lunedì 14 luglio 2008

Quando un frutto diventa poesia…

di Angelo Minguzzi

E’ tempo di raccolta delle pesche e Angelo Minguzzi, già presentato in questo blog, ha dedicato la sua vena poetica niente meno che ad un frutto di casa nostra. Oggetto dei suoi versi è un’antica varietà di pesche a pasta bianca, la Sant’Anna Balducci, coltivazione abbandonata, ancorché frutto noto per l’alta qualità gustativa. Lo si raccoglieva nell’ultima settimana di luglio, in prossimità di Sant’Anna (26 luglio), patrona della nostra borgata di Chiavica di Legno. Di qui il nome della varietà.

Angelo, in collaborazione con l’organizzazione di cui fa parte anche la filese Mirella Brusa, ha dedicato tanti anni alla ricerca di un modo di soddisfare frutticoltori e consumatori riguardo alle pesche e nettarine. In questi anni ha contribuito a mettere a punto, proprio con Mirella, alcune iniziative per la valorizzazione della peschicoltura romagnola, ossia un progetto del 2004 dal nome accattivante «Chi pésca bene, chi pèsca meglio», poi evoluto nel 2006 in «Un mare di frutta».

Il problema chiave purtroppo non si è ancora risolto: i produttori sono sempre mortificati da prezzi di vendita non remunerativi, i consumatori si sentono oppressi da prezzi di acquisto troppo alti in rapporto ad una qualità spesso incerta. L’incremento dei consumi sarebbe una soluzione, ma, perché ciò possa avvenire, vanno aiutati i consumatori nella scelta di un frutto che soddisfi i propri gusti. E’ questa la mission di «Un mare di frutta», la ricerca di un linguaggio di comunicazione, semplice e di facile comprensione, che descriva adeguatamente la qualità gustativa delle pesche. Qualcosa sta cambiando, l’obiettivo sembra alla portata, certamente non è ancora raggiunto. Nel frattempo:

«Che il problema si risolva scrivendo “poesie”sulle pesche?» - scherza Ánžul d’Zižaron d’Mašira - «Che possa essere, anche questa, un’azione di marketing?» «Non mi arricchirò certo con questo» - ribadisce - «ma intanto alimento lo spirito…»

La poesia (che in verità sarebbe una cânta sull’aria di A Hard Rain’s Gonna Fall di Bob Dylan), è comunque tutta da gustare, magari con una succosa e invitante pesca romagnola, fra le dita dei nostri lettori… (Agide Vandini)



PAR SANT’ÂNA

E a t’ò švulê stramëz al foj

bëla e garnida da fê avnì mel voj

cun tot chi culur che e’ sól u t’à piturê

da e’ rôša piò cêr ch’ e’ tira a e’ rös sfumê,

e mè a pens: adës a la coj.

E instant ch’at gvérd int la mi man

t’am fé avnì voja ‘d strichêt pian pian.

Te t’é la pël fena cumpâgna un pan d’ vilut

e, fresca dla gvaza dla nöt che la-t bâgna,

e t’é dentr a l’ânma e’ sól dla Rumâgna

e me am degh, e me am degh: piò d’acsè ‘s’a vut?

L’è un’emuzion mursêt in so.

At dëgh un môrs e t’am fé sintì e’ sugh,

che l’à e’ culór de’ sól, e’ culór de’ fugh.

L’arluš toti al péral de’ sugh fresch ch’e’cóla

e me am li sent andê žo par la góla,

a sent un prufom l’istes ch’e’ fos cvel d’un fiór

che l’è l’istes, che l’è l’istes, che l’è l’istes

che un béš dê par žugh.

Fata invenzion cvèla dal péšgh.

Prema al t’ruba j oc cun e’ culór

e pu al t’ ciapa e’ côr cun tot cvant e’ su amór.

Agli è un chêplavór, l’istes che un’ôpra d’êrt,

se t’dlež e’ su mument giost ch’agli è maduri,

che s’agli è tröp šérbi, al n’è pronti e agli è duri,

se invézi agli è tröp fati, elóra al va int e’ schêrt.

Fata invenzion, fata invenzion, fata invenzion

fata invenzion: l’istes che l’amór.



PER SANT’ANNA

Ti ho scoperta fra le foglie

bella e florida da suscitare mille voglie

con quei colori che il sole ti ha dipinto addosso

dal rosa chiaro che vira al rosso sfumato,

E io penso: ora la raccolgo.

E mentre ti guardo nella mia mano

mi fai venir voglia di stringerti pian piano.

Tu hai pelle[1] fine come panno di velluto

e, fresca della rugiada notturna che ti bagna,

e hai dentro l’anima[2] il sole di Romagna

e mi dico, mi dico: più di così cosa vuoi?

È un’emozione mordicchiarti.

Ad ogni morso mi fai sentire il succo,

che ha il colore del sole, il colore del fuoco.

Brillano le perle del succo fresco che cola[3]

e io me le sento andar giù per la gola,

sento un profumo come quello di un fiore

che è uguale, uguale, uguale

a un bacio dato per gioco.

Che invenzione, quella delle pesche.

Prima ti rubano gli occhi con il colore

e poi ti prendono il cuore col loro sapore[4]

Sono un capolavoro, sono un’opera d’arte,

purché si scelga la giusta maturazione,

troppo acerbe non son pronte e son dure,

invece troppo mature finiscono nello scarto

Che invenzione, che invenzione, che invenzione

che invenzione: come l’amore.


[1] Il termine dialettale pël ha il doppio significato di «pelle» e di «buccia».

[2] Il termine dialettale ânma ha il doppio significato di «anima» e di «nocciolo».

[3] La succosità è requisito qualitativo della pesca, ma ne rappresenta anche un inconveniente, riducendone la praticità di consumo.

[4] Anche il termine dialettale amór ha il doppio significato: «amore» e «sapore». Del resto tutta la poesia, con toni di ispirata sensualità ed erotismo, ruota attorno al duplice significato pèsca / donna.

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