Memorie
dal «Quaderno» (4)
di
Giovanni Pulini
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Mi piace conservare certi dettagli del mio
passato; non ho la pretesa di pensare che siano ricordi speciali della mia
generazione, ma provo il compiacimento di poterli raccontare a tanti anni di
distanza.
Nel palazzo dove vivo ho un piccolo locale al
piano terreno, che io chiamo L’Atelier,
dove c’è un po’ di tutto, ci passo le giornate a stendere colori su tele,
ascolto musica, scrivo qualche ricordo e alle pareti ci sono mensole sulle
quali tanti oggetti mi ricordano il passato. Un giorno, che non avevo voglia di
creare, cominciai a rovistare nei cassetti, non alla ricerca di qualcosa in
particolare, ma frugavo in mezzo alle mie cose con curiosità. Trovai una busta
che conteneva un foglio: era il conto di un pranzo che si era tenuto con amici,
a metà degli anni Ottanta.
Quell’anno avevo
scelto di villeggiare in una palazzina, a Punta Marina Terme, di proprietà
della signora Wanda Cervellati. L’edificio disponeva di una decina di
appartamenti arredati, tutti adibiti a casa per le vacanze.
Dopo qualche giorno dal mio arrivo giunsero
cinque famiglie provenienti da città lombarde;
guardando i loro bagagli pensavo fra me e me di aver sbagliato luogo di
villeggiatura in quanto i nuovi arrivati mi apparivano di ceto molto lontano
dal mio: se così fosse stato, probabilmente avrei passato una villeggiatura non
troppo felice, ma mi riservai qualche giorno prima di trarre conclusioni, forse
sbagliate.
La palazzina aveva uno spiazzo, che potrei
definire un parco, dove grandi pini ombreggiavano tutta l’area. Al limite dello
spiazzo la proprietaria si era fatta costruire un capanno ove si ritirava
durante l’estate per lasciare spazio agli ospiti. Mentre facevo le mie
silenziose valutazioni, scesero nel parco alcune persone dei nuovi arrivati e
subito la Cervellati uscì dalla casetta dicendo, in una lingua che assomigliava
più al romagnolo che all’italiano, che il barbecue,
il parco e i tavoli erano a disposizione di chi lo avesse desiderato.
L’arredamento degli spazi comuni non era di grande qualità o raffinatezza, ma
la padrona di casa era una donna di grande generosità, quella ben nota delle azdore romagnole. Il nuovo gruppo di
villeggianti, che nel frattempo si era infoltito, rimase colpito favorevolmente
dalla spontaneità e disponibilità di Wanda.
Ai primi approcci
capii che avevo sbagliato le mie valutazioni: erano persone che avevano bisogno
di vivere una vacanza molto semplice. Già la prima sera mangiarono sotto i pini
con grande allegria, poi mi chiamarono per unirmi a loro per un caffè al bar
vicino. Capii che erano dei piccoli imprenditori e che avevano scelto Punta
Marina, e il suo contesto, per trascorrere una vacanza in piena libertà.
La settimana successiva arrivarono da Modena
anche Maurizio, la moglie Carla e la loro bimba di una decina d’anni, Angela. Maurizio
era un ragazzone biondo, aveva un viso solare, corporatura robusta e carattere
incline ai piaceri della tavola. Si occupava di programmazione di computer, a
quei tempi mestiere molto apprezzato, ed aveva frequentato una scuola negli
Stati Uniti.
Dopo qualche giorno l’atmosfera era molto
confidenziale fra tutti, compresa la Cervellati. Il barbecue era sempre in funzione, si giocava a carte fino a notte
fonda e Maurizio, steso nell’amaca, suonava brani caraibici con la sua chitarra
che evocava lontani mari e paesi.
Punta Marina Terme era poco più di un
villaggio di pescatori, le ordinatissime case ad un piano erano immerse in una
pineta spettacolare dove, al mattino presto, predominava l’odore della resina.
Non c’era un locale per ballare e nemmeno un cinema. La musica insolita di
Maurizio si avvertiva in lontananza e molte persone, che la sera passeggiavano,
ne venivano attratte tanto da formare capannelli di curiosi davanti al nostro
parco; tutto il paese ne parlava. Eravamo di colpo diventati famosi. La sera
andavamo in gruppo al bar per il caffè ed il barista ci liberava il banco;
tutti ci salutavano, nessuno conosceva i nostri nomi, eravamo semplicemente “i
clienti della Cervellati”.
In questa
atmosfera goliardica, decidemmo, tutti d’accordo, di organizzare un pranzo
comune per il giorno di Ferragosto. La Wanda si mise a disposizione e si
stabilì il menu che ovviamente includeva cappelletti fatti sul posto assieme alle
donne della comunità. Ordinammo al ristorante vitello arrosto e patate fritte
per trenta persone, tanti erano i commensali, mentre il fruttivendolo ci
avrebbe preparato e portato a domicilio, data l’occasione speciale,
monoporzioni di frutta, vino ed acqua.
Il 15 agosto
legammo delle fettucce colorate ai rami degli alberi e bandierine multicolori
all’inferriata prospicente la strada, poi apparecchiammo i tavoli all’ombra dei
pini: avevamo creato un arredo che nel paese non si era mai visto! La festa
finì verso sera e ricevemmo tanti complimenti da tutti. Della festa se ne parlò
per un pezzo, nel paese. L’anno successivo tornai e tanti mi chiesero se
l’avessimo rifatta. La Cervellati mi disse però che le persone dell’anno
precedente, per impegni di lavoro, non sarebbero tornate. Non le vidi più per
molto tempo.
Un paio di anni fa, per le strade di Punta
Marina Terme fui incuriosito da una signora che sosteneva col braccio un uomo
al suo fianco; entrambi mi ricordavano qualcosa. Era Carla e l’uomo era
Maurizio che però non aveva più le sembianze di un tempo. Mi riconobbero subito
e ci abbracciammo con grande commozione. La moglie mi spiegò brevemente che
l’uomo era ridotto in quello stato a causa di un ictus che lo aveva colpito due
anni prima. Erano tornati a villeggiare a Punta Marina e passavano intere
giornate nel solarium dell’albergo. Quel giorno Carla aveva accompagnato il marito dal barbiere.
Furono attimi di
piacevoli amarcord, per loro e per me che, per quasi trenta anni, sono sempre
ritornato a villeggiare in quella località, portando nel cuore il ricordo di
quella allegra, bellissima ed irripetibile estate.
Giovanni Pulini, Luglio 2015
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