di Agide Vandini
Sul tema spinoso dei «confini della Romagna», ed in particolare del «confine nord», mi sono cimentato un paio di volte[1]. Ho usato l’aggettivo «spinoso» e credo che, da sempre o quasi, l’argomento lo sia. E’ altrettanto vero che da questi confini dipende, non tanto un’appartenenza amministrativa, quanto un’identità culturale, e quindi credo sia giusto tornarci sopra cercando di chiarire qualche concetto.
Scriveva in proposito Giovenale Santi che «i litigi in Romagna sono particolarmente sconsigliati, e particolarissimamente si sconsiglia di discutere con i Romagnoli quali siano i confini della Romagna. Se vi si fosse tirati per i capelli, ci si tenga sul vago e si stia sul largo, si tagli sempre con abbondanza»[2].
Peccato che poi, dopo una simile lodevole premessa, lo stesso autore si sia lanciato in una ricostruzione monca ed improvvisata dei confini settentrionali romagnoli, basata su considerazioni del tutto arbitrarie ed avventate[3]. Del resto, si sa quanto sia più facile predicare, che non razzolare…
Certo è che, sul termine «Romània o Romagna», nel corso dei secoli si è fatta un po’ di confusione. Fu coniato, a quanto se ne sa, nel VI secolo, e definì il territorio fedele alla romanità in tempi di occupazione longobarda, territorio riconducibile all’odierna regione Emilia-Romagna ad oriente del Panaro.
Poi, però, con l’andare dei secoli, con lo stesso termine si è preso ad indicare, nel comune intendere, un’area più ristretta ed omogenea quanto a parlata, usi, costumi e cultura popolare. A differenza della «Romagna storica», insomma, nella «Romagna moderna» non si fa più rientrare, per convenzione, né «bolognesi», né «ferraresi», i quali, d’altronde, romagnoli non si sentono per nulla.
La più classica definizione dell’originaria Romagna la dobbiamo ai celebri versi di Dante Alighieri che ci ha lasciato precisi connotati geografici: tra ‘l Po e’l monte e la marina e ‘l Reno…[4]
Chiare vi appaiono le delimitazioni territoriali ai quattro punti cardinali della Romagna di allora, ossia il confine nord (il Po), quello sud (il monte), quello est (la marina), quello ovest (il Reno). Naturalmente, per posizionare correttamente tali confini, si deve far riferimento alla geografia fisica e politica dell’epoca, quella da cui il Sommo Poeta non poteva prescindere.
Il Reno nel Trecento spagliava e si impaludava nelle valli del bolognese e quindi il confine occidentale dantesco non poteva che corrispondere all’odierno corso iniziale del fiume, ossia al tratto che, dall’Appennino, fin quasi a Poggio Renatico, punta dritto verso nord[5].
La «Romagna» dantesca include insomma il territorio «bolognese» e il Poeta lo ribadisce poco dopo quando, fra i tanti buoni romagnoli del passato, annovera il bolognese Lambertazzi già a capo dei ghibellini di Romagna (Oh Romagnuoli tornati in bastardi! / Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?/ Quando in Faenza un Bernardin di Fosco,/ verga gentil di piccola gramigna?).
Anche il «ferrarese», naturalmente, per Dante è in Romagna. Egli colloca per questo il confine settentrionale al Po includendovi tutti i suoi rami deltizi, considerato che le dimensioni dell’ex Esarcato, e quindi la giurisdizione papale, giungeva allora fino all’Adige.
Questo, stando a considerazioni logiche, poiché la «Romagna», nella visione politico-geografica di Dante, non poteva discostarsi dall’area di influenza «papale», un’area in cui le investiture feudali o signorili erano di spettanza pontificia, soprattutto dopo la rinuncia ad ogni potere sulla «Romània» fatta dall’imperatore Rodolfo d’Asburgo pochi anni prima, nel 1278. Il confine con l’egemonia «imperiale», il limes, si collocava, com’è noto al Panaro o, in molti punti, fra questo ed il Reno.
Ma se tale era l’estensione della «Romagna o Romània» al tempo di Dante, come doveva viceversa definirsi quell’area più ristretta e linguisticamente omogenea che, già all’epoca, si differenziava quanto meno «politicamente» dal resto della regione, tanto da costituirne una specifica Provincia?
Qui, a mio parere, ci viene in soccorso, cinquant’anni dopo la morte di Dante, il Cardinale Anglic Grimoard De Grisac, fratello del papa Urbano V che, inviato a Bologna come legato apostolico, nel 1371 fece stilare, unitamente ad una «Descriptio civitatis Bononiensis», una preziosa «Descriptio provinciae Romandiolae», ove, con rispetto ad ogni comitatus, civitas, castrum, villa, ecc., fu censito il territorio romagnolo fino al confine col «Ferrarese», confine che vediamo correttamente tracciato nella tavola elaborata dal Mascanzoni[6].
Nel particolare, ove le linee punteggiate rappresentano i confini di comitatus, non sono indicati tutti i villaggi a sinistra del Padus Primarii censiti nella Descriptio. Eccoli allora elencati da ovest ad est coi focularia fra parentesi: Villa Sancti Blasii (50), Villa Sablonarie (18), Villa Domorum Selvaticorum (34), Villa Lombardie (40), Villa Riperie Fili (25), Villa Longastrini (33), Villa Fossa Pudole (18, unico villaggio alla destra del fiume), Villa Humane (9), Villa Sancti Alberti (22). Si noti come la riviera fluviale contasse all’epoca ben 249 focularia, una popolazione di tutto rispetto se si considerano i 70 di Russi, i 33 di Conselice ed i 1743 di tutta la civitas Ravennae.
Sul posizionamento del confine settentrionale della Romandiola alla linea delle Valli di Comacchio ora prosciugate, non sussistono dubbi, dal momento che
Argenta, d’altra parte, ravennate in origine, ma da un paio di secoli vittima delle mire espansionistiche ferraresi, all’epoca della Descriptio era già stata affittata (ed in procinto di essere venduta) alla Signoria Estense, intenzionata ad esercitarvi il controllo della navigazione fluviale sul Po di Primaro.
Dunque la «Romagnola» o «Romandiola» che dir si voglia, è il termine con cui nel Medioevo si identificava l’odierna «Romagna», termine peraltro con cui i ferraresi hanno continuato a definire fino all’Unità d’Italia i loro possedimenti ravennati. Di questa Provincia Romandiolae conosciamo bene il confine settentrionale ed abbiamo visto come comprendesse da almeno quattro secoli, anche tutta
Il territorio rivierasco poi, col suo bastione costruito a fine Trecento a guardia di un crocevia fluviale di fondamentale importanza militare e commerciale, sede di un rastellum dai consistenti pedaggi, finì a sua volta agli Estensi verso il 1433, nel quadro dell’espansione quattrocentesca ferrarese, espansione che interessò anche Lugo, Bagnacavallo, Fusignano terre tutte di conquista che diventarono
A conclusione di queste note, allora, si può ben ribadire ancora una volta come l’appellativo di Romagna o Romagnola ferrarese, che fu riconosciuto alle terre restituite alla provincia di Ravenna nel 1861, vada oggi mantenuto per i villaggi dell’antica «Riperia Padi», ossia San Biagio (Sancti Blasii e Villa Sablonaria), Case Selvatiche, Filo e Molino (Villa Domorum Selvaticorum, Villa Lombardie, Villa Riperie Fili), Menata e Longastrino (Villa Longastrini, Villa Fossa Pudole) ed Anita (Villa Humane).
Quale che sia la loro dipendenza amministrativa, questi villaggi e territori, che nel dialetto, usi e costumi romagnoli si sono sempre riconosciuti, hanno anche sostanziose ragioni storiche, per far parte, a pieno titolo, dell’area culturale che fu dell’antica ProvinciaRomandiolae.
[1] Si veda in A.Vandini, Filo la nostra terra, Faenza, Edit, 2004, pp.29-32 e in A.Vandini, Sul controverso confine nord della Romagna, «
[2] G.Santi, Il segreto dei confini romagnoli, in *Guida ai misteri e segreti dell’Emilia-Romagna, Milano, Sugar, 1987, p. 9.
[3] Non saprei definire altrimenti l’affermazione secondo cui il confine della Romagna andrebbe arretrato alla linea del Reno, poiché così «dovrebbero restar fuori della Romagna due triangolini di terra, dove però non c’è niente».
[4] Dante Alighieri, Divina Commedia, Canto XIV del Purgatorio (vv. 91-126). Il poeta è a colloquio col romagnolo Guido Del Duca che lamenta: «dentro a questi termini è ripieno / di venenosi sterpi, sì che tardi / per coltivare omai verrebber meno».
[5] La curva che compie fin sopra Molinella e poi verso il mare è infatti opera artificiale del Settecento. Nel XVI secolo e per un breve periodo se ne tentò l’immissione nel Po di Volano, ma, per i danni riportati, ne fu poi staccato e riportato dov’era. Non si trovò adeguata soluzione fino a metà Settecento, quando il Reno fu prolungato ed immesso nel Po di Primaro a Traghetto, vicino a Molinella. Indi si procedette a una serie di rettificazioni fluviali all’alveo ricevente a quel punto inevitabili. Una di queste rettificazioni (1782) interessò il territorio di Filo e Longastrino, ove il fiume fu spostato più a sud di un paio di chilometri. L’alveo di Po Vecchio determina, ancora oggi, il confine amministrativo fra le province di Ferrara e Ravenna.
[6] Tavola allegata a:
[7] Ibidem, p. 237. Il «totum et integrum Comitatum Argentae» era invece costituito da: «ipsam Argentam, Portum et totam plebem de Portu scilicet, Caput Sandali, Grassallum, Ripapersicum, Virgundinum, Portum Vetrariae et Sandalum Materium quoque» (la stessa Argenta, Portomaggiore con tutti i suoi abitanti, Consandolo, Grassallo, Ripapersico, Virgondino, Portoverrara e Sandalo con Maiero), v. F.L.Bertoldi, Memorie Storiche d’Argenta, ferrara, 1787, III, parte I, p. 42.
[8] Il territorio a sud del Primaro in corrispondenza della Riviera di Filo, detto anche «Territorio Leonino» e dove oggi si estendono Filo e Longastrino «di Alfonsine», non fu invece mai ceduto ai ferraresi ed appartiene tuttora alla provincia ravennate.
1 commento:
Io sono di origine ferrarese da parte di madre, che mi ha sempre detto di essere emiliana...noi non ci sentiamo romagnoli, non perché abbiamo qualcosa contro questa popolazione simpatica, sia chiaro! Però si dice che gli emiliani hanno un atteggiamento e i romagnoli un altro, quando vado a Ferrara mi sembra di essere nel nord ovest, la gente è seria, da Bologna in giù hanno un altro atteggiamento. Comunque, da mezza veneta e mezza ferrarese io mi sento 100% settentrionale in tutto e per tutto e non sento niente in comune con l'Italia centrale, non per ''razzismo'', ma per un fattore culturale.
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