Una lunga fila
di vocaboli rivelatori
di
Agide Vandini
Chi non si è mai accontentato delle rassicurazioni fornite da tempo dagli studiosi del nostro dialetto, oggi può apprendere alle pagine di wikipedia in rete che «La
lingua romagnola è una lingua romanza […]» e che, [in quanto tale] «La
lingua romagnola ha antiche origini neolatine», [perciò] «ad essa va
geneticamente riconosciuta pari dignità con l'italiano». [giacché] «Il
romagnolo si è sviluppato dal latino seguendo un'evoluzione autonoma, parallela
al toscano […]»[1].
Ciò nonostante, capita ancora di incontrare
persone che ritengono il nostro vernacolo una sottospecie di quello “toscano-italiano”. A sentir costoro, del linguaggio popolare romagnolo par quasi di doversene vergognare, una lingua,
insomma, da barzellette e proverbi, magari da battute grassocce e, in qualche
modo, orgogliosamente sgrammaticate.
Altri, e non pochi per la verità, la
menano tuttora convintamente sulla pretesa derivazione del romagnolo dal
francese, portando ad esempio «lampante» le nostre tusùr, una parola che
ricorda nella fonetica il francese toujours… Eppure quest’ultimo,
nella lingua d’oltralpe non è neppure un sostantivo, è un avverbio ed ha un significato
ben diverso dalle «forbici»: «sempre», «tous les jours», ma allora… E le nostre
tusùr da dove provengono? Lo vedremo presto, trattandosi proprio di
uno dei sessanta termini che ho accuratamente selezionato dal testo etimologico
più autorevole di cui oggi disponiamo[2].
Prima soffermiamoci un attimo sulla
genesi del «romagnolo» e sul come ha potuto svilupparsi dal latino in modo
analogo e parallelo alle altre lingue neolatine o romanze.
Per comprendere
come ciò sia avvenuto – ci dice una bella monografia facilmente rintracciabile
in rete [3]
- bisogna aver presente, fin dall’affermarsi di Roma antica, la differenza fra
la lingua scritta e la lingua parlata.
Accanto
alla lingua scritta, più ricca, raffinata e complessa, ovvero il sermo
doctus («la lingua colta»), sorse un po’ ovunque un linguaggio parlato
nella vita di tutti i giorni, il sermo vulgaris («la lingua volgare», cioè
«del popolo», da vulgus, «il popolo»). Mentre il sermo doctus nel
volgere di alcuni secoli si fissò in forme e strutture definite, il sermo
vulgaris si andò invece via via modificando, riflettendo le differenze regionali
esistenti tra i popoli romanizzati, differenze che divennero sempre più marcate fra
le varie aree geografiche, a seconda delle vicende storiche e culturali di ogni
regione. Il latino, di fatto, aveva soppiantato gli idiomi locali, ma non aveva
cancellato abitudini di pronuncia, residui dialettali e così via.
Fino a che l’Impero Romano fu saldo, le differenze linguistiche rimasero contenute. Quando però l’Impero Romano d’Occidente cadde (476 d.C.) e si affermò la tendenza separatista, mentre il latino della cultura rimaneva pressoché invariato, il latino volgare, seguendo uno sviluppo differenziato nelle diverse aree geografiche, diede origine nel corso del Medio Evo a numerose parlate sempre più lontane dal modello originale.
Fra questi idiomi regionali che diedero
vita a lingue romanze troviamo dunque sia il «toscano» (che poi diverrà la lingua «italiana»),
sia il parallelo «romagnolo».
Di questo processo autonomo testimoniano
alcuni termini di uso comune che nulla hanno a che fare col toscano-italiano, ma dai
quali si evince l’evidente derivazione latina. Ne ho potuto selezionare una
sessantina che qui elenco, in ordine alfabetico:
|
Va da sé che, come per ogni lingua parlata,
il romagnolo ha sporadicamente, e in ogni tempo, accolto anche termini di varia
derivazione (gallica, longobarda, gotica, germanica ecc.), etimi dei quali, il
vocabolario di cui mi sono avvalso, dà puntuale testimonianza.
Si tratta però di ‘eccezioni’ che come
sempre ‘confermano la regola’ di base, ossia, nel nostro caso, la diretta discendenza
della lingua romagnola, nella sua essenza e natura, dalla lingua latina.
***
Nota aggiuntiva: Il mio elenco di vocaboli rivelatori non è che una semplice scelta
di termini romagnoli di chiara provenienza latina, eppure notevolmente distanti dal
toscano-italiano. Ovviamente si tratta di un elenco puramente indicativo e di
certo non esaustivo. Si potrebbero ragionevolmente aggiungere altri termini come:
romagnolo: cuzindrëla / latino: culcitra-ella / toscano-italiano: materasso-ino
romagnolo: mŏj / latino: mollius / toscano-italiano: bagnato
romagnolo: murlõ - murlòñ / latino: maurus (moro) / toscano-italiano: livido
oppure tratti dal "Vocabolario" di Casadio e qui non segnalati come:
romagnolo: arghébul / latino: aurigalbulu / toscano-italiano: rigogolo
romagnolo: cilös-c (femm. cilösca) / latino: luscus / toscano-italiano: strabico
[1]https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_romagnola#:~:text=La%20lingua%20romagnola%20(nome%20nativo,il%20toscano)%20della%20Romagna%20toscana.
[2]
Gilberto Casadio - Vocabolario
etimologico romagnolo, Imola, La Mandragora, 2008