domenica 26 settembre 2010

Insieme ancora una volta …

L’annuale ritrovo della Vecchia «Banda del Gelato alla Fragola»

di Agide Vandini

La poesia di Orazio Pezzi

I Menù del «Cavallino Bianco»

Osvaldo, Roberto R. e Agide

La compilaton

L’appuntamento era fissato per sabato 18 settembre e presso l’accogliente ristorante filese «Il Cavallino Bianco».

La Vecchia Banda, la cui storia si può leggere in questo blog in un servizio di qualche anno fa[1], si è così ancora una volta gettata nella mischia e lo ha fatto fra i sapori d’alta cucina proposti da Davide e Nadia Cervellati.

Come d’abitudine una riconoscente rosa rossa è stata offerta alle gentili signore, e il sottoscritto, organizzatore d’occasione con la dolce Diana, si è assunto l’onore ed onere (al solito), dell’intrattenimento musicale.

Sorprendente novità per gli impavidi timpani della «Band» è stata l’introduzione alla bella festa con una inedita performance di Gigi de’ Fràb al saxofono. La scoperta intenzione (lodevole almeno quella …), era di ricreare ovattate atmosfere da «festino» o da vecchio juke-box con una scelta mirata di brani d’annata (e da pelle d’oca).

Qualche effetto deve averlo prodotto se è vero che di tanto in tanto si son viste spuntare facce minacciose dalle sale vicine, per fortuna coinvolte e scoraggiate dall’allegria generale, un contagio che a fine pranzo ha apertamente furoreggiato per via dei canti e schiamazzi accompagnati alla chitarra dal solito e imperterrito Gigi de’ Fràb

Nella piccola galleria fotografica raccolta a fianco trovano perciò spazio gli splendidi menù di casa, l’ambiziosa compilation e alcune immagini di noi tutti, vecchi amici « del cuore». Proprio così ci ha felicemente definiti Orazio nella bella poesia dedicata alla Band, una composizione che ci onora e che meritava una cartolina speciale in «Technicolor» distribuita ai partecipanti (prima immagine in alto a sinistra).

Ma per capire chi siamo davvero ( e da dove veniamo …) sarà forse il caso di riproporre qui la Banda di’ Cuciarùl, la vecchia e scanzonata Ballata di Gigi de’ Fràb, scritta qualche anno fa, in parte sull’aria di «Fanfulla da Lodi». Vi si leggerà di un antefatto datato circa quattro secoli addietro, al punto che tante cose, a cominciare dalla nostra storia paesana, si capiranno un po’ meglio, fatto salvo uno spirito goliardico che non ci ha ancora abbandonati …. Alla prossima.

Cliccare sulle foto per vederle ingrandite

Gigi de’ Fràb al sax

Tutti a tavola

Musica a gogo

Visi soddisfatti

Alìgar tabèc…

La banda di’ cuciarùl

(Prima metà del XVII secolo, Agilulfus ex Filus, antenato di Gigi de’ Fràb che la riprese nel 2005)

Accordi per chitarra: Strofe (sull’aria di «Fanfulla da Lodi»): DO/SOL7/DO;

Ritornelli: FA/DO/FA/SOL/DO

Ora udite messeri la storia

Del flagello di un tempo lontano

Di Valente, il gran capitano,

E di un pugno di suoi masnadier.


Percorreva la banda al completo

L’alta riva del Pado fluente

Pancia vuota e nebbia radente,

Žôrž il Guercio il destriero arrestò.


« Non si vede un sol lumicino»

Disse allora Berton manolesta

«Né donzella, o pollastro, ci aspetta,

Attacchiamo la prima magion».


E la banda bussò, e la casa tremò

E qualcun si decise ad aprir.


S’affacciò alla buia finestra

La Carlotta dai neri capelli

E Rituccia, e giovin pulzelle

Da Lucilla a Rosmunda ad Cincion.


Disse Azzio con voce tonante:

«Alla pugna, ch’l’è óra d magnê,

Andiam dentro che in tọta ‘sta strê

U ngn è un’anma da quẹ a Lungastrẹñ


Partì in tromba Zežaro il Moro

Con a ruota l’armigero Bleza,

E Valente qual fosse una freza,

Con un balzo fu sopra il balcon.


«State accorti o bei cavalieri»

Lelina gran dama gentile,

«Siamo sole, ma molto agguerrite,

Vi daremo du-tri cuciarùl…»


E la banda mangiò, Agilulfo suonò

E qualcuno si mise a ballar.

Poi Valente dié il braccio a Carlotta,

E ballando l’amore sbocciò

E le pene ognun si scordò,

Finché un lume si vide brillar.


Chiese allor, Ben la Volpe, a Sandrella:

«Che fan gli homini in questa Riviera?»

«Sono al Po, da mattina alla sera,

Ché una rotta potrebbe accader…»


«Mi sovviene, or ora, una cosa…»

Disse alfin pensierosa Ildegonda

«E’ mio padre che veglia la sponda,

E sol io, so le chiaviche aprir...»


«Oh.. Tuo padre, ti avea cercato…»

Dianuccia ormai senza fiato,

«Con il ballo ogni cosa ho scordato,

Corri, corri e non ti fermar…»


Ed il fiume tuonò, e la terra allagò

Da San Biagio al Molino di Fil…


Non lo dicono i libri di storia

Ma è ciò che accadde nel tempo lontano

Quando Filo fu tutto un pantano,

E alla sorte ognuno imprecò.


Lo cantò nelle sere d’estate

Agilulfo sul suo somarello,

Quando ormai non avea che quello,

Licenziato dai quei masnadier.


La sua storia non ebbe mai fine

Di Dianuccia lui s’innamorò,

Dalla sera in cui tutto crollò,

Sulla Banda di tri cuciarùl…


Sulla Banda di tri cuciarùl…

Sulla Banda - di tri - cuciarùùùl… [2]




Breve cenno storico sulle Chiaviche Paoline di Filo

Durante il pontificato di Paolo V (al secolo Camillo Borghese), nel tentativo di migliorare gli scoli fu fatta costruire nella località fino ad allora denominata «Due Argini», all’incirca a metà strada fra Case Selvatiche e la Bastia, una chiavica a cinque occhi che poi prese il nome di «Paolina» (o anche «Borghesa»). Sulle possibilità della chiavica in occasione delle piene si puntò molto ma a torto. Essa fu aperta la prima volta nel 1608 e ne sortì un clamoroso disastro. Questo è il racconto che, qualche secolo dopo, ne fece il Bertoldi [3]:

All’urto impetuoso dell’acqua crepò l’arco di mezzo, e subito le si fece dinanzi un argine, da cui restò chiusa. Fu quindi risarcita e nella sera del 14 marzo 1609 con sua pochissima apertura cominciossi un’altra volta a diramar per essa l’acqua del Primaro nelle valli di Comacchio per far prova dell’effetto, che potea nascere dalla chiavica, se si fossero dischiusi i suoi cinque occhi. Disserrato l’adito all’acque, con tanta velocità e in così gran corpo queste s’introdussero, che gli argini del cavo non potendo contenerle, restarono sormontati, e diffondendosi la corrente dall’una e dall’altra parte tutti allagò i circonvicini terreni con danno grande e della Riviera di Filo e del territorio argentano.






Disegno delle grandiose Chiaviche Paoline (Baruffaldi, 1739-1751)


[2] La storia narrata in questa ballata e' tratta da una pergamena medievale di autore sconosciuto (!?!), rinvenuta casualmente in una biblioteca della Romagna. La vicenda, che ha subìto non pochi rimaneggiamenti poetico - musicali, pare sia realmente accaduta (!?!) a Filo, luogo della bassa emiliano - romagnola. Luoghi e personaggi del testo appaiono in molti casi collegabili a realtà a noi vicine (si direbbe fin quasi familiari), al punto che, se si vuol credere nella reincarnazione, si può pensare ad una storia iniziata tanti anni fa...

[3] Per maggiori dettagli ed approfondimenti si veda in A.Vandini, Filo la nostra terra, Faenza, Edit, 2004, pp. 225-230.

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