sabato 15 maggio 2010

La simpatia innata di Sintòñ


Un personaggio filese da non dimenticare

di Agide Vandini



L’ho sempre visto sorridente Sintòñ, ovvero Sante Berti, soprattutto quando, dalla strada ghiaiata salutava mia madre di cui era lontano cugino, al passaggio in bicicletta davanti a casa nostra.

Andava di buon passo allora, diretto all’osteria dove, in compagnia di altri amanti del buon vino amava stare in compagnia e darsi qualche bel “pugno sotto il naso” come berciava spesso mio padre.

In uno dei racconti del mio ultimo libro, La valle che non c’è più, ho tracciato un bel profilo del personaggio ed ho in particolare raccontato l’esilarante storia dei due bottiglioni di vino che, al tempo della guerra, i tedeschi volevano confiscargli alla Bastia, bottiglioni di biondo tarbiàñ che difese da leone da quelle grinfie, e che finì per tracannarsi seduta stante, e per intero, pur di sottrarli al nemico[1].

Per paradosso, e contrappasso quasi dantesco, il buon Sintòñ perse la vita, qualche anno fa, ormai anziano, sprofondando in bicicletta nel familiare canalèñ, quello che costeggia il vecchio e primo argine circondario delle antiche valli. Amaro e singolare destino davvero quello di Sintòñ, così amante del vino, finito incredibilmente per annegare in poche braccia di acqua torbida.

Aveva avuto in assegnazione, qualche anno prima, un poderino in quei paraggi; si trattava di quattro palmi di terra di bonifica avuti con la riforma degli anni ’50 e da lì faceva ogni tanto le sue rapide incursioni in paese dove era da tutti benvoluto per la bonomia, il candore e la simpatia innata. Quando aprì il Ristorante-Osteria-Bottega in località Sant’Anna, egli ne diventò subito uno dei frequentatori più assidui. La foto l’ho avuto proprio da Armando Cervellati fondatore e creatore de “Il cavallino bianco”, ancora oggi in attività con l’intraprendente figlia Nadia, e che di tanto in tanto organizza una serata speciale con tanto di proiezione di vecchie diapositive per clienti ed amici, nel suo ristorante oggi ammodernato e ben avviato.

Sintòñ, qui in technicolor, lo vediamo in maglietta bianca, con la mano che si accarezza lo stomaco (oltre a quanto probabilmente ci ha appena messo dentro), ovviamente sorridente, mentre scambia due chiacchiere nel cortiletto che sta davanti al «cavallino bianco» con l’amico Bunëga.

Sono tanti gli aneddoti che lo riguardano e che ancora si raccontano a Filo, ma qui vorrei rammentarne uno solo, inedito, che testimonia dell’arguzia del simpatico contadino e pure di quel tanto di diffidenza ed ostilità verso l’Autorità che qui caratterizzava un tempo le classi più umili. Erano Autorità che, anche dopo la liberazione dai tedeschi, Sintòñ come tanti altri, sopportavano a fatica.

Ripresa la vita normale dopo la guerra, i Carabinieri presero a rivolgere metodici e asfissianti controlli alle biciclette della povera gente. A loro dire, mancavano sempre di questo o di quello, pareva alla nostra gente che i tutori dell’ordine, con linguaggio ed accenti forestieri e già anche solo per questo, arduo da comprendere, ostentassero persino un certo piacere nel multare e nel mostrare ai filesi le carenze regolamentari di un mezzo peraltro così necessario per spostarsi da un posto all’altro.

Si sentiva dire e lamentare dai paesani di multe inaudite, una volta perché mancava il campanello, un’altra volta il fanalino posteriore e così via. Lui, Sintòñ, memore ancora dell’esperienza dei famosi bottiglioni, non temeva tanto la multa, quanto l’apparire dell’ironico sorriso di compiacimento che avrebbe visto sulla faccia dei militi. Dopo le battute minacciose subite dalla SS e da cui si difese gloriosamente alla Bastia al tempo di guerra, non avrebbe mai più voluto vedere quel sarcasmo in faccia a nessuno, figuriamoci poi per quisquilie come una pandôra o una strésia žala int i pedél…[2]

Fu così che, colto da buona ispirazione e per togliersi una volta per tutte ogni pensiero, lui in genere assai trascurato e semmai affezionato a ben altre cose di questa vita, andò ligio ligio dal meccanico, e gli raccomandò di mettere in ordine la bici di tutto punto.

Da quel giorno, non ebbe più preoccupazioni, anzi: ogni volta che veniva fermato dai gendarmi, e capitava spesso, dava, con una punta di compiacimento, questo tipo di piccata risposta: «A putì fê d mènc ad farmêm cun la bicicleta, parchè mẹ, par freghêv, a žir in régola...» (Potete fare a meno di controllarmi la bicicletta, perché io, per beffarvi, giro in regola …).



[1] Si veda, nel testo citato, il brano Spugne di varia categoria.

[2] La pandôra è il fanalino posteriore che ricorda la forma e il colore dell’ortaggio e le strisce gialle sui pedali i prescritti catarifrangenti.

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