Foto,
aneddoti e notizie storiche del calcio filese che abbiamo amato
di
Agide Vandini
Capitolo
I° – I tempi dell’US Filese (dai primordi al 1950 circa)
In piedi e da sinistra: Giuanòñ Geminiani, Max Barabani, Ghéo Vandini, forse Pipòñ
Fabbri, Murgagna Vandini. Gli
accosciati sono Ovidio Saiani e, forse, Ezio Natali (Martìñ). Seduti, da sinistra: Raflòñ
Vandini, Catóna Siroli (asso
dell’epoca) e Pipĕñ Toschi.
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La foto è dei
primi anni ’30. E’ scattata alla «Pradina», il primo vero campo da calcio
filese, un prato ai margini della S-ciapèta,
dove i pionieri paesani del fótbal,
con tanto di scarpe bullonate e pantaloni corti, hanno allestito porte e
terreno di gioco.
Sono i primi ragazzi
appassionati ae’ žug de’ palòñ, uno
sport ove necessita un oggetto in cuoio tanto prezioso e costoso che negli
anni ‘20, così raccontava mio padre, non possedeva praticamente nessuno. Si
giocava con quel che si rimediava in casa: una palla di stracci che rotolava
a fatica nel fango e nella polvere, in battaglie furiose che si tenevano lì
alla Pradina, oppure al Campicello nei pressi delle scuole. Pippi Geminiani, che coi suoi amarcord
mi ha dato una buona mano in questa paziente stesura, chiese un giorno al
papà Giuanòñ d’Pisini (classe 1915,
foto a fianco), come si comportava un terzino come lui in quel periodo. Gli disse
che era già una prodezza dare un calcio lungo e più in avanti possibile…
Mio padre Ghéo (classe 1912), uno di quei
pionieri, era stato iniziato al fótbal,
ancora ragazzino, dallo zio Tonino
Cavalli, sarto in Bologna. Lo accompagnava allo stadio ogni volta che veniva in
città con la madre Agida, in frequenti visite ai propri fratelli (Amilcare,
Eufemia e Tonino) tutti nati a Filo,
ma colà stabiliti.
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Fu
un’attrazione, quella per il calcio, che mio padre si portò dietro per tutta la
vita. Prese anche ad amare il Bologna del mago Felsner, quello di Schiavio, di
Della Valle e di Muzzioli (detto Teresina), uno squadrone che, proprio in
quegli anni, si faceva largo nel campionato italiano e vinceva i suoi primi
scudetti (1924-25 e 1927-28[1]).
Tutti e tre i figli dell’Agida vennero conquistati dagli atleti in mutande: Ghéo e Raflòñ diventarono fervidi sostenitori rossoblù; il più giovane,
Sereno, detto Murgagna, che per un
po’ si diede con passione al ciclismo, fu invece più attratto dai colori interisti,
squadra del grande e impareggiabile Meazza. Una volta ritornati in paese, fra
la curiosità dei coetanei e dei primi appassionati, i tre fratelli Vandini raccontarono
sempre le mirabilie del grande fótbal
ed ogni più bella impresa dei loro beniamini.
Interista e
grande appassionato filese di calcio fin dagli anni ‘20 fu anche Ezio (Martìñ) Natali, fratello di Céncio, personaggio già noto a questo
blog, morto di peritonite nel 1936 all’età di 28 anni[2].
A fine anni ’20 Martìñ sacrificò talvolta
anche il pasto per poter andare con l’amico Ghéo,
e con altri giovanotti filesi, in bici fino a Bologna dove si esibivano i più
celebrati campioni[3]. Ghéo peraltro aveva già visto,
quindicenne, assieme allo zio Tonino,
il grande e leggendario Zamora nei suoi anni migliori[4].
Era avvenuto a Bologna nel 1927, nel giorno dell’inaugurazione del Littoriale,
poi Comunale, oggi Stadio Dall’Ara[5].
Lui, affascinato da Anzlèin Schiavio
e dal suo istinto di centravanti, era rimasto ammirato da quel portiere
praticamente imperforabile, ancor oggi considerato il più grande di ogni tempo.
Abbandonò però assai presto le mal riposte velleità di zéntratàc di campagna, allorché – questo me lo raccontò mia madre –
ebbe a rimediare, in una partita fin troppo accesa e combattuta, un pauroso
calcio in zucca.
In quegli anni
Trenta, grazie alle due vittorie azzurre nella coppa del mondo ed alle prime
radiocronache di Nicolò Carosio, sulla scia di una passione allargatasi a
macchia d’olio, si giunse alla creazione di una vera e propria società sportiva
paesana in grado di portare Filo nei campionati dilettanti della Romagna.
Ovviamente mio
padre, uno che da tempo sapeva cos’era l’off-side,
il corner, il “metodo” e che
s’intendeva di half e centr’half (i centrocampisti di allora)
fu uno dei dirigenti fondatori della U.S. Filese, ed a lui si associarono altri
inseparabili compagni della storica foto alla «Pradina».
US Filese. Campo dell’Oca-Pisana. Fine
anni ’30.I due dirigenti sono Giuanòñ Cobianchi
e Ghéo Vandini; i primi due giocatori
in piedi da sinistra sono Ludovico Barabani ed Eugenio (Šlancio) Ghiselli. Il primo degli accosciati ( da sinistra è Sereno
(Murgagna) Vandini, il terzo è Max
Barabani, poi Catóna Siroli, Tullio
d Rös e Ovidio Saiani. Seduto e in
divisa da portiere è forse Lépro
Ricci Lucchi.
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Il miglior
calciatore filese di quei tempi si dice fosse Catóna Siroli che poi finì per giocare nell’Argentana. Alcuni di
noi lo ricordano, già anziano, giochicchiare al campo nel dopoguerra: entrava
per un paio di tiri in porta nel pre-partita, si piazzava con sicurezza nel
semicerchio a bordo area e con studiate finte, sferrava micidiali tiri di
sinistro all’ungherese che i malcapitati portieri raramente intercettavano. Pippi se lo ricorda così: « Il mitico
Catóna lo vidi indossare la maglia
del Filo in una partita, ma era già avanti con gli anni; giocava ala sinistra
ed era apprezzato per il suo mancino: fintava di mettere la palla in mezzo e,
poi, di punta, mentre il portiere pensava al cross al centro, lo infilava
come un tordo. Dicono avesse notevoli capacità, ma la guerra...».
Va da sé che il
calciatore paesano venisse identificato col solo nomignolo, un soprannome
dialettale che ho perciò sistematicamente riportato nelle mie didascalie.
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A fine anni ‘30,
quando la «Lodigiana» volle impiantare alla Pradina
un esteso frutteto, il campo sportivo fu allestito fuori paese, lungo l’Oca-Pisana,
di fronte alla casa colonica Trioschi.
Manëla (Aldo Tirapani, classe 1923) ricorda
che il colore delle maglie anteguerra era nero-verde e che lui giocava a
centrocampo, nel quadrilatero di mediani e mezze ali che formava l’ossatura
della squadra. Proprio a quei tempi cominciò a tirar calci un campioncino di
classe pura, un talento naturale, una mezzala completa classe 1920. Era Antonio
Geminiani detto e’ Gàg’, fratello di Giuanòñ d’Pisini, considerato, da chi poi vide anche i nostri più forti
giocatori degli anni ‘50, il miglior talento filese di ogni tempo.
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Pare che, per
caratteristiche, egli ricordasse vagamente il grande Mazzola (ovviamente il
granata Valentino) che giocò nel suo ruolo. Con la sua classe, si diceva
ancora negli anni ’60 e ‘70, a Filo non ci fu più nessuno. Morì tragicamente, e’ Gàg’, come si è raccontato in questo blog, nell’aprile del ’46
all’età di 26 anni, per lo scoppio di una mina (http://filese.blogspot.it/2009/10/quei-morti-sulle-mine.html). A chi si
chiedesse perché mai non giocò altrove, va ricordato che in quegli anni di
guerra non c’erano certo i sagaci scout di oggi; poteva succedere che un vero
talento rimanesse confinato nel suo piccolo regno di campagna.
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Così fu per il
nostro Gag’, perito tragicamente a
guerra finita lasciando dietro di sé un alone di leggenda di cui, nella nostra
osteria, si racconta ancora oggi. Riguardo all’amato zio, Pippi conserva un tenero ricordo d’infanzia: «Ricordo mia nonna Clotilde
che gli faceva certe chiarate con le uova alle caviglie (malandate come i
terreni su cui si giocava allora)… Tonino,
detto e’ Gag’, riusciva subito a
rimettersi in piedi. Una volta mi caricò in bicicletta col pallone fra le braccia.
I copertoni della bici erano di gomma dura, sicché, mentre ci recavamo al campo
dell’Oca-Pisana, in una buca mi cadde a terra. Colà giunti mi mise in porta e
cominciò a calciare con poca forza, poi lasciò partire un tiro più forte che mi
seccò le manine. Lui di corsa venne a confortarmi. A stento trattenni le lacrime;
poi arrivarono i grandi e io mi misi a fare il raccattapalle. Stavo dietro la
porta e, quando il pallone finiva nei campi adiacenti, correvo felice per poter
dare un calcio a quella sfera di cuoio: una massa pesante come un macigno. Mi
faceva un gran male ai piedi, ma mi sentivo importante e i grandi mi incitavano
ogni volta con calorosi incoraggiamenti».
Finita la guerra
e ripresa l’attività sportiva, l’US Filese partecipò di nuovo ai campionati dilettanti.
Quando nacque chi scrive, nel novembre del 1945, ebbe per padrini di battesimo,
per volere paterno, tutta una squadra di calcio in divisa di gioco che di lì a
poco doveva scendere in campo (e Ghéo
era fra i dirigenti…). Lépro, il
portiere scavezzacollo di quel giorno, me lo rammentava spesso: «Arcôldat ch’a t’ò badzê me, veh…» [Ricordati che
t’ho battezzato io, eh].
Probabilmente, dunque, un pizzico di follia lo debbo proprio a lui, così come una
passione quasi naturale per il gioco del calcio che non mi ha mai abbandonato[6].
Campo Oca-Pisana. US Filese, metà anni
’40. Calciatori (in piedi) da sinistra: Murgagna
Vandini, Tullio d’Rös, Anter e
Dino di Lavezzola, Minàcci Ricci
Maccarini, Macafër Geminiani.
Accosciati: Baiuchéñ Serafini, Lino Farolfi, Adriano Bugiù, Evelino e
Beppóñ Principale.
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Campo Oca-Pisana. US Filese, fine anni
’40. Da sinistra in piedi: Adriano Bugiù,
Lino Farolfi, Renzo, Baiuchèñ
Serafini, Dino, Beppóñ Principale, Murgagna (Sereno)Vandini, Tullio d
Rös, Anter e Evelino, Macafër Geminiani.
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Spettatori
identificati nella foto di sinistra: Cianì
Salvatori (il primo da sinistra), Giuanèñ
(o Topolino) Guidarini, alla sinistra
di Sereno, Zi-zi d Pĕr (sopra Giuanèñ), Gardóñ Coatti (fra Tullio ed Anter),
Wander Belletti e (col cappello) Panöcia
Bolognesi (fra Dino e Minàcci), Tugnòñ d Ciarèñ,‘Mondo Belletti e Céncio Natali, con gli occhiali scuri.
Accosciato, oltre il Brigadiere e Beppóñ,
Šébio Cesari. L’ultimo a destra, in
piedi e visibile in tutta la figura è Menotti Quattrini.
La società ripartì con notevoli ambizioni e con
una formazione rinforzata da alcuni elementi di Lavezzola: in primis Lino
Farolfi, un mio cugino per linea materna che a Filo teneva morosa (Velia
Tasselli) e poi Anter (fidanzato della filese Tina Saiani), Adriano Bugiù che
sposò Giuliana Geminiani, infine Renzo, Dino e forse altri. Dal portuense pervennero
altri elementi fra cui Muzzi e Vendemmiati. Il grosso delle forze fu però
sempre costituito da filesi, come si nota dalle didascalie delle storiche foto[7].
«Quelli - racconta Pippi - furono gli
anni del ratto delle donne filesi da parte dei lavezzolesi, ma anche di una
grande esplosione di entusiasmo. Ricordo bene come i žugadùr fossero degli idoli per tutto il paese, specialmente per
noi bambini. Nelle foto mi pare manchi Cavalàz,
un pelato di una certa età che, così dicevano, “dava geometrie alla squadra”. Di quei tempi del dopoguerra, e ancora
al campo dell’Oca-Pisana, ricordo bene Sereno, tuo zio, che giocava all’ala destra:
piccoletto (rispetto a mio padre e Max), ma un vero fulmine. Partiva palla al
piede ed era imprendibile fino a che effettuava il cross al centro, senonché con
quel terreno e con quel pallone, talvolta era un’impresa. C’era ancora un carro
armato mezzo demolito dietro una porta; pensandoci adesso, quella presenza pareva
quasi un monito agli avversari... Una domenica in cui si giocava Filo-Lavezzola,
io, ancora bambino e dietro la recinzione, fui attratto dalla giocata
eccezionale di un calciatore avversario. Ricevette palla al volo da un compagno
e sempre al volo, rimise in mezzo la rozza e schioccante sfera di cuoio; ne fui
ammaliato. Lì forse scoccò la scintilla, l’ardente passione pr e’ žug de’ palòñ»[8].
L’«US Filese» era
dotata di timbro e di uno stemma cucito sulle maglie. Più oltre ne propongo una
ricostruzione. Dal campo dell’Oca Pisana a fine anni ‘40 ci si spostò al sito
attuale, nei pressi del centro abitato, a due passi dal cinema e dalla Chiesa
Parrocchiale. Nacque il «Giorgio Marconi», il campo dedicato ad un caduto
diciottenne, alla più giovane vittima filese dell’eccidio nazi-fascista del ‘44.
Al nuovo terreno di gioco si accedeva scendendo dalla rampa del Cinema Tebaldi,
poi uno stradello girava attorno al fabbricato e portava al rozzo cašuplöt adibito a biglietteria (e
deposito dei sacchi di calce) all’angolo sud-ovest del campo sportivo. Negli
spogliatoi, essenziali e spartani, campeggiava sul settore ospite una scritta
in latino ben ricordata da Falco
(Bruno Folletti) e Pippi: «Nobis hospes sacer sed sunt...»
I Campi
Sportivi di Filo
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La frase, a
caratteri cubitali, ideata dall’allora presidente Max Barabani, era ispirata alla definizione latina «Hospes Hospiti Sacer» ossia al diritto
sacro all’ospitalità. In sostanza metteva preventivamente sull’avviso gli
avversari che: «Per noi gli ospiti sono
sacri ma...». I puntini di sospensione erano un chiaro avvertimento: «Siamo
ospitali, ma attenti ai comportamenti...».
Gli spogliatoi,
dalle mura in pietra nuda, erano privi di docce. Accanto ad essi il buon Méto[9],
l’uomo che rigava e curava il campo, collocava a fine gara alcune bacinelle
fumanti di acqua calda. I giocatori si toglievano allora le fradice maglie
all’aperto e si lavavano alla meglio a torso nudo.
In quei primi
anni del dopoguerra il pubblico pagante era separato dal terreno di gioco da
un’arrugginita corda di ferro (un residuato bellico) appesa a corti pali di
fortuna. Bastava alzare la corda per entrare in campo.
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Infatti, la
domenica, nel terreno di gioco gli spettatori entravano più volte per
giochicchiare al pallone: nel pre-partita, poi fra il primo e il secondo tempo,
infine al termine della gara. Non si ricordano però né invasioni di campo, né
violenze alcune da parte degli sportivi.
Campo Oca-Pisana. US Filese, fine anni
’40. Da sinistra in piedi: Lino
Farolfi, Šébio Cesari, Tullio d Rös, Manëla Tirapani, il sesto è Macafër
Geminiani, poi Minacci Ricci
Maccarini, Beppóñ Principale, Céncio Natali, Murgagna (Sereno)Vandini. Accosciato: Adriano Bugiù.
US Filese. Campo Oca-Pisana, 1947
circa. Gruppo di spettatori e dirigenti. Da sinistra in piedi: Antonio
Cantelli (Briciola) a braccia
conserte, poi
Cleante d’Nuràt (più alto di Briciola); davanti a lui, piegato in
avanti: Minghéñ (Domenico
Martinelli). Procedendo all’altezza di Cleante verso il centro-foto: Pipèta d’Biagio, poi (col cappello) Gambòñ dla Mariuccia (Alfeo Vandini),
al suo fianco in camicia bianca il Presidente Max Barabani, poi Céncio Natali, Panöcia Bolognesi (col cappello), Tacchini, il Brigadiere della
Stazione Carabinieri, Póni e Oddo
Cesari (col cappello); sulla destra in abito scuro Pidòñ (Primo Coatti) e al suo fianco Ezechiele (dla Šbabia) Tirapani. In alto e al di
sopra di tutti Sante Toschi detto Baréra.
Fra gli accosciati il primo è Francesco Baldini e accanto a lui il figlio
William; seguono: Cianì (Luciano
Salvatori), Giuanèñ (Topolino) Guidarini, Giuanòñ (Giovanni Pollini), Nénci (Enzo Squarzoni) e Menotti
Quattrini. L’ultimo, in camicia bianca, è Carnéra
(Loredano Trentini).
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Campo
Oca-Pisana. US Filese, anni ’40. Macafër
Geminiani, Murgagna Vandini e Anter
di Lavezzola.
Campo Sportivo «Giorgio Marconi» primi
anni ‘50. Macafër Geminiani e Šlancio Ghiselli[10].
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Una tessera
dell’US Filese (Collezione Piero Gessi)
Spettatori al Campo Sportivo «Giorgio
Marconi». Da sinistra: Bögart (o Ciàñ) Montanari, poi Guzéra Amadesi (cappello e soprabito
chiaro), Bianchini (trasferitosi a Longastrino), Banzi Elio (cappello e
cappotto scuri) e ‘Mondo Belletti
(il giovane più alto). Proseguendo verso destra, il ragazzino in soprabito
con cintura è forse Silvano Coatti (Silaia);
al suo fianco, galöza in testa, c’è
Angelo (Zarù) Panizza; proteso in
avanti, Pél Principale. Il
penultimo a destra dovrebbe essere Rêna
(Renato Montanari)
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Campo Sportivo «Giorgio Marconi». US
Filese, fine anni ’40. Il gruppo dei dirigenti. Da sinistra: Catóna Siroli, Giuanòñ (d’Pisini)
Geminiani, Arturo (Vivadio)
Cobianchi, Giuanòñ (o Scudëla) Cobianchi, Ricco
Tamba, Agide (Gidìno) Mezzoli,
Guerriero (Ghéo) Vandini, Felice
Marangoni, Afro (Amato) Rossi,
Libero Ricci Maccarini, Céncio
Natali. Fra i due Cobianchi, si intravede in divisa di gioco, Bruno (Bajuchéñ) Serafini.
Campo Sportivo «Giorgio Marconi». US
Filese, fine anni ’40. Da sinistra in piedi: Adriano Bugiù, Vendemmiati (?), Manëla Tirapani, Beppóñ Principale, Šébio
Cesari, Lino Farolfi, [Longo?Casarini?],
Baiuchèñ Serafini. Accosciati: Evelino,
Tullio d Rös, Murgagna (Sereno)Vandini.
In abiti civili Céncio Natali.
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Presidente di
quel periodo fu sempre Max Barabani; accanto a lui consiglieri intraprendenti e
con idee coraggiose. Si fece strada l’idea, per finanziare la società di calcio,
di organizzare spettacoli d’attrazione al Cinema Tebaldi. Ad inizio anni Cinquanta,
credo lo stesso anno 1950, fu ingaggiato a Filo, per una festa da ballo, niente
meno che il gruppo musicale più noto d’Italia, la famosa Orchestra Angelini,
coi suoi cantanti: Nilla Pizzi, Achille Togliani e Luciano Benevene[11].
Il prezzo del biglietto a 500 lire (il valore di una decina di giornali) fu però
giudicato troppo salato per quei tempi e la sala rimase pressoché deserta. ‘Mondo Belletti, allora un giovanotto,
interpellato in proposito da Pippi,
ricorda che quella sera, fece molta fatica a racimolare la somma per entrare.
Fine anni ’40. Max,
Macafèr (in divisa di gioco sotto
il soprabito)
e il Brigadiere
a bordo campo (Raccolta di Loris Veduti)
|
Il
Maestro Angelini venne a Filo con una trentina di elementi. Purtroppo, in
quella stessa sera, cantava ad Argenta Luciano Tajoli. Fatto sta che la
serata fu un fiasco bello e buono tanto da segnare il fallimento dell’Unione
Sportiva; si ripartì però subito con un'altra società: il C.S.C (Circolo
Sportivo Culturale) FILO.
Con quel nuovo
nome, il nostro calcio, con atleti quasi tutti filesi, diventò ben presto
protagonista di importanti successi e, trascinato dall’entusiasmo crescente
di tantissimi sostenitori e spettatori, si impose per alcuni anni fino a
raggiungere i più alti livelli dilettantistici. Il calcio e gli atleti filesi
si guadagnarono, meritatamente, l’ammirazione di tutti i paesi vicini. Questa
però è già un’altra storia che cercherò di trattare prossimamente.
|
(1 – continua)
L’Orchestra
Angelini
|
Mario Pezzotta
|
Nilla Pizzi col
maestro Angelini in immagini
dei primi anni
‘50 ritrasmesse da Rai Uno.
|
Achille Togliani
|
Luciano
Benevene
|
[1] Lo scudetto del
1927-28 fu revocato al Torino per illecito, ma mai assegnato al Bologna secondo
classificato. Vinto di fatto dal Bologna, non fu mai assegnato a tavolino e non
figura nell’Albo d’oro rossoblù, dove pure compaiono altri 7 scudetti.
[2] A proposito di Martìñ, Pippi ricorda: «Mio padre diceva
che tifava Inter come lui ed era di una competenza straordinaria, girava sempre
con i giornali sportivi, quando riusciva a comprarli».
[3] Libero Ricci
Maccarini, all’interno del capitolo dedicato a Martìn, ci racconta la bella avventura di tutta la compagnia filese
allorché, il 22 giugno 1930, si recò allo stadio di Bologna ad assistere all’amichevole
Italia-Spagna. Un insieme di aneddoti da non perdere (L. Ricci Maccarini, Dal
Palazzone, Argenta, Centro Stampa Offset, pp. 8-10). Io posso aggiungervi
il tabellino della partita trovato in rete: ITALIA-SPAGNA 2-3 (22 giugno 1930);
MARCATORI: Costantino 3, Regueiro L. 30, Costantino 40, Regueiro L. 73,
Vantolra 89; ITALIA: Combi, Rosetta V. (Monzeglio 46), Caligaris, Colombari,
Ferraris A., Pitto (Martin D. 46), Costantino, Baloncieri, Meazza, Magnozzi,
Orsi (All. Pozzo); SPAGNA: Zamora, Ciriaco, Quincoces, Prats, Guzman, Peña,
Vantolra, Regueiro L., Goiburu, Padron, Bosch (All.Larrucea); ARBITRO: Van
Praag (Belgio). Dell’evento si conserva anche un filmato dell’Istituto Luce: http://www.youtube.com/watch?v=kP0Tb7i3QB4
[4] Ricardo Zamora,
classe 1901, considerato un dei più grandi giocatori del XX secolo, fu chiamato
Divino. La gente diceva di lui: «Non esistono che due portieri, San Pietro in
cielo e Zamora sulla terra».
[5] Questo il
tabellino dell’amichevole di domenica 29 maggio 1927, ore 16.15, al Littoriale di Bologna.
ITALIA-SPAGNA 2-0; MARCATORI: Baloncieri 31, Prats autorete 50. ITALIA: Gianni,
Bellini, Caligaris, Genovesi, Bernardini, Giordani, Munerati, Baloncieri,
Libonatti, Della Valle, Levratto - Allenatore Rangone Augusto; SPAGNA: Zamora,
Olaso A., Zaldua, Prats, Gamborena, Peña, Sagarzazu, Regueiro L., Yermo,
Echeveste, Olaso L. – Allenatore: Commissione tecnica della Federazione.
ARBITRO: Rous (Inghilterra).
[6] Del resto, di
fronte ad un tipo strano e bizzarro, da noi si usa chiedere all’interessato: «Mo’ te, chi t’àl batžê?»[Ma chi ti ha
battezzato mai?] Il pirotecnico personaggio di Lépro l’ho immortalato ne’ Il
cestello dei Ranocchi (Ravenna, Longo, pp.11-17) in uno dei miei racconti
più riusciti, «Arieti e dischi volanti». Alla passione per il calcio ero
destinato, se si pensa che mio padre, prima ancora che imparassi a leggere mi riforniva
di figurine che custodivo in una cassettina di legno, sempre più ricolma. Erano
le figurine del dopoguerra, di cartoncino e a bordo giallo, che non s’incollavano
ad alcun album, da mettere in palio nel gioco della marëla o del zacàgn, al Campicello o davanti alla chiesa. Gli
amici di mio padre, me ne portavano a decine. Al loro arrivo in casa correvo a
prendere la cassettina, tenuta söta e’
tracantòñ [sotto il mobile ad angolo della cucina] e mi facevo dire i nomi
che, in seguito, per il loro divertimento, enunciavo alla vista della sola figura.
Fu così che familiarizzai con nomi epici di calciatori che tuttora mi risuonano
in testa, come Toro, Tognon, Silvestri, Tortul, i Sentimenti da I a IV, fino ai
campioni gloriosi del Grande Torino.
[7] I riconoscimenti
sono stati effettuati in collaborazione con Carla Vandini e Giovanni Montanari.
[8] Da bambino Pippi fu anche protagonista di un
episodio assai simile a quello del raccattapalle di Ascoli avvenuto negli anni
’70 (si veda l’intera storia in http://www.storiedicalcio.altervista.org/savoldi_raccattapalle.html ): «[…]Come
tutti sanno a Filo il campo era recintato per modo di dire ed io, spettatore in
compagnia di altri ragazzi, mi appostai dietro la porta. Durante la partita gli
avversari, per un’uscita maldestra del nostro portiere, non ebbero che a
depositare la palla in rete a porta sguarnita. Io a quel punto, vicinissimo al
palo della porta, respinsi la palla prima che varcasse la linea bianca. Fu il
finimondo: giocatori, arbitro, pubblico, annichilirono tutti. Io salvai un goal,
è vero, ma poi arrivarono risate da ogni parte ed io, conscio del gesto, mi
vergognai profondamente. Credo fosse una partita di campionato, non amichevole.
Per qualche giorno la mia ragazzata fu al centro delle chiacchiere paesane, poi
si dimenticò in fretta. Tutti tranne me…»
[9] Personaggio
anch’esso da me ricordato nel racconto «Arieti e dischi volanti» citato in
precedenza.
[10] La foto di
questi due caratteristici personaggi («Macafër,
con quella sua risata particolare, e il mitico Šlancio…»), scatena i ricordi di Pippi: «Il primo, finita la guerra guidava una jeep. Un giorno in
cui io portavo da mangiare ai miei genitori a
la machina da bàtar [alla trebbiatura], vidi che Macafër con la jeep andava avanti e indietro e riforniva di covoni la
trebbiatrice. Io lo guardavo estasiato su quel mezzo e sognavo ad occhi aperti di
guidarlo. Quasi mi avesse letto nel pensiero mi disse: ”Pippi, dai, salta su che ti faccio guidare!” Per tutto quel
pomeriggio di luglio toccai il cielo con un dito, la sera faticai a prender
sonno tanta era la mia felicità e la gioia dell’esperienza. Alla fine vinse la
stanchezza. Šlancio poi, molti anni
dopo, portò tutti noi giovani calciatori al provino indetto dalla Spal a
Ferrara. Seppi poi che avevano avuto qualche intenzione di prendermi, ma che Max,
all’epoca ancora nel giro, aveva espresso parole poco lusinghiere nei miei
confronti. Non penso però che soltanto a questo fosse dovuto il mio mancato
ingaggio, d’altronde è anche vero che a quel tempo bisognava prendermi con le
molle. Tant’è….»
[11] A questo evento
è collegato un mio ricordo d’infanzia ancora vivissimo. I miei genitori, come
usava all’epoca, mi portavano con loro sia al cinema che alle feste da ballo, anche
all’età dell’asilo. Quella sera, nel cinema trasformato in sala da ballo
avevamo il tavolino vicino al palco in legno e con mia sorpresa uno dei
suonatori chiese a mia madre di farmi salire vicino a lui. Pur fra mille
apprensioni, mia mamma acconsentì e io piombai fra trombe e tromboni, senza
capire cosa diavolo dovessi fare. Questo suonatore dalla faccia rubiconda e
simpatica, che seppi poi trattarsi di un affermatissimo trombonista italiano,
pare avesse visto in me, piccolo e biondino, qualche somiglianza con un bimbo
scomparso o qualcosa di simile. Questo lo seppi dai racconti successivi di mia
madre. Quel che ricordo nitidamente è la gentilezza e l’allegria di quel
signore: non faceva che mettermi in mano tamburelli e percussioni di vario
genere mentre io, che ad un certo punto cadevo dal sonno, lo guardavo e
rimiravo a bocca aperta le sue dita prodigiose: faticavo a capire se il
trombone avesse una specie di bastoncino mobile, oppure se lui muovesse, avanti
e indietro, una metà dello strumento. Quel simpatico e gioviale trombonista,
che poi ho rivisto ed ammirato qualche anno dopo in TV, era il grande e
indimenticato Mario Pezzotta: http://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Pezzotta
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