Alcune foto e documenti, un paio
di aneddoti e tanti ricordi
di Agide Vandini
Qualche settimana
fa, grazie all’«Irôla», ho avuto il piacere di ricevere via mail questa inaspettata
missiva:
Gentile Signor Vandini,
che bella emozione mi ha fatto
vivere questa sera!
Mi capita di cercare immagini del
paese di origine del mio nonno Vincenzo, questo paesino dal nome romantico e
abitato da gente solare, socievole, divertente così come era il mio splendido
papà e le sue poche zie che ho fatto in tempo a conoscere. Questa sera entro
per la prima volta nel suo blog e cosa leggo? Casa di Annunziata
Bosi! Sarà mica lei, la sorella del mio bisnonno Giovanni? Io sono Grazia,
figlia di Marino, figlio di Vincenzo fratello di Amerigo, Marcello, Marino,
Geppe, Ermes, Merope figli di Giovanni e Genoveffa. Mio nonno e i suoi
fratelli si trasferirono prima a Bologna e poi Milano dove nel 1932 nacque mio
papà. Ora lui non è più qui per raccontarmi bene i fatti, quello che ricordo è
che a Filo rimase solo Annunziatina. Credo vivesse sola perché ricordo che
in non so quale preciso anno (tra il ‘65 e il ‘70) la zia Merope
tornò a vivere a Filo per accudirla dopo una caduta che la immobilizzò a letto
con un bel femore rotto. Morì nel 1970, Merope tornò a Milano e la casa venne
venduta. Questo è quanto so. Mi piacerebbe sapere se parliamo della stessa
famiglia Bosi e se qualcuno se li ricorda mi farebbe davvero felice saperlo,
anche solo con un "sì, li ricordo, era gente di Filo".
Un
caloroso saluto. Maria Grazia
Ne è seguita una bella
corrispondenza che mi ha permesso di venire in possesso di alcune foto del
vecchio paese di Filo, alcune delle quali assolutamente inedite e di
riscoprire, grazie a qualche testimonianza, ai ricordi di mia sorella Carla e
alle preziose ricerche anagrafiche dell’amico Beniamino Carlotti, un
personaggio che nel paese ebbe notevole importanza, una donna che non è mai
stata dimenticata e che un tempo fu un volto assai familiare per tutti noi.
°°°
Annunziata Bosi
(1874-1970)
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Si chiamava Annunziata Bosi, ma
per noi era la Nuziadina oppure,
con palese riferimento alle ascendenze paterne, semplicemente la Vizinzóna, la figlia cioè di Vizinzòn. Ai tempi della mia infanzia
era una vispa vecchietta dai capelli bianchissimi, una donna dai modi garbati
e signorili che viveva sola e risiedeva nella casa forse più centrale del
paese. La sua abitazione e bottega, abbattuta negli anni ’70, che più sotto
rivediamo in una inedita cartolina, era di assai antica costruzione e nel
dopoguerra dominava ancora uno dei quattro angoli dell’incrocio principale di
Filo, poiché miracolosamente scampata ai bombardamenti dell’aprile del ‘45
così come il Palazzone, la Caserma, la Chiesa, la Cà Longa e i vecchi Vagoni.
Viveva di affitti, la Nuziadina, e degli introiti di una
piccola bottega di cibarie e trastulli di ogni genere. Presso di lei io e
Romeo, ancora fanciulli, ci riempimmo un giorno le tasche con decine di bumbèt, rumorose castagnole
carnevalesche avvolte e annodate in carta da pacchi, con l’intenzione di
farle scoppiare tutte, per la gioia nostra e dei vicini, gustando dal vero
certe sparatorie fin lì udite soltanto nei film western. Vuotammo poi le
tasche, lo ricordo bene, al massimo della gioia e del divertimento, nelle
profondità pantanose del fosso che scorreva davanti a casa, scagliando al bumbèt, una dopo l’altra, contro la
fiancata del ponticello che introduceva al nostro cortile, quello della prima
delle due Case Operaie da poco
costruite ai margini del paese.
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Oltre alla sua bottega, nella
casa della Vizinzóna ebbe vita, al
piano superiore, quello che dà sulla strada Provinciale, e’ spazi d’Avgéa e nel dopoguerra il bar gelateria ad Taròz (Irpio Tarozzi); questi lasciò poi
il posto alla merceria di Nella e Nello Bonora che al piano inferiore ebbero la
loro abitazione ed esercitarono anche come parrucchieri. Lì avevano vissuto per
anni anche le famiglie Bianca Ravaglia e di Alba Guerrini, mentre, in anni più
recenti, Pirèñ Tagliati vi produsse i
mitici coni che poi forniva alle gelaterie di Filo e dintorni.
La casa dell’Annunziatina in primo
piano nella cartolina fine anni ’60 avuta dalla gentile Maria Grazia Bosi.
A fianco sono già state costruite
la case Montanari-Vandini (1959) e Sergio Dalle Vacche (1969).
Attorno alla sua casa sorgevano
gli edifici più frequentati del paese. Agli altri tre angoli dell’incrocio
stavano la Caserma dei Carabinieri, proprio di fronte, e poi l’osteria di Benàs[1],
frequentatissima dai fascisti locali e infine le vecchie scuole elementari, al
posto delle quali sorse poi nel dopoguerra la Casa del Popolo.
La vita sola tutta casa e chiesa,
di questa donna così devota, era perciò sotto gli occhi di tutto un paese. La
sua discrezione, i modi e le frequentazioni che evocavano un certo rango, l’apparenza
di donna benestante, oltre ad una qualche distinzione sociale che pareva comunicare
al prossimo in anni di difficile sopravvivenza per i ceti più poveri, fecero
sempre di lei un personaggio al centro dei commenti, della curiosità tipica
delle piccole comunità, nonché di attenzioni esagerate e, a volte, di imprese
epiche (ma assai poco cavalleresche) della monelleria paesana.
L’amico Pippi (Aderitto Geminiani, un ragazzino del dopoguerra) che oggi
vive lontano da Filo, ma che ci è sempre vicino col cuore e con la mente,
ricorda in proposito: «… dalla Nunziatina
si radunava nelle sera d'estate la “Filo - bene”, nella fattispecie: Max
Barabani, il fratello Lodovico, il parroco, le suore, il brigadiere. Si può
dire che fosse un salotto alla Marta Marzotto[2]. Aveva una nipote di nome Merope di Milano (per
me allora gran bella ragazza e molti mosconi le ronzavano attorno, o almeno mi
sembrava, ma sai io ero un bambino e molte cose forse le vedevo distorte).
L’anziana donna era in eterno conflitto con Scurza (ovvero Bruno Veduti)
fratello di Lina. Lui si divertiva a fargli i dispetti più disparati. Era
cattolica praticante e me la ricordo la domenica, alla Messa con un gran
rossetto sulle labbra e un cappellino che noi discoli non potevamo fare a meno
di commentare. Era una foggia da comica di Ridolini e a noi, appunto, faceva
tanto ridere. Di fianco al suo negozio c'era il bar di Tarozzi, zio di
Giovannino, e lì, nei suoi confronti, ne succedevano sempre di tutti colori,
ovviamente con grande disapprovazione degli adulti che frequentavano il bar […]».
Di corredo a queste note mi pare
perciò giusto riportare il gustoso aneddoto che mi fu raccontato dal mitico Manëla (Aldo Tirapani), un piccolo
spaccato di vita paesana che andò doverosamente a far parte di «Quei lontani
anni ‘30», racconto che, assieme ad altri, compone «La valle che non c’è più»,
mio ultimo libro pubblicato.
L’attacco alla vigna della Vizinzona
[A.Vandini,
La valle che non c’è più, Faenza,
Edit, 2006, pp. 77-78]
[…] L’altro punto di attrazione
di questi giovinastri si trovava invece al centro del paese, e quindi sotto
gli occhi di tutti i filesi. Si trattava, come si è già detto, della pregiata
vigna della Vizinzóna.
Pare che ci fossero viti d’uva
particolarmente prelibata in quel piccolo vigneto posto lungo la strada per
Bando, proprio al lato opposto alla scuola, l’edificio che, prima delle
distruzioni belliche, era al posto ove oggi trovasi la Casa del Popolo della
frazione argentana.
Questa vigna era talmente a
portata dei malintenzionati che la povera Vinzinzóna
aveva chiesto a Dante dla Fiucheta[3],
ortolano della potente famiglia dei Tamba, suoi vicini, di piazzare nei pochi
filari a ridosso della strada, una serie di grossi campanelli in grado di
dare l’allarme ad ogni minimo movimento delle fronde.
Lei poi, la devotissima e
caritatevole vecchietta chiamata Vizinzóna,
assidua frequentatrice della canonica, si era munita di alcuni secchi di
gelida acqua del suo pozzo e li teneva sempre a portata di mano ai piani
superiori ove abitava, nella prospettiva di usarli come mezzo di dissuasione
verso chi avesse mai pensato di attaccare il suo prezioso vigneto.
Ci pensò però Salamen, un ragazzo che incontreremo
ancora e che era come al sët cap o al
sët pest dla Varsiria[4],
a trovare le opportune contromisure da opporre alla Vizinzóna.
Una sera il ragazzotto diede
infatti appuntamento presso la scuola all’agguerrita banda dei suoi coetanei
e si portò dietro qualche pezzo di filo di ferro utilizzato in casa per
imballare la paglia. Tutti gli spezzoni furono giuntati e il lungo filo così
ottenuto fu legato alla vigna; a quel punto fu messo in tensione e dispiegato
a cavallo della strada. Quando tutto fu pronto, dall’angolo della scuola, nel
buio pesto, si cominciò a strattonare con forza il lunghissimo fil di ferro.
Non appena la Vizinzóna udì il frastuono dei
campanelli, capì che non c’era da perder tempo e che doveva mettere in atto
l’azione difensiva a lungo preparata. Con gran sciabordio di recipienti
scaricò senza pietà gran parte della sua forza dissuasiva, convinta in tal
modo di spegnere l’assalto sul nascere. Il tintinnio non tardò però a
ripetersi per alcune volte ad intervalli di pochi minuti e questo continuò,
fino all’inevitabile esaurirsi delle scorte d’acqua di pozzo della pugnace e
previdente vecchietta.
Va da sé che, dall’angolo della
scuola, non appena ci si accorse che lo scuotere dei campanelli non era più
seguito da alcuno scroscio d’acqua, i nostri eroi presero d’assalto la vigna
della Vizinzóna come assatanati
pirati della Malesia e per quell’anno, la donna non poté nemmeno conoscere il
sapore dei suoi frutti […].
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19 agosto 1973. Merope, già
anziana, sulla porta dell’abitazione dell’Annunziatina. Si
noti in alto, nella parete della casa, l’indicazione «Salumificio»,
un’attività che ebbe luogo in quegli anni nella ex Macelleria Carlotti. La foto fu scattata da Vanni Geminiani in occasione del matrimonio fra Sergio Bortolotti e Denis Dal Pozzo.
Va aggiunto che un certo
mistero aleggiò sempre sulla donna e sul suo passato sentimentale. Si
raccontava, forse con qualche fantasia di troppo, di un vecchio matrimonio
con un brigadiere di stanza a Filo miseramente fallito per motivi poco chiari.
Si diceva persino che la donna,
decisa a stanare finalmente il marito soggetto forse a troppi trasferimenti
da un capo all’altro dell’Italia, fosse andata un giorno fino a casa sua nel
lontano Piemonte e che le aprisse addirittura la porta un figlio di lui di
cui lei, la Nuziadina, non aveva
mai sospettato l’esistenza.
Difficile avere riscontro oggi
su questi aspetti romanzeschi, ma qualcosa i registri parrocchiali ci dicono
ancora e con l’aiuto dell’esperto Beniamino si è ricostruita una storia
familiare interessantissima che, assieme alle radici familiari della nostra
vecchietta, ci aiuta a ripercorrere e comprendere meglio quella di questo piccolo
paese fra Ottocento e Novecento.
Facciamo però un passo indietro
e torniamo al chiacchierato matrimonio dell’Annunziatina che, alla bella età
di 47 anni, effettivamente ci fu e si tenne nella nostra parrocchia di
S.Agata. Era il 6 ottobre dell’anno 1921, quando lei sposò il 48enne dirimpettaio
brigadiere Liprando Desiderio, figlio di ignoti e proveniente da Roppolo, un piccolissimo
comune della provincia biellese. Beniamino me ne ha fornito una foto
giovanile in abiti civili.
Il matrimonio ebbe per testimoni
esponenti dell’alta borghesia filese, ossia Carlo Ginnasi (ancora ricordato
come e’ Cónt Ginëši) e niente meno
che Giovanni Tamba, vicino di casa e facoltoso agrario del luogo, capo di una
famiglia con cui i Bosi erano alquanto legati, e con cui Nunziatina ebbe
sempre intense frequentazioni. Lì era amata e conosciuta come: «la Dada».
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Parrocchia di S.Agata in Filo - Libro
Matrimoni 1921, pag. 19
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Desiderio
Liprando
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Questo è quanto Beniamino è riuscito ad
attingere dai suoi ricordi, ovvero quanto in sostanza gli raccontò la madre
Gemma Vandini, prestigiosa insegnante alle scuole di Filo per tantissimi anni,
che conobbe assai bene la Nuziadina. L’affinità
e l’intensa frequentazione familiare coi Tamba poteva forse provenire - come
vedremo - dal matrimonio del fratello Giovanni.
In ogni caso, ritornando al turbolento
distacco matrimoniale, pare proprio che l’Annunziatina fosse un personaggio assai
poco addomesticabile, restia perciò a subire una qualsiasi imposizione familiare;
allo stesso tempo, l'amicizia coi Tamba era forse tale da impedirle di allontanarsi
da Filo.
Gli atti e i registri della parrocchia ci
consentono comunque una ricostruzione familiare assai interessante che ben
s’inquadra nel flusso demografico che popolò notevolmente il paese lungo tutto l’arco
dell’Ottocento. Questo flusso provenne essenzialmente dalla vicina Romagna
estense, dal lughese e dal conselicese, diretto ai luoghi in cui, per effetto
dei grandi lavori settecenteschi di rettificazione fluviale e, in seguito,
della bonificazione di svariati ettari di territorio, si venne a creare in
pochi anni tanta terra da lavorare e tante possibilità, di lavoro e di cibo,
per braccianti e contadini.
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Annunziatina, che deve il nome alla nonna
paterna (Annunziata Baroni) è nata da poco (1874) quando (1876) la sua famiglia,
proveniente dalla vicina Lavezzola (e ancor prima da San Bernardino), viene
annotata per la prima volta nello «Stato delle Anime» della nostra parrocchia.
Il padre Vincenzo vi è indicato come “Oste”, sia di soprannome che di mestiere,
così come la madre Giuseppa Budini, la zia Marianna Bosi e il fratellino
maggiore Giovanni. Annunziatina raggiunge la famiglia a Filo più tardi, all’età
di 5 anni, quando ormai non c’è più la zia Marianna, forse trasferitasi
altrove.
Parrocchia di S.Agata in Filo –
Stato delle Anime anno 1878
Bosi Vincenzo (di Pietro) (1841-1924)
Budini Giuseppina (1840-1908)
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La famiglia cresce e si
ingrandisce quando l’11.2.1892 Giovanni Bosi sposa nella chiesa di Filo
Genoveffa Canini detta Giuseppa (A Domo
Dei), orfanella che vive a Filo, probabilmente al servizio dei Tamba, e -
come si vedrà - già in avanzato stato di gravidanza al momento del matrimonio.
Parrocchia di S.Agata in Filo – Libro
Matrimoni anno 1892
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Dall’unione nascono a Filo
tanti bei figli, tutti quelli ricordati nel gentile messaggio della
discendente Maria Grazia, ossia nell’ordine: Marino (28 marzo 1892, poche
settimane dopo il matrimonio), Amerigo (12 giugno 1893), Ermes (17 dicembre
1894), Vincenzo (27 maggio 1897)[5]
e poi ancora Marcello, Geppe e Merope.
Alla morte di mamma Giuseppina (1908)
Annunziatina ha 34 anni; vive con la famiglia del fratello e con l’anziano
padre Vincenzo. Presumibilmente questa convivenza continua fino alla perdita del
genitore che muore in tarda età, nel 1924, tre anni dopo lo sfortunato
matrimonio del 1921.
I fratelli in quegli anni si
spostano in massa in città, prima a Bologna, poi a Milano, lei invece sceglie
di rimanere qui, anche quando se ne vanno i Tamba la cui villa viene
letteralmente spazzata via dalla guerra. Al suo posto si edificano le attuali
scuole Elementari e viene tracciata una strada parallela alla Provinciale che si
interpone fra le due proprietà dando accesso alla “Corea”, nuovo quartiere
popolare di Filo. Lei, già anziana, rimane qui, fedele per tutta la vita al
paese ove è cresciuta e vissuta, fino a che la morte la coglie nel 1970, alla
veneranda età di 96 anni.
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Vanni Geminiani mi ha procurato
un paio di foto interessanti segnalandomi un gesto di grande portata di cui fu
protagonista la nostra Annunziatina al tempo di guerra, l’8 settembre del 1944,
data ahimè quanto mai luttuosa per il nostro paesino e che qui porta subito alla
mente l’«eccidio di Filo» perpetrato ad un anno esatto dall’armistizio di
Badoglio (8 settembre 1943), evento che aveva segnato la fine della guerra a
fianco dei tedeschi e l’inizio della Resistenza nell’Italia da essi occupata.
Fu una efferata esecuzione nazi-fascista quella furiosamente decretata contro i
filesi: furono trucidati dieci ostaggi per rappresaglia allorché, in uno
scontro a fuoco coi partigiani proprio sotto casa Tamba, era caduto, la sera
prima, un militare tedesco.
Come si sa le SS germaniche
prelevarono subito dalle loro case una quarantina di filesi innocenti, semplici
avventori dl’Ustareia dla Bianca (oggi
Bar Centrale) e li caricarono su un camion diretto ad Argenta, alla Casa del
Fascio. Lì furono decisi i dieci nomi di chi doveva pagare con la vita, nonché i
luoghi accuratamente scelti per l’esecuzione affinché i cadaveri fungessero da
monito per tutto il circondario; fu anche decisa la mano del boia, messa proditoriamente
a disposizione dagli sgherri repubblichini.
Il camion ripartì per Filo, all’indomani,
con tutti gli ostaggi. Di questi, i primi cinque dell’elenco stilato ad Argenta
furono scaricati e trucidati a metà strada, sull’importante snodo stradale del
Ponte della Bastia; gli altri cinque subirono la stessa sorte all’incrocio di
Filo, laddove inizia la strada per Bando, a pochi passi dal luogo dello scontro
a fuoco e nelle adiacenze della casa della Vizinzóna.
Fu un evento sanguinoso e tragico, oggi
ricordato dalla toponomastica locale e da due cippi alla memoria posti sui
luoghi dell’accaduto, uno dei quali, in marmo bianco, lo si nota in basso nella
cartolina qui pubblicata.
Si racconta
che quel giorno funesto, all’arrivo della camionetta, mentre tutto il paese si era
barricato in casa in preda al terrore, la settantenne Annunziatina dalla propria
soglia, di fronte alla scena di spietata ferocia che le si stava materializzando
sotto gli occhi, abbia cercato di intervenire a modo suo implorando ed inveendo
verso gli aguzzini affinché rilasciassero quei poveri uomini e «che pòvar tabàc» [il ventenne e renitente
alla leva Giorgio Marconi, la cui madre assisteva disperata dalla propria
finestra poco distante], tutte persone che non avevano nulla a che vedere con
quanto successo.
Allorché gli
sgherri spararono senza pietà sul giovane Giorgio Marconi e dopo che il primo colpo
mancò miracolosamente il bersaglio, la piccola, anziana e religiosa signora fu udita
urlare a squarciagola: «basta basta, a n’avdì
ch’l’è incóra un tabàc e ch’l’è banadèt da la Madöna?»[Fermatevi! Non
vedete che è ancora un ragazzo e che è benedetto dalla Madonna?]
La povera
donna non riuscì purtroppo ad interrompere la macabra esecuzione, fu anzi
vigliaccamente percossa e minacciata di morte mentre i feroci aguzzini portavano
a termine, senza titubanza alcuna, cotanta carneficina.
Oggi, a molti anni di distanza, lo slancio
generoso della Nuziadina rimane una
bella testimonianza di coraggio e di altruismo, uno dei tanti di cui fu
protagonista la gente di Filo in quegli anni così difficili. Prima che scenda
ancor più l’oblio del tempo, mi pare giusto, nell’ambito di un amarcord come questo, che un gesto come il
suo di cui si è sempre parlato pochissimo, sia finalmente portato alla
conoscenza di tutti.
«La Dada» Annunziatina Bosi, a metà anni ’30 coi figli di Antonio (Nino) Tamba: Giovanna,
classe 1928
e Gabriele, classe 1929. (Foto donata da Vanni
Geminiani)
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La demolizione, negli anni ’70,
della vecchia
casa della Nuziadina
(Foto donata e scattata da Vanni Geminiani)
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Nel
suo amato paese, dunque, l’Annunziatina, nella buona come nella cattiva sorte, visse
tutti i suoi lunghi anni sempre con grande dignità e carattere, anche quando
una brutta frattura del femore la costrinse, ahimè, a farsi assistere dalla
nipote Merope, che così poté tornare a trascorrere qualche anno nel paese natio.
Che dire? Fu davvero uno spirito
indomito la Nuziadina o, per dirla in
altro modo (rivolto idealmente alla gentile discendente): come si potrebbe mai
dimenticare, a Filo, una donna ferrea e coraggiosa quanto la Vizinzóna?
(cliccare sulle immagini per vederle a grandezza video)
[1] Ovvero di
Battista Benassi. Al posto di questa osteria nel dopoguerra si insediò la
vecchia tabaccheria di Topolino (Giuanèñ) Guidarini, poi di Elio Marani.
Allo spostamento della tabaccheria nell’angolo ove sorgeva la vecchia Caserma, il
locale divenne la bottega di Alvio Ghirardini che la gestisce tuttora.
[2] Presso
l’Annunziatina, soprattutto per chiederne illuminato consiglio, pare si recassero
talvolta anche altri nostri stimati concittadini come Ibanez Bellettini (e’ Baròñ), Sergio Dalle Vacche (Sérgio d Gnani), Elio Marani, Gino
Pasotti (Girulì) e Ciudëla.
[3] Si tratta di Dante
Mezzoli (di Raffaele e Dathiva Farabulini - Filo 1866 / Mezzano 1946 -). La Fiucheta, ovvero Pasqua Minguzzi (Voltana 1895 / Mezzano 1985), assai nota in
paese, era la moglie del figlio di Dante.
[4] Terribile come
le sette conchiglie o come le sette orme della diavolessa Varsiria, per dirla
in breve: uno scapestrato.
[5] Questi, nonno
della nostra Maria Grazia, risulta dai nostri registri parrocchiali aver
sposato Bianchi Maria nella parrocchia di Santo Stefano Maggiore in Milano il
27 ottobre dell’anno 1929.
5 commenti:
Da Maria Grazia Bosi; 29.7.2013
Buona sera Signor Agide,
cosa posso dire, l'articolo è bellissimo, preciso riguardo alle poche cose di mia conoscenza, e pieno di tante meravigliose novità.
Sono sempre più orgogliosa delle mie origini filesi, e di questa zia Annunziatina con cappellino, rossetto e poca voglia di legare il suo cuore
come del resto Merope, Marcello, Amerigo che non si sono mai sposati e mio nonno Vincenzo che si separò dalla nonna per tornare
a vivere in casa con i suoi fratelli.
Mi piace farle sapere che io, classe 1972 e i miei fratelli, Vincenzo '65, Luigi '69, Paolo '71, siamo gli ultimi discendenti di questa bella
famiglia e per tutti noi leggere ciò che lei ha dedicato ai nostri avi è stata una grande emozione.
Mio Papà ne sarebbe stato felicissimo.
La ringraziamo di cuore.
Famiglia Bosi
Ciao Agide.
Da Filese che lavora all'estero ogni tanto ritorno a filo grazie al tu blog.
La Nunziadina mori che io avevo 17 anni ma la ricordo vagamente.
Puoi confermarmi se , oltre al salotto "alla Marzotto" dava ospitalita anche ad una callista che esercitava sporadicamente a Filo.
Ti chiedo questo in quanto , quei gradini davanti a casa mi hanno dato il flash.
Ciao e saluti anche ai componenti la famiglia Bosi .
Cordialmente
Gianni Galamini
Una piccola precisazione, il "Ciudéla" di cui alla nota nr.2, si tratta di Nino Gennari (Filo1930 - Filo 1989), figlio di Peppino e nipote di Rodolfo Gennari, grandissimi fabbri ed armaioli con officina e bottega a Filo in località Molino. Nino era per altro pronipote di Teresa Toschi della famiglia dei Zanotti e Toschi di S.Maria in Fabriago, storici armaioli della romagna estense. Dopo una precisazione facciamo una trasgrssione al filo logico dell'articolo sul blog, di cui in ultimo se ne capirà la ragione. Casa Gennari tra fine ottocento ed i primi del novecento era frequentata da tutta l'aristocrazia di Lugo, Imola (e’ Cónt Ginëši viveva praticamente a Filo in casa Gennari) e Ravenna, ove risiedevano per lunghi periodi nell'inverno quale base d'appoggio per le battute di caccia invernali in valle. Risiedevano "a duzéna" (ovvero a pensione, diremmo oggi), Rodolfo ed i figli Peppino e Renato oltre all'assistenza alle armi, li accompagnavano con le "batane" in valle. Al ritorno, il carniere veniva suddiviso fra tutti i partecipanti (il "rastrello" richiedeva numerosi partecipanti, che dovevano lavorare in perfetta sintonia fra di loro e con la barca dei cacciatori) ed i poveri di Filo. Una piccola storia, un piccolo spaccato di filesità che và deve essere ricordato, ed anche perchè, mia nonna materna Terzilla Gennari era sorella di Rodolfo, pertanto con orgoglio la cosa mi coinvolge personalmente.
Benny
Da: aderitto geminiani, 6 ago 2013
Ciao Agide,
ho letto attentamente con piacere e con angoscia, il racconto di quell'8 settembre. Mi ha lasciato sgomento. Avevo dimenticato il particolare forse piu' importante e nobile della sig.a Nunziatina.Ricordo perfettamente quel tragico pomeriggio perché io l'ho vissuto abbastanza da vicino, abitando nel Palazzone, sopra il forno di Jàcum (Giacomo Rossi). Mia madre e mia nonna Clotilde stavano dietro la finestra semichiusa,c'era un silenzio di tomba. Nell'edificio abitavamo in 15 famiglie ed eravamo tutte chiuse in casa. La finestra che dava sulla strada arrivava fino al pavimento ed avendo, per protezione una ringhiera con dei tondini, non mi permetteva di passare con la testa. Avevo da poco compiuto 6 anni e il primo colpo mi fece prendere una gran paura, mi ritirai e mi misi a piangere assieme alle donne. Di uomini neanche l'ombra; anni dopo capìi il perché. So solo che la barbarie nazi-fascista ha lasciato in me un ricordo indelebile che nulla potrà cancellare. Tutte le volte che, negli anni del dopoguerra, leggevo la locandina "Campo sportivo Giorgio Marconi", mi tornava in mente quel tragico giorno e quel giovane ragazzo che ha pagato con la vita la follia di bestie maledette finite nella storia piu' nera della razza umana. Scusa dello sfogo ti abbraccio e ti saluto. Grazie. Pippi
Caro Pippi,non ti conosco personalmente e mi complimento con te per la lucida descrizione disumana vissuta nel dramma esposto da Agide.Per quanto riguarda la locandina ,credimi,i tuoi pensieri nel leggerla erano anche i mei e penso di tantissimi altri Filesi.Se sei Pippi ,il mitico calciatore,avrei un saluto da farti,da Filese a Filese da parte del compianto Arnaldo Pantani,dal lontano 1969,non ci siamo mai incontrati ,non e'troppo tardi. Saluti marco
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