosciuti Giordano ed io; a questo punto la signora mi
disse che il genitore sicuramente ricordava la guerra: in occasione del 70°
Anniversario della fine della Guerra anche a lui era stata data una medaglia,
il 25 aprile 2016, ma ogni volta che la prendeva in mano si commuoveva, tanto
che la figlia aveva dovuto riporla in un luogo nascosto. La telefonata si
chiuse con le solite frasi di circostanza.
Io invece ricordo bene come ci
siamo conosciuti, salvo, forse, qualche piccola imprecisione nel racconto
dovuta al tempo che può aver segnato anche la mia memoria.
Per tutta l’estate villeggiavo a Punta Marina Terme e frequentavo il
Bagno Pelo, dove ogni mattina, bevendo il solito caffè, incontravo un signore
che abitava in una frazione di Ravenna e si godeva il mare come pendolare. Inizialmente
ci si scambiava qualche frase di circostanza, col passare del tempo diventammo
amici e scoprimmo di essere stati entrambi partigiani in Brigate diverse, ma
che operavano nella stessa zona.
Ci raccontavamo le nostre storie,
i rischi corsi, le angosce vissute; i nostri racconti fluivano sempre con tono
pacato ed occhi lucidi: non avevamo bisogno di alzare la voce, non dovevamo far
credere a nessuno quello che ci stavamo raccontando, parlavamo di fatti vissuti
sulla nostra pelle. A volte si parlava anche di politica, ci trovavamo
d’accordo su una Repubblica parlamentare, si facevano riflessioni sul passato e
si conveniva sul fatto che parte di quanto ci era stato promesso non era stato
mantenuto.
Avevamo ottenuto la Repubblica e battuto la Monarchia non con il fucile
in mano, ma col voto, l’avevamo battuta alle urne e questo lo consideravamo
motivo di orgoglio per chi si è battuto nella Resistenza.
Giordano apparteneva alla 28a Brigata Garibaldi «Mario Gordini»,
comandata dal leggendario Bulow, al
secolo Arrigo Boldrini, io appartenevo alla 35a Brigata Garibaldi «Mario Babini».
Per il lettore è forse qui necessario ricordare che i componenti di tutte le
Brigate Garibaldi erano politicamente di sinistra ed erano quasi tutti iscritti
al Partito Comunista. La formazione era per lo più rappresentata da braccianti,
contadini e comunque gente poco scolarizzata.
I Partigiani, nei momenti di relativa calma, si chiedevano quale sarebbe
stato il Governo che ci avrebbe governato, spesso usciva la parola democrazia, parola ai più sconosciuta
essendo quasi tutti nati e cresciuti in una Italia fascista. E quindi
democrazia era quasi una parola astratta. Un giorno, però, mentre se ne
discuteva, giunse il Comandante Bulow
ed intervenne spiegandoci che «democrazia» significava libertà di espressione:
rispetto per le altrui opinioni e tante altre cose.
Giordano mi raccontò un fatto accaduto veramente, del quale se ne è
sempre parlato a mezza bocca. La 28°
Brigata era schierata sulla costa adriatica e combatteva a fianco di un gruppo
della Brigata Maiella e quando
arrivarono nella cittadina di Codevigo la guerra terminò. Era il 25 aprile
1945. Dopo qualche giorno si sparse la voce che sarebbe arrivato il Principe
Umberto di Savoia in visita ai combattenti.
I Comandanti di Brigata
predisposero i picchetti d’onore, ma quando il Principe arrivò fu accolto con
fischi e qualche pernacchia da parte del gruppo della Brigata Maiella; i
Partigiani della 28a, sull’attenti, non mostrarono alcun cenno di insofferenza.
A tal proposito Giordano commentò che Bulow,
oltre ad aver insegnato la pratica della guerriglia, aveva dato anche una
lezione di democrazia.
Giordano mi raccontò ancora di quanto avvenne nei giorni della fine del
conflitto, quando nel clima dei grandi festeggiamenti e, nell’euforia del
momento, due Partigiani, che forse si sentivano migliori degli altri, misero al
collo un fazzoletto rosso con falce e martello: a tal vista Bulow ordinò loro di rimettere in tasca
quanto indossato, e ribadì che, finché avessero fatto parte della 28° Brigata,
non avrebbe tollerato svolazzi di emblemi di partito; Bulow era una persona onesta e molto lungimirante.
Nei primi giorni che seguirono la
fine della guerra ebbe, poi, il coraggio di dire, nella piazza di Ravenna, che
i Partigiani avevano lottato per la libertà di tutti, anche per quelli che
erano contro di loro, frase che fece il giro del mondo, frase che non tutti
compresero.
Nacque da ciò l’esigenza di creare un’Associazione che unisse tutti i
Combattenti, lo spirito era quello di creare un’Associazione indipendente dalla
provenienza politica: nacque l’A.N.P.I.,
della quale Boldrini fu Presidente per cinquant’anni, che ha come vessillo la
bandiera tricolore, la bandiera della Nazione e di chi crede nella libertà.
Giovanni Pulini, Partigiano
della 35a Brigata «Mario Babini», Novembre 2016
4 commenti:
Caro Agide, sono completamente d'accordo con te. Hai fatto benissimo a pubblicare la lettera a risultato del referendum acquisito. Purtroppo negli ultimi vent'anni per colpa di qualcuno noto, hanno trasformato il rispetto che si deve in democrazia a chi non la pensa come te in odio e avversione come per un nemico da combattere. Mi duole assai che ciò accada anche nell'ambito del PD. La storia dovrebbe averci insegnato che quando all'interno di uno stesso partito ci si combatte, si favoriscono gli avversari politici che ti contendono la vittoria spesso con metodi sleali e/o truffaldini. Una volta nel PCI vigeva il centralismo democratico: si discuteva, ma alla fine il segretario decideva e le minoranze obbedivano. Oggi non capiscono che divisi si perde sempre. Tanti auguri di Buone Feste a te e famiglia. Ciao
Concordo, amico mio.
Credo che «democrazia» significhi il reciproco rispetto di maggioranza e minoranza.
Qualcuno oggi se lo è dimenticato, oppure fa finta di non saperlo.
Augurissimi anche a te e famiglia.
Ho dovuto rimuovere un commento anonimo di assai cattivo gusto, per nulla pertinente col tema, da parte di chi ha ritenuto fosse un buon momento per gettare discredito sui partigiani e sulla Resistenza. Ha preso male. Altrettanto farò con chi ci dovesse riprovare con quel tono saccente e soprattutto senza neppure il coraggio di firmarsi.
hai fatto bene a cancellare quell'intervento provocatorio e oltraggioso nei confronti di uno che ha reso testimonianza della sua partecipazione alla resistenza
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