martedì 30 luglio 2013

I vecchi tempi della Vizinzóna...



Alcune foto e documenti, un paio di aneddoti e tanti ricordi
di Agide Vandini


Qualche settimana fa, grazie all’«Irôla», ho avuto il piacere di ricevere via mail questa inaspettata missiva:

Gentile Signor Vandini,
che bella emozione mi ha fatto vivere questa sera!
Mi capita di cercare immagini del paese di origine del mio nonno Vincenzo, questo paesino dal nome romantico e abitato da gente solare, socievole, divertente così come era il mio splendido papà e le sue poche zie che ho fatto in tempo a conoscere. Questa sera entro per la prima volta nel suo blog e cosa leggo? Casa di Annunziata Bosi! Sarà mica lei, la sorella del mio bisnonno Giovanni? Io sono Grazia, figlia di Marino, figlio di Vincenzo fratello di Amerigo, Marcello, Marino, Geppe, Ermes, Merope figli di Giovanni e  Genoveffa. Mio nonno e i suoi fratelli si trasferirono prima a Bologna e poi Milano dove nel 1932 nacque mio papà. Ora lui non è più qui per raccontarmi bene i fatti, quello che ricordo è che a Filo rimase solo Annunziatina. Credo vivesse sola perché ricordo che in non so quale preciso anno (tra il ‘65 e il ‘70) la zia Merope tornò a vivere a Filo per accudirla dopo una caduta che la immobilizzò a letto con un bel femore rotto. Morì nel 1970, Merope tornò a Milano e la casa venne venduta. Questo è quanto so. Mi piacerebbe sapere se parliamo della stessa famiglia Bosi e se qualcuno se li ricorda mi farebbe davvero felice saperlo, anche solo con un "sì, li ricordo, era gente di Filo". 
                                                               Un caloroso saluto. Maria Grazia

Ne è seguita una bella corrispondenza che mi ha permesso di venire in possesso di alcune foto del vecchio paese di Filo, alcune delle quali assolutamente inedite e di riscoprire, grazie a qualche testimonianza, ai ricordi di mia sorella Carla e alle preziose ricerche anagrafiche dell’amico Beniamino Carlotti, un personaggio che nel paese ebbe notevole importanza, una donna che non è mai stata dimenticata e che un tempo fu un volto assai familiare per tutti noi.
°°°




Annunziata Bosi
(1874-1970)
Si chiamava Annunziata Bosi, ma per noi era la Nuziadina oppure, con palese riferimento alle ascendenze paterne, semplicemente la Vizinzóna, la figlia cioè di Vizinzòn. Ai tempi della mia infanzia era una vispa vecchietta dai capelli bianchissimi, una donna dai modi garbati e signorili che viveva sola e risiedeva nella casa forse più centrale del paese. La sua abitazione e bottega, abbattuta negli anni ’70, che più sotto rivediamo in una inedita cartolina, era di assai antica costruzione e nel dopoguerra dominava ancora uno dei quattro angoli dell’incrocio principale di Filo, poiché miracolosamente scampata ai bombardamenti dell’aprile del ‘45 così come il Palazzone, la Caserma, la Chiesa, la Cà Longa e i vecchi Vagoni.

Viveva di affitti, la Nuziadina, e degli introiti di una piccola bottega di cibarie e trastulli di ogni genere. Presso di lei io e Romeo, ancora fanciulli, ci riempimmo un giorno le tasche con decine di bumbèt, rumorose castagnole carnevalesche avvolte e annodate in carta da pacchi, con l’intenzione di farle scoppiare tutte, per la gioia nostra e dei vicini, gustando dal vero certe sparatorie fin lì udite soltanto nei film western. Vuotammo poi le tasche, lo ricordo bene, al massimo della gioia e del divertimento, nelle profondità pantanose del fosso che scorreva davanti a casa, scagliando al bumbèt, una dopo l’altra, contro la fiancata del ponticello che introduceva al nostro cortile, quello della prima delle due Case Operaie da poco costruite ai margini del paese.


Oltre alla sua bottega, nella casa della Vizinzóna ebbe vita, al piano superiore, quello che dà sulla strada Provinciale, e’ spazi d’Avgéa e nel dopoguerra il bar gelateria ad Taròz (Irpio Tarozzi); questi lasciò poi il posto alla merceria di Nella e Nello Bonora che al piano inferiore ebbero la loro abitazione ed esercitarono anche come parrucchieri. Lì avevano vissuto per anni anche le famiglie Bianca Ravaglia e di Alba Guerrini, mentre, in anni più recenti, Pirèñ Tagliati vi produsse i mitici coni che poi forniva alle gelaterie di Filo e dintorni. 
 La casa dell’Annunziatina in primo piano nella cartolina fine anni ’60 avuta dalla gentile Maria Grazia Bosi.
A fianco sono già state costruite la case Montanari-Vandini (1959) e Sergio Dalle Vacche (1969).

Attorno alla sua casa sorgevano gli edifici più frequentati del paese. Agli altri tre angoli dell’incrocio stavano la Caserma dei Carabinieri, proprio di fronte, e poi l’osteria di Benàs[1], frequentatissima dai fascisti locali e infine le vecchie scuole elementari, al posto delle quali sorse poi nel dopoguerra la Casa del Popolo.

La vita sola tutta casa e chiesa, di questa donna così devota, era perciò sotto gli occhi di tutto un paese. La sua discrezione, i modi e le frequentazioni che evocavano un certo rango, l’apparenza di donna benestante, oltre ad una qualche distinzione sociale che pareva comunicare al prossimo in anni di difficile sopravvivenza per i ceti più poveri, fecero sempre di lei un personaggio al centro dei commenti, della curiosità tipica delle piccole comunità, nonché di attenzioni esagerate e, a volte, di imprese epiche (ma assai poco cavalleresche) della monelleria paesana.

L’amico Pippi (Aderitto Geminiani, un ragazzino del dopoguerra) che oggi vive lontano da Filo, ma che ci è sempre vicino col cuore e con la mente, ricorda in proposito: «… dalla Nunziatina si radunava nelle sera d'estate la “Filo - bene”, nella fattispecie: Max Barabani, il fratello Lodovico, il parroco, le suore, il brigadiere. Si può dire che fosse un salotto alla Marta Marzotto[2]. Aveva una nipote di nome Merope di Milano (per me allora gran bella ragazza e molti mosconi le ronzavano attorno, o almeno mi sembrava, ma sai io ero un bambino e molte cose forse le vedevo distorte). L’anziana donna era in eterno conflitto con Scurza (ovvero Bruno Veduti) fratello di Lina. Lui si divertiva a fargli i dispetti più disparati. Era cattolica praticante e me la ricordo la domenica, alla Messa con un gran rossetto sulle labbra e un cappellino che noi discoli non potevamo fare a meno di commentare. Era una foggia da comica di Ridolini e a noi, appunto, faceva tanto ridere. Di fianco al suo negozio c'era il bar di Tarozzi, zio di Giovannino, e lì, nei suoi confronti, ne succedevano sempre di tutti colori, ovviamente con grande disapprovazione degli adulti che frequentavano il bar […]».

Di corredo a queste note mi pare perciò giusto riportare il gustoso aneddoto che mi fu raccontato dal mitico Manëla (Aldo Tirapani), un piccolo spaccato di vita paesana che andò doverosamente a far parte di «Quei lontani anni ‘30», racconto che, assieme ad altri, compone «La valle che non c’è più», mio ultimo libro pubblicato.







L’attacco alla vigna della Vizinzona
[A.Vandini, La valle che non c’è più, Faenza, Edit, 2006, pp. 77-78]


[…] L’altro punto di attrazione di questi giovinastri si trovava invece al centro del paese, e quindi sotto gli occhi di tutti i filesi. Si trattava, come si è già detto, della pregiata vigna della Vizinzóna.

Pare che ci fossero viti d’uva particolarmente prelibata in quel piccolo vigneto posto lungo la strada per Bando, proprio al lato opposto alla scuola, l’edificio che, prima delle distruzioni belliche, era al posto ove oggi trovasi la Casa del Popolo della frazione argentana.

Questa vigna era talmente a portata dei malintenzionati che la povera Vinzinzóna aveva chiesto a Dante dla Fiucheta[3], ortolano della potente famiglia dei Tamba, suoi vicini, di piazzare nei pochi filari a ridosso della strada, una serie di grossi campanelli in grado di dare l’allarme ad ogni minimo movimento delle fronde.

Lei poi, la devotissima e caritatevole vecchietta chiamata Vizinzóna, assidua frequentatrice della canonica, si era munita di alcuni secchi di gelida acqua del suo pozzo e li teneva sempre a portata di mano ai piani superiori ove abitava, nella prospettiva di usarli come mezzo di dissuasione verso chi avesse mai pensato di attaccare il suo prezioso vigneto.

Ci pensò però Salamen, un ragazzo che incontreremo ancora e che era come al sët cap o al sët pest dla Varsiria[4], a trovare le opportune contromisure da opporre alla Vizinzóna.

Una sera il ragazzotto diede infatti appuntamento presso la scuola all’agguerrita banda dei suoi coetanei e si portò dietro qualche pezzo di filo di ferro utilizzato in casa per imballare la paglia. Tutti gli spezzoni furono giuntati e il lungo filo così ottenuto fu legato alla vigna; a quel punto fu messo in tensione e dispiegato a cavallo della strada. Quando tutto fu pronto, dall’angolo della scuola, nel buio pesto, si cominciò a strattonare con forza il lunghissimo fil di ferro.

Non appena la Vizinzóna udì il frastuono dei campanelli, capì che non c’era da perder tempo e che doveva mettere in atto l’azione difensiva a lungo preparata. Con gran sciabordio di recipienti scaricò senza pietà gran parte della sua forza dissuasiva, convinta in tal modo di spegnere l’assalto sul nascere. Il tintinnio non tardò però a ripetersi per alcune volte ad intervalli di pochi minuti e questo continuò, fino all’inevitabile esaurirsi delle scorte d’acqua di pozzo della pugnace e previdente vecchietta.

Va da sé che, dall’angolo della scuola, non appena ci si accorse che lo scuotere dei campanelli non era più seguito da alcuno scroscio d’acqua, i nostri eroi presero d’assalto la vigna della Vizinzóna come assatanati pirati della Malesia e per quell’anno, la donna non poté nemmeno conoscere il sapore dei suoi frutti […].
19 agosto 1973.  Merope, già anziana, sulla porta dell’abitazione dell’Annunziatina. Si noti in alto, nella parete della casa, l’indicazione «Salumificio», un’attività che ebbe luogo in quegli anni nella ex Macelleria Carlotti. La foto fu scattata da Vanni Geminiani in occasione del matrimonio fra Sergio Bortolotti e Denis Dal Pozzo.

Va aggiunto che un certo mistero aleggiò sempre sulla donna e sul suo passato sentimentale. Si raccontava, forse con qualche fantasia di troppo, di un vecchio matrimonio con un brigadiere di stanza a Filo miseramente fallito per motivi poco chiari.

Si diceva persino che la donna, decisa a stanare finalmente il marito soggetto forse a troppi trasferimenti da un capo all’altro dell’Italia, fosse andata un giorno fino a casa sua nel lontano Piemonte e che le aprisse addirittura la porta un figlio di lui di cui lei, la Nuziadina, non aveva mai sospettato l’esistenza.

Difficile avere riscontro oggi su questi aspetti romanzeschi, ma qualcosa i registri parrocchiali ci dicono ancora e con l’aiuto dell’esperto Beniamino si è ricostruita una storia familiare interessantissima che, assieme alle radici familiari della nostra vecchietta, ci aiuta a ripercorrere e comprendere meglio quella di questo piccolo paese fra Ottocento e Novecento.

Facciamo però un passo indietro e torniamo al chiacchierato matrimonio dell’Annunziatina che, alla bella età di 47 anni, effettivamente ci fu e si tenne nella nostra parrocchia di S.Agata. Era il 6 ottobre dell’anno 1921, quando lei sposò il 48enne dirimpettaio brigadiere Liprando Desiderio, figlio di ignoti e proveniente da Roppolo, un piccolissimo comune della provincia biellese. Beniamino me ne ha fornito una foto giovanile in abiti civili.

Il matrimonio ebbe per testimoni esponenti dell’alta borghesia filese, ossia Carlo Ginnasi (ancora ricordato come e’ Cónt Ginëši) e niente meno che Giovanni Tamba, vicino di casa e facoltoso agrario del luogo, capo di una famiglia con cui i Bosi erano alquanto legati, e con cui Nunziatina ebbe sempre intense frequentazioni. Lì era amata e conosciuta come: «la Dada».




Parrocchia di S.Agata in Filo - Libro Matrimoni 1921, pag. 19


 Desiderio Liprando


Questo è quanto Beniamino è riuscito ad attingere dai suoi ricordi, ovvero quanto in sostanza gli raccontò la madre Gemma Vandini, prestigiosa insegnante alle scuole di Filo per tantissimi anni, che conobbe assai bene la Nuziadina. L’affinità e l’intensa frequentazione familiare coi Tamba poteva forse provenire - come vedremo - dal matrimonio del fratello Giovanni.

In ogni caso, ritornando al turbolento distacco matrimoniale, pare proprio che l’Annunziatina fosse un personaggio assai poco addomesticabile, restia perciò a subire una qualsiasi imposizione familiare; allo stesso tempo, l'amicizia coi Tamba era forse tale da impedirle di allontanarsi da Filo.

Gli atti e i registri della parrocchia ci consentono comunque una ricostruzione familiare assai interessante che ben s’inquadra nel flusso demografico che popolò notevolmente il paese lungo tutto l’arco dell’Ottocento. Questo flusso provenne essenzialmente dalla vicina Romagna estense, dal lughese e dal conselicese, diretto ai luoghi in cui, per effetto dei grandi lavori settecenteschi di rettificazione fluviale e, in seguito, della bonificazione di svariati ettari di territorio, si venne a creare in pochi anni tanta terra da lavorare e tante possibilità, di lavoro e di cibo, per braccianti e contadini.

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Annunziatina, che deve il nome alla nonna paterna (Annunziata Baroni) è nata da poco (1874) quando (1876) la sua famiglia, proveniente dalla vicina Lavezzola (e ancor prima da San Bernardino), viene annotata per la prima volta nello «Stato delle Anime» della nostra parrocchia. Il padre Vincenzo vi è indicato come “Oste”, sia di soprannome che di mestiere, così come la madre Giuseppa Budini, la zia Marianna Bosi e il fratellino maggiore Giovanni. Annunziatina raggiunge la famiglia a Filo più tardi, all’età di 5 anni, quando ormai non c’è più la zia Marianna, forse trasferitasi altrove.

Parrocchia di S.Agata in Filo – Stato delle Anime anno 1878



Bosi Vincenzo (di Pietro) (1841-1924)


Budini Giuseppina (1840-1908)


La famiglia cresce e si ingrandisce quando l’11.2.1892 Giovanni Bosi sposa nella chiesa di Filo Genoveffa Canini detta Giuseppa (A Domo Dei), orfanella che vive a Filo, probabilmente al servizio dei Tamba, e - come si vedrà - già in avanzato stato di gravidanza al momento del matrimonio.

Parrocchia di S.Agata in Filo – Libro Matrimoni anno 1892



Dall’unione nascono a Filo tanti bei figli, tutti quelli ricordati nel gentile messaggio della discendente Maria Grazia, ossia nell’ordine: Marino (28 marzo 1892, poche settimane dopo il matrimonio), Amerigo (12 giugno 1893), Ermes (17 dicembre 1894), Vincenzo (27 maggio 1897)[5] e poi ancora Marcello, Geppe e Merope.
Alla morte di mamma Giuseppina (1908) Annunziatina ha 34 anni; vive con la famiglia del fratello e con l’anziano padre Vincenzo. Presumibilmente questa convivenza continua fino alla perdita del genitore che muore in tarda età, nel 1924, tre anni dopo lo sfortunato matrimonio del 1921.
I fratelli in quegli anni si spostano in massa in città, prima a Bologna, poi a Milano, lei invece sceglie di rimanere qui, anche quando se ne vanno i Tamba la cui villa viene letteralmente spazzata via dalla guerra. Al suo posto si edificano le attuali scuole Elementari e viene tracciata una strada parallela alla Provinciale che si interpone fra le due proprietà dando accesso alla “Corea”, nuovo quartiere popolare di Filo. Lei, già anziana, rimane qui, fedele per tutta la vita al paese ove è cresciuta e vissuta, fino a che la morte la coglie nel 1970, alla veneranda età di 96 anni.

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Vanni Geminiani mi ha procurato un paio di foto interessanti segnalandomi un gesto di grande portata di cui fu protagonista la nostra Annunziatina al tempo di guerra, l’8 settembre del 1944, data ahimè quanto mai luttuosa per il nostro paesino e che qui porta subito alla mente l’«eccidio di Filo» perpetrato ad un anno esatto dall’armistizio di Badoglio (8 settembre 1943), evento che aveva segnato la fine della guerra a fianco dei tedeschi e l’inizio della Resistenza nell’Italia da essi occupata. Fu una efferata esecuzione nazi-fascista quella furiosamente decretata contro i filesi: furono trucidati dieci ostaggi per rappresaglia allorché, in uno scontro a fuoco coi partigiani proprio sotto casa Tamba, era caduto, la sera prima, un militare tedesco.

Come si sa le SS germaniche prelevarono subito dalle loro case una quarantina di filesi innocenti, semplici avventori dl’Ustareia dla Bianca (oggi Bar Centrale) e li caricarono su un camion diretto ad Argenta, alla Casa del Fascio. Lì furono decisi i dieci nomi di chi doveva pagare con la vita, nonché i luoghi accuratamente scelti per l’esecuzione affinché i cadaveri fungessero da monito per tutto il circondario; fu anche decisa la mano del boia, messa proditoriamente a disposizione dagli sgherri repubblichini.

Il camion ripartì per Filo, all’indomani, con tutti gli ostaggi. Di questi, i primi cinque dell’elenco stilato ad Argenta furono scaricati e trucidati a metà strada, sull’importante snodo stradale del Ponte della Bastia; gli altri cinque subirono la stessa sorte all’incrocio di Filo, laddove inizia la strada per Bando, a pochi passi dal luogo dello scontro a fuoco e nelle adiacenze della casa della Vizinzóna.  Fu un evento sanguinoso e tragico, oggi ricordato dalla toponomastica locale e da due cippi alla memoria posti sui luoghi dell’accaduto, uno dei quali, in marmo bianco, lo si nota in basso nella cartolina qui pubblicata.

Si racconta che quel giorno funesto, all’arrivo della camionetta, mentre tutto il paese si era barricato in casa in preda al terrore, la settantenne Annunziatina dalla propria soglia, di fronte alla scena di spietata ferocia che le si stava materializzando sotto gli occhi, abbia cercato di intervenire a modo suo implorando ed inveendo verso gli aguzzini affinché rilasciassero quei poveri uomini e «che pòvar tabàc» [il ventenne e renitente alla leva Giorgio Marconi, la cui madre assisteva disperata dalla propria finestra poco distante], tutte persone che non avevano nulla a che vedere con quanto successo.

Allorché gli sgherri spararono senza pietà sul giovane Giorgio Marconi e dopo che il primo colpo mancò miracolosamente il bersaglio, la piccola, anziana e religiosa signora fu udita urlare a squarciagola: «basta basta, a n’avdì ch’l’è incóra un tabàc e ch’l’è banadèt da la Madöna?»[Fermatevi! Non vedete che è ancora un ragazzo e che è benedetto dalla Madonna?]

La povera donna non riuscì purtroppo ad interrompere la macabra esecuzione, fu anzi vigliaccamente percossa e minacciata di morte mentre i feroci aguzzini portavano a termine, senza titubanza alcuna, cotanta carneficina.

 Oggi, a molti anni di distanza, lo slancio generoso della Nuziadina rimane una bella testimonianza di coraggio e di altruismo, uno dei tanti di cui fu protagonista la gente di Filo in quegli anni così difficili. Prima che scenda ancor più l’oblio del tempo, mi pare giusto, nell’ambito di un amarcord come questo, che un gesto come il suo di cui si è sempre parlato pochissimo, sia finalmente portato alla conoscenza di tutti.


 «La Dada» Annunziatina Bosi, a metà anni ’30  coi figli di Antonio (Nino) Tamba: Giovanna, classe 1928
e Gabriele, classe 1929. (Foto donata da Vanni Geminiani)


La demolizione, negli anni ’70,
 della vecchia casa della Nuziadina
(Foto donata e scattata da Vanni Geminiani)


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     Nel suo amato paese, dunque, l’Annunziatina, nella buona come nella cattiva sorte, visse tutti i suoi lunghi anni sempre con grande dignità e carattere, anche quando una brutta frattura del femore la costrinse, ahimè, a farsi assistere dalla nipote Merope, che così poté tornare a trascorrere qualche anno nel paese natio.

Che dire? Fu davvero uno spirito indomito la Nuziadina o, per dirla in altro modo (rivolto idealmente alla gentile discendente): come si potrebbe mai dimenticare, a Filo, una donna ferrea e coraggiosa quanto la Vizinzóna?




(cliccare sulle immagini per vederle a grandezza video)




[1] Ovvero di Battista Benassi. Al posto di questa osteria nel dopoguerra si insediò la vecchia tabaccheria di Topolino (Giuanèñ) Guidarini, poi di Elio Marani. Allo spostamento della tabaccheria nell’angolo ove sorgeva la vecchia Caserma, il locale divenne la bottega di Alvio Ghirardini che la gestisce tuttora.
[2] Presso l’Annunziatina, soprattutto per chiederne illuminato consiglio, pare si recassero talvolta anche altri nostri stimati concittadini come Ibanez Bellettini (e’ Baròñ), Sergio Dalle Vacche (Sérgio d Gnani), Elio Marani, Gino Pasotti (Girulì) e Ciudëla.
[3] Si tratta di Dante Mezzoli (di Raffaele e Dathiva Farabulini - Filo 1866 / Mezzano 1946 -). La Fiucheta, ovvero Pasqua Minguzzi  (Voltana 1895 / Mezzano 1985), assai nota in paese, era la moglie del figlio di Dante.
[4] Terribile come le sette conchiglie o come le sette orme della diavolessa Varsiria, per dirla in breve: uno scapestrato.
[5] Questi, nonno della nostra Maria Grazia, risulta dai nostri registri parrocchiali aver sposato Bianchi Maria nella parrocchia di Santo Stefano Maggiore in Milano il 27 ottobre dell’anno 1929.

5 commenti:

Filese ha detto...

Da Maria Grazia Bosi; 29.7.2013

Buona sera Signor Agide,
cosa posso dire, l'articolo è bellissimo, preciso riguardo alle poche cose di mia conoscenza, e pieno di tante meravigliose novità.
Sono sempre più orgogliosa delle mie origini filesi, e di questa zia Annunziatina con cappellino, rossetto e poca voglia di legare il suo cuore
come del resto Merope, Marcello, Amerigo che non si sono mai sposati e mio nonno Vincenzo che si separò dalla nonna per tornare
a vivere in casa con i suoi fratelli.
Mi piace farle sapere che io, classe 1972 e i miei fratelli, Vincenzo '65, Luigi '69, Paolo '71, siamo gli ultimi discendenti di questa bella
famiglia e per tutti noi leggere ciò che lei ha dedicato ai nostri avi è stata una grande emozione.
Mio Papà ne sarebbe stato felicissimo.
La ringraziamo di cuore.

Famiglia Bosi

Anonimo ha detto...

Ciao Agide.
Da Filese che lavora all'estero ogni tanto ritorno a filo grazie al tu blog.
La Nunziadina mori che io avevo 17 anni ma la ricordo vagamente.
Puoi confermarmi se , oltre al salotto "alla Marzotto" dava ospitalita anche ad una callista che esercitava sporadicamente a Filo.
Ti chiedo questo in quanto , quei gradini davanti a casa mi hanno dato il flash.
Ciao e saluti anche ai componenti la famiglia Bosi .
Cordialmente
Gianni Galamini

Benny ha detto...

Una piccola precisazione, il "Ciudéla" di cui alla nota nr.2, si tratta di Nino Gennari (Filo1930 - Filo 1989), figlio di Peppino e nipote di Rodolfo Gennari, grandissimi fabbri ed armaioli con officina e bottega a Filo in località Molino. Nino era per altro pronipote di Teresa Toschi della famiglia dei Zanotti e Toschi di S.Maria in Fabriago, storici armaioli della romagna estense. Dopo una precisazione facciamo una trasgrssione al filo logico dell'articolo sul blog, di cui in ultimo se ne capirà la ragione. Casa Gennari tra fine ottocento ed i primi del novecento era frequentata da tutta l'aristocrazia di Lugo, Imola (e’ Cónt Ginëši viveva praticamente a Filo in casa Gennari) e Ravenna, ove risiedevano per lunghi periodi nell'inverno quale base d'appoggio per le battute di caccia invernali in valle. Risiedevano "a duzéna" (ovvero a pensione, diremmo oggi), Rodolfo ed i figli Peppino e Renato oltre all'assistenza alle armi, li accompagnavano con le "batane" in valle. Al ritorno, il carniere veniva suddiviso fra tutti i partecipanti (il "rastrello" richiedeva numerosi partecipanti, che dovevano lavorare in perfetta sintonia fra di loro e con la barca dei cacciatori) ed i poveri di Filo. Una piccola storia, un piccolo spaccato di filesità che và deve essere ricordato, ed anche perchè, mia nonna materna Terzilla Gennari era sorella di Rodolfo, pertanto con orgoglio la cosa mi coinvolge personalmente.
Benny

Filese ha detto...

Da: aderitto geminiani, 6 ago 2013

Ciao Agide,
ho letto attentamente con piacere e con angoscia, il racconto di quell'8 settembre. Mi ha lasciato sgomento. Avevo dimenticato il particolare forse piu' importante e nobile della sig.a Nunziatina.Ricordo perfettamente quel tragico pomeriggio perché io l'ho vissuto abbastanza da vicino, abitando nel Palazzone, sopra il forno di Jàcum (Giacomo Rossi). Mia madre e mia nonna Clotilde stavano dietro la finestra semichiusa,c'era un silenzio di tomba. Nell'edificio abitavamo in 15 famiglie ed eravamo tutte chiuse in casa. La finestra che dava sulla strada arrivava fino al pavimento ed avendo, per protezione una ringhiera con dei tondini, non mi permetteva di passare con la testa. Avevo da poco compiuto 6 anni e il primo colpo mi fece prendere una gran paura, mi ritirai e mi misi a piangere assieme alle donne. Di uomini neanche l'ombra; anni dopo capìi il perché. So solo che la barbarie nazi-fascista ha lasciato in me un ricordo indelebile che nulla potrà cancellare. Tutte le volte che, negli anni del dopoguerra, leggevo la locandina "Campo sportivo Giorgio Marconi", mi tornava in mente quel tragico giorno e quel giovane ragazzo che ha pagato con la vita la follia di bestie maledette finite nella storia piu' nera della razza umana. Scusa dello sfogo ti abbraccio e ti saluto. Grazie. Pippi

marco ha detto...

Caro Pippi,non ti conosco personalmente e mi complimento con te per la lucida descrizione disumana vissuta nel dramma esposto da Agide.Per quanto riguarda la locandina ,credimi,i tuoi pensieri nel leggerla erano anche i mei e penso di tantissimi altri Filesi.Se sei Pippi ,il mitico calciatore,avrei un saluto da farti,da Filese a Filese da parte del compianto Arnaldo Pantani,dal lontano 1969,non ci siamo mai incontrati ,non e'troppo tardi. Saluti marco