lunedì 8 dicembre 2008

Prima che finisca il cinquantenario…


Un caro ricordo di Ercole Baldini campione del mondo

di Agide Vandini



Appena qualche settimana fa in un articolo dal titolo Cinquant’anni fa una gita scolastica, ho ricordato un campione indimenticabile del ciclismo, ovvero il nostro Ercole romagnolo, che in quel mitico mille-novecento-cinquant’otto seppe diventare campione del mondo in modo davvero epico ed irripetibile.

L’italia sportiva di allora si emozionò seguendo dai teleschermi, in diretta da Reims, l’impresa di Baldaza (così l’abbiamo sempre chiamato noi), già vincitore in quell’anno del Giro e fresco Campione Italiano. Egli fu, quel giorno, il massimo protagonista di una lunghissima fuga assieme ai valorosi compagni di avventura, che furono: il caparbio olandese Watgmans, il rivale toscano Gastone Nencini e il fortissimo francese Luison Bobet, uomo di casa e campione conclamato dell’epoca.

I tre erano già in fuga poco dopo l’inizio della corsa quando il nostro Baldaza riuscì a raggiungerli, pare, su consiglio di Fausto Coppi. Si disse che proprio il Campionissimo gli avesse sussurrato all’orecchio che quella iniziativa, solo apparentemente precoce, poteva già essere la «fuga buona».

«Guarda – pare abbia detto il Grandissimo, schierato ancora nella squadra azzurra a quasi quarant’anni - che quei tre lì son capaci di scappare fino all’arrivo…» ed Ercole non si tirò indietro. Senza pensarci su, lui campione di inseguimento su pista e recordman dell’ora, abbassò la fronte sul manubrio e con una bella sgroppata raggiunse in pochi chilometri i grandi ed agguerriti avversari.

Fu una fuga epica e grandiosa. Giro dopo giro i fuggitivi aumentavano vistosamente il loro distacco dal gruppo, finché non si ebbero più dubbi: la fuga era riuscita, il gruppo non li avrebbe mai più ripresi. Ma quando ciò apparve evidente, ossia a pochi giri dall’arrivo, cominciò un’altra corsa.

Da casa e dagli schermi TV cominciammo a trepidare. Avrebbero saputo i nostri corridori avere la meglio sugli altri due? E soprattutto Ercole come avrebbe fatto? Che speranze aveva? Come avrebbe potuto avere il sopravvento sugli avversari dal momento che allo sprint avrebbe perso persino da Ragagnì, un filese che la bici da corsa la inforcava sì e no una volta l’anno?

Ercole era in una forma incredibile quel giorno. Era in una di quelle giornate che, quando si metteva in testa ai corridori, tirava come un treno, era il leggendario «treno di Forlì» secondo la canzone a lui dedicata dal grande Maestro romagnolo del valzer, il celebre Secondo Casadei.

(A proposito: chi vuol riprovare certe emozioni e riascoltare il brano musicale, se lo può scaricare cliccando qui. e, in successione, su "free-user" e "download")

Pochi potevano reggere alla potenza fisica di Baldaza. Il primo a crollare fu il pur roccioso olandese che, al ritmo di quei campioni, cominciò a perdere terreno. Poco a poco il primo vagone si staccò dal treno e scomparve all’orizzonte. Restarono dunque in tre.

Gastone Nencini, con la sua agile pedalata e con la testa sempre ruotata a sinistra di mezzo giro, collaborò parecchio per tenere alto il ritmo dei fuggitivi. Fornì il cambio a Baldini fino a dar fondo a tutte le sue energie, poi ad un certo non ne poté più.

A contatto col romagnolo rimase, per una fase finale che si immaginava senza esclusione di colpi, soltanto il forte, esperto e smaliziato Luison Bobet. Questi era un furbone di sette cotte. Proprio l’anno prima in un tappone del giro d’Italia aveva ingannato, assieme allo stesso Nencini, la maglia rosa Charlie Gaul. Lo avevano indotto ad una fermata uso-pipì, per poi ripartire di gran carriera, col povero lussemburghese rimasto lì impalato e ormai non più in grado di fermarsi. Gaul si era in tal modo giocato la corsa a tappe, poi vinta da Nencini.

Luison Bobet, sicuro di poter mettere nel sacco in qualche modo anche Baldaza, cercò di star dietro al treno più che poté, ma, furbizia o non furbizia, non riuscì a resistere neppure lui. A un paio di giri dal traguardo il romagnolo accelerò progressivamente, sicché anche Bobet uscì dalla scena, e con la lingua a penzoloni.

Rimasto solo e incontrastato al comando della corsa, il nostro campione delle cronometro e dell’inseguimento parve correre contro il tempo. La Tivù ne inquadrava ripetutamente i pedali, la poderosa «multèplica» sembrò ruotare inarrestabile come la macina di un mulino, mentre la catena, sempre in tensione e a tutto video, pareva un tutt’uno coi muscoli del campione, quasi quanto l’arco leggendario di Ulisse.

Ercole macinò chilometri, battè ogni record del circuito e, in una spledida apoteosi, arrivò trionfante sul traguardo di Reims. L’Italia intera e tutto il mondo della biciletta ne furono ammirati, stupefatti da una potenza mai vista, affascinati da un’emozione destinata a restare per sempre nella storia del ciclismo e dello sport.

Poi, negli anni che seguirono, Ercole si sgonfiò. Forse per i tanti soldi che vide all’improvviso, forse per una maligna appendicite che interruppe la «magia» di quel fantastico triennio, o forse, chissà, per i tanti chili che rapidamente mise su, fatto sta che, probabilmente, per tutte queste cose messe assieme, egli non riuscì più a ripetere le imprese di quel fantastico ’58. Per noi però, per coloro cioè che lo ammiravano incondizionatamente e che, da quella mirabolante giornata di Reims, ebbero il cuore rapito dal «Treno di Forlì», Baldini fu sempre il «campione» amato e venerato, incancellabile e incontestabile. All’osteria del paese, anche negli anni successivi, non si fece che parlare di lui, della sua forza mitica che un giorno, prima o poi, sarebbe riesplosa, sarebbe tornata a colpire.

Fu, quello per Ercole Baldini, un «amore» sportivo della mia adolescenza di cui ho narrato qualche anno fa in un raccontino imperniato su alcuni personaggi filesi, su affascinanti quanto cari «narratori d’osteria», fra i quali il fervente baldiniano «Vivadio», ovvero il paesano Arturo Cobianchi. E’ in quel contesto che raccontai del dipinto dell’Abbelane

Quale dipinto e quale Abbelane? Qui, devo necessariamente trascrivere qualche brano del racconto:

« […] L’ammirazione e l’affetto per Baldini era così forte allora in paese, che si commissionò persino un dipinto in suo onore ad una fascinosa abitante della Ca longa. Era una giovane donna, proveniente da qualche parte della Romagna che si dilettava di pittura e che viveva sola, proprio di fronte all’osteria».

La pittrice occasionale (all’anagrafe, Adele Ravaioli) era chiamata in paese, con definizione fantasiosa, l’A-b-b-e-l-a-n-e. Il nomignolo era pronunciato in una sola parola e alla romagnola, senza concessioni di sorta alla dizione anglosassone. Era un «gentile omaggio, che evocava, a sproposito naturalmente, la provocante bellezza di Abbe Lane, celebre ed ammirata moglie del noto direttore d’orchestra Xavier Kugat».

L’Abbelane dipinse con grazia un maestoso Ercole Baldini, una specie di dio pagano di dimensioni e sembianze quasi ciclopiche. Alla sua bici era collegato con una pesante catena un implacabile rullo compressore, il cui cilindro, trainato furiosamente dai muscoli del campione romagnolo, schiacciava al suo passaggio avversari inermi, sorpresi e travolti da siffatta, inarrivabile potenza.

«Piacque subito anche ad Enrico Ameri il quadro dell’Abbelane, tanto che al Lago di Garda, ove si svolsero in quegli anni i campionati del mondo, invitò i filesi ad esporlo, in gran pompa, lungo il percorso, a bordo dell’auto della RAI[1]». Furono Nando (Angelo Vassallo) e Giget (Luigi Zanotti) a sbandierare quel giorno il dipinto filese attorno al lago, a fianco del celebre telecronista. In quel paio di giri attorno al circuito il pittoresco gonfalone suscitò tantissimi applausi ed osanna da parte degli sportivi e dei numerosissimi fans di Baldini.

Il dipinto dell’Abbelane, testimonianza storica preziosa dell’affetto dei filesi per il corridore, non è comunque andato perduto. Proprio in questi giorni sono riuscito a rivederlo e fotografarlo, per gentile concessione di Graziella, vedova dell’indimenticato Gigi Zanotti, purtroppo scomparso un paio di anni fa. Gigi, tifoso doc, lo aveva sempre gelosamente conservato e ora, finalmente, a tanti anni di distanza, posso esporlo degnamente e con orgoglio in questo blog, a beneficio degli appassionati baldiniani di ogni tempo e paese.



[1] Si tratta dei Mondiali di ciclismo su strada che si disputarono nel circuito di Salò nel 1962,corsa vinta dal francese Jean Stablinski.






















Ercole Baldini, per noi, affettuosamente, Baldaza




















La conturbante e autentica Abbe Lane
















Il glorioso dipinto dell’Abbelane filese

(by Ravaioli Adele, Olio su legno compensato 89 x 62, di proprietà Eredi Zanotti Luigi - Filo)



1 commento:

remo ceccarelli ha detto...

caro agide, che bello leggere questo racconto sul nostro treno...regionale!

il tuo articolo ci rimanda ai dolci profumi dei ciclisticamente gloriosi anni cinquanta: non solo baldini, ma coppi che io venero pur non avendolo visto competere, ma anche il più grande scalatore ex aequo di tutti i tempi, charly gaul. si capirà che il mio amore va piuttosto ai piccoli ed apparentemente esili scalatori, che con imprese inverosimili prevalgono sui pacchi di muscoli dei grossi pedalatori come baldini, di cui ho molta stima per l'appartenenza alla nostra terra.

nel mio olimpo c'è posto anche per bahamontes e lucien van hympe, il primo scalatore puro che ho visto vincere il tour dall'alto dei suoi 60 chili scarsi.

nessuno però è arrivato a farmi provare l'orgoglio smisurato che mi trasmise l'altro miglior scalatore di tutti i tempi, il NOSTRO esagerato PIRATA, mai nella vita mi sono sportivamente emozionato come negli anni pantaniani. tanto che oggi al ciclismo dedico uno sgaurdo distratto ed annoiato.

anche e soprattutto in chiave 'romagnolità', in quanto persino sulla tv francese si faceva continuamente riferimento a 'pantanì, le romagnol'. prima di perdere la memoria, se un giorno dovesse accadermi, sono certo che le ultime immagini che avrò ancora chiare in mente saranno riferite alle tappe del tour che videro marco gettare la bandana e salutare tutti gli altri poveretti che tentavano di competere con lui sul galibier, all'alpe d'huez o sul ventoux.

marco era sicuramente dopato, ma ieri, oggi e domani tutti sono 'fatti' nel ciclismo, solo che ad alcuni si concede l'omertà per motivi commerciali: come per esempio al texano che era pieno di tutte le sostanze possibili ed impossibili, ma si doveva 'lanciare' il mercato della bicicletta negliusa, allora...

chiudo con due piccoli e personalissimi 'amarcord'.

il primo riguarda la terza tappa del giro d'italia 2002 (14 maggio), che vide la carovana rosa passare davanti a casa mia a ehlerange per concludersi a 5 km da lì a esch-sur-alzette (in lussemburgo dunque): fu un momento immensamente italiano vedere tutte le macchine del giro, nonché i mezzi della rai e persino i carabinieri in moto sfilare quassù. per la cronaca vinse cipollini nella città dove sono nato e che conta oltre un terzo di abitanti di origini italiane: inutile descriverti la festa che fece seguito alla vittoria del 're leone'.

il secondo flash invece è per pantani, che vidi gareggiare in lussemburgo diverse volte. la più emozionante fu senz'altro durante la kermesse immediatamente successiva alla sua doppietta giro-tour, dove si impose in una cronometro-galà nelle strade della capitale con il fresco 'maillot jaune' sulla pelle. io invece nella mia di pelle non ci stavo più...

caro marco, non so se c'è il paradiso, ma se c'è puoi dirmelo, solo a me e giuro che non lo ripeterò a nessuno: chi tra te, gaul e coppi va più forte in salita?