Una poesia in dialetto
di Agide Vandini
E’ una poesia in dialetto che ho scritto un paio d’anni fa, in questo periodo di primavera incipiente. L’ho dedicata ai filesi Cian e Baréra, personaggi di cui ho raccontato, proprio di recente, gesta talvolta scriteriate, ma che ancora rivivono nella memoria dei contemporanei[1].
Nessuno credo abbia tanto amato e vissuto la «valle», la palude, i canali di bonifica, come loro, si può dire l’abbiano amata fin quasi alla simbiosi con un ambiente naturale crudo, selvatico, pieno di insidie e di pericoli, eppure sempre generoso di cibo e di risorse d’ogni genere.
E’ una breve poesia che, in senso lato, vuol essere un sincero omaggio a tutti i vecchi pescatori, cacciatori e «vallaroli» che ho conosciuto da bambino, gente costretta a pescare o raccogliere quasi sempre di frodo, figure ormai leggendarie, svanite nel nulla come la valle prosciugata.
Personaggi come Piz, e’ Göb, Ciaren, e chissà quanti altri venuti prima di loro, che oggi possono già definirsi «antichi», uomini che quella valle amavano visceralmente, e che da essa pareva venissero a loro volta generosamente riamati. Figure ingoiate dal tempo e da sconvolgimenti ambientali forse inimmaginabili per la mente umana di allora, che hanno saputo trarre dalla palude, in momenti difficili e di vita grama per tutti, ogni possibile forma di sostentamento per sé e per la famiglia.
Essi però, della nostra «Valle» hanno sempre rispettato i ritmi e la linfa vitale, vivendone il contatto con profondo rispetto e quasi con senso di comunità, verso una natura che sentivano amica e di cui, forse, si sono sempre sentiti, con buone ragioni, orgogliosamente parte.
Nelle foto Cian e Baréra già piuttosto anziani. Il primo (Luciano Montanari) ha il bicchiere in mano, il secondo (Sante Toschi) in maglietta celeste, brillante e seducente come la sua «valle».
Mêrz int Oh pscadór da la bêrba griša E da la frónt scarvajêda U n’è piò e’ temp dla Scöpa int e’ Cafè, L’è óra d’gvardê in so che incu E’ vent e’ pê ch’e’ sŏpia int al nùval, Di’ nuvlëz ch’i cŏr e ch’i vóla veja Cun e’ sól ch’u
j pasa da stramëž. Tŏta quanta la val la s’impeja e la s’amôrta Coma un gran Prešëpi, Coma una lŏzla de’ méš d’žogn: La-t strĕca d’öc, par fêt un segn.
I fŏs e i canél i diš ch’e’ ven Premavira E ch’l’è óra d’tirê fura La spôrta, la fiasca e la balenza Pr andê a sinti l’udór dla cana e de’ zambuch Pr andê a scultê e’ cant dla val, I tŏf di ranŏc, e’ vérs de’ canajôl, e’ s-cèful de’ fringuël Insem a e’ suspir d’amór ch’e’pasa a pél d’aqua Da quand che, fórsi pröpi a que, tent ën fa, L’aqua la s’è maridêda cun la tëra. | Marzo
nella valle
Oh pescatore dalla
barba grigia E dalla fronte
solcata dalle rughe Non è più il tempo
della partita a Scopa nel Caffè, E’ ora di guardare
in su che oggi Il vento sembra
soffiare sulle nuvole, Nuvole gonfie che
corrono e volano via Col sole che le
trapassa da ogni parte. Tutta la valle
s’accende e si spegne Come un grande
Presepe Come una lucciola nel
mese di giugno: Ti strizza l’occhio
per farti un segnale.
I fossi ed i canali dicono che giunge Primavera E
che è ora di tirar fuori La
sporta, la fiasca e la bilancia Per
andare a sentire l’odore della canna e del sambuco Per
andare ad ascoltare il canto della valle, I
tuffi delle rane, il verso della cannaiola, il
fischio del fringuello, Assieme
al sospiro d’amore che passa a pelo d’acqua Da quando, forse proprio qui, tanti anni fa L’acqua si sposò con la terra. |
Cannaiola verdognola (Acrocephalus palustris) uccello capace di ottime imitazioni di altri uccelli e distinguibile da un caratteristico e rauco zi-cì zi-cì. | | Fringuello (Fringilla coelebs) |
[1] A.Vandini, La valle che non c’è più, Faenza, Edit, 2006, pp. 135-144.
1 commento:
Vedere pubblicata su Internet la foto di mio zio Luciano (Ciàn) mi ha emozionato.
Lui era quanto di più lontano si possa immaginare dal mondo dell'informatica e della tecnologia e mai avrà immaginato che un giorno si parlasse di lui sulla Rete.
Già, la Rete: l'unica rete che Ciàn abbia mai conosciuto era quella da pesca. Di quelle ne era un vero esperto: ne possedeva di ogni forma e dimensione, adatte per "ogni tipo di pesca".
Le ricordo sparse un pò ovunque, a volte dimenticate (con tanto di bottino...) nel baule delle sue magnifiche "macchine nuove acquistate in demolizione", magari sotto il sole cocente di agosto, per la delizia dei nasi di quei pochi che si trovavano costretti a salire in macchina con lui.
La poesia dedicata a Ciàn è davvero speciale, come speciale è stato - e sarà sempre - il mio caro "Zio Bello".
Andrea.
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