Memorie dal
«Quaderno»
di
Giovanni Pulini
Con questa mia memoria vorrei cercare di dare
un vissuto ad un periodo, dal 1940 al 1943, quando la miseria era un luogo
comune e nessuno ci faceva più caso.
Tutta la mia famiglia era impegnata in un lavoro in proprio: mio padre
prendeva in affitto terreni ed argini per la fienagione. Il foraggio, in quel
periodo, era molto ricercato in quanto l’Italia era entrata in guerra con un
Esercito dove il cavallo ed il mulo erano i mezzi di trasporto.
Mio padre acquistò un cavallo e
noi costruimmo un biroccio. In famiglia erano disponibili solamente due
biciclette che dovevano essere condivise da otto persone, quali erano i
componenti della mia famiglia, perciò il
cavallo, ed il biroccio, ci servivano come mezzo di trasporto sia per persone
che utensili da lavoro.
Io ero il cocchiere della
famiglia, governavo il cavallo, ero il responsabile del nostro mezzo di
trasporto. La fienagione era solo stagionale, per lo più estiva, e nei periodi
morti offrivo piccoli trasporti per chiunque ne avesse avuto necessità.
Nel mio paese, Filo, un signore vendeva
mobili, ma non aveva mezzi di trasporto autonomi cosicché chiese a mio padre se
potesse fare trasporti per suo conto col nostro cavallo e biroccio. Il lavoro
consisteva nel recarsi a Lugo di Ravenna, caricare mobili e portarli dalla
fabbrica al negozio e da qui, una volta venduti, al cliente finale. Era un
lavoro che mi piaceva, che mi faceva sentire importante, mi faceva sentire già
uomo, nonostante fossi poco più di un ragazzo. Casimiro Beppino Andalò, questo
era il nome del mobiliere, era una gran brava persona e alcune volte, recandomi
a Lugo con lui, mi portava a mangiare in trattoria e ciò mi dava modo di
ingerire cibo che a casa mia non si mangiava.
Un giorno Casimiro mi disse di
passare dal negozio che aveva qualcosa per me: mi regalò un tandem,
modernamente accessoriato, poiché ben conosceva le esigenze della mia
famiglia. Dal mio punto di vista non era
solamente una bicicletta, ma rappresentava un mezzo che mi dava un tono di
benessere; al mio paese, Filo, non c’era nessun altro che avesse questo
privilegio.
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Il lavoro mi aveva fatto
crescere in fretta, il mio fisico era maturato presto, a sedici anni avevo
già una barba da uomo, avevo già scoperto il sesso, frequentavo persone più
grandi di me, i miei amici avevano superato i venti anni, fumavo qualche
sigaretta offertami da Casimiro, uomo benvoluto da tutti e buon padre di
famiglia: venne fucilato, insieme ad altri,
l’8 settembre 1944.
Solamente coloro che erano ragazzi in quel
periodo possono capire il disagio che esisteva fra ricchezza e povertà. Spesso andavo in giro nei paesi limitrofi
per farmi vedere sul tandem e per questo oggetto di lusso ero spesso
invidiato.
La memoria mi riporta vividamente
ad un episodio di quel periodo.
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Durante il mese di maggio del 1943 spesso la
domenica, noi amici e ragazzi, andavamo
in gruppo a Porto Corsini, oggi Marina di Ravenna. Si partiva presto al mattino
con una sporta di pane, la frutta l’avremmo rimediata durante il tragitto, ma
non sempre si avevano i soldi per comprare il companatico. Mio fratello ed io
ci sentivamo soddisfatti del nostro tandem anche se nella sporta portavamo solo
pane.
La strada che da Ravenna porta al mare
costeggiava il porto canale e, sulla parte opposta, alcune bancarelle vendevano un po’ di tutto;
in una di quelle gite comprammo mezzo chilo di pesciolini fritti, una spesa che
non sempre si poteva fare e non ricordo come quel giorno avessimo i soldi per
farlo. I costumi da bagno si prendevano a noleggio e questo dava il diritto di
depositare le biciclette oltre all’uso di un capanno dove si potevano lasciare
vestiti e borse. Noi ragazzi gironzolammo un po’ per la spiaggia quasi deserta,
i villeggianti erano pochissimi ed in quegli anni non c’era turismo di massa.
Verso mezzogiorno, dopo aver
recuperato le nostre sporte, stendemmo dei giornali a terra a guisa di tovaglia
e, a ridosso di una duna vicino alla
pineta, cominciammo il nostro pranzo; dopo pochi minuti uscirono dalla pineta
due ragazze in costume da bagno: erano ragazze mature ed il loro abbigliamento
rispecchiava una classe sociale benestante. Ci diedero un’occhiata, ma il loro
sguardo rimaneva più fisso sul cibo che avevamo preparato, ci superarono di
qualche passo poi, rivoltandosi verso di
noi, ci chiesero dove avessimo preso il pane. Ci guardammo rossi in viso per
l’imbarazzo e Mario, che era il più grande del gruppo, le invitò ad unirsi al
nostro “pranzo”: addentarono il pane e ci fecero un’infinità di complimenti per
la bontà dello stesso. Noi ragazzi per la vergogna non aprimmo più bocca!
Dopo poco un uomo, padre di una
delle ragazze, arrivò e le rimproverò, le due si giustificarono dicendo che mai
avevano mangiato un pane di qualità così eccellente, il signore non poté verificare
poiché del pane non c’era più traccia! Ci chiese dove lo avessimo acquistato e
Mario spiegò che la madre, il giorno precedente, ne aveva fatto tanto che
sarebbe bastato per una settimana intera. Il signore chiese a Mario, dietro
compenso, se potesse averne. Per noi, che non avevamo mai una lira in tasca, la
proposta ci sembrò allettante, Mario stesso si offrì di andarlo a prendere,
nonostante Filo distasse una trentina di chilometri, e rassicurò che sarebbe
stato di ritorno verso sera. Il signore gli consegnò un biglietto da visita
pregandoci di presentarci all’Hotel Miramare, dove villeggiava con la famiglia.
Mario fu di ritorno verso le diciotto e andammo tutti all’Hotel. All’entrata
fummo fermati dal portiere che, nonostante il biglietto che gli stavamo
mostrando, incredulo minacciò di chiamare le guardie se non ce ne fossimo
andati via. Fortunatamente arrivò il destinatario di quella sporta e spiegò che
lui stesso ci aveva invitati. “alle ore venti vi aspetto per la cena” ci disse,
prese la borsa con il pane, ma, con nostra grande delusione, non ci diede
danaro. Accettammo l’invito seppure con un certo imbarazzo; se ci avesse dato
prima i soldi…prima di cena…avremmo tagliato la corda ed il Commendatore, così
riportava il biglietto da visita, ma noi non conoscevamo il significato della
parola, non ci avrebbe più visto! Noi
ragazzi aspettammo, seduti sopra ad un muretto, le ore venti osservando un
grande orologio appeso ad un muro di fronte a noi. Ci presentammo puntuali, ci
fecero accomodare in una saletta dove un lungo tavolo era apparecchiato e sopra
vedemmo il nostro pane. Arrivarono i commensali, tutti vestiti elegantemente a
differenza di noi che non avevamo abiti adatti, ma avevamo il pane, la gioventù
e il tandem! Fu offerto un aperitivo in piedi e, mentre gli ospiti parlavano di
tutto, noi ragazzi facemmo gruppo da
soli. Finalmente tutti a tavola e
finalmente ci rilassammo in quanto nessuno faceva attenzione a noi.
L’attenzione di tutti era rivolta al pane, oggetto di ovazioni. Furono serviti
un risotto di pesce prima e pesce
bollito per secondo. Al momento della frutta ci trovammo in difficoltà e
nessuno di noi la mangiò: non avevamo mai usato le posate per pulire la frutta
e ci giustificammo dicendo che ogni giorno potevamo averne a volontà.
Nel frattempo si era fatta notte
e quando Mario propose di avviarci verso
casa il Commendatore gli diede cento lire e ci disse che l’Hotel ci aveva messo
a disposizione un motocarro, parcheggiato all’esterno, per riportarci a casa.
Caricammo nel cassone le biciclette, il tandem e durante il tragitto ognuno
raccontava le proprie emozioni e si rideva a crepapelle. Giunti a casa Mario
volle dividere il danaro fra tutti noi, ad ogni costo.
Quella fu l’ultima estate che trascorremmo con
gioia e sonore risate.
Alla fine del 1943 non si rise più e nel 1944,
con il “Decreto Graziani”, si dovettero prendere decisioni importanti.
Mario Guerra, per sfuggire ad una
eventuale fucilazione, andò coi Partigiani sulle montagne
emiliano-romagnole dove, in uno scontro
con la brigata nera, fu ferito e, portato a Bologna, venne fucilato.
Anch’io dovetti andarmene di casa per non
essere preso e subire la stessa sorte di Mario (Giovanni Pulini, Aprile 2015).
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