Il personaggio, l’uomo, piccole e grandi cose intorno all’amico e cantautore filese
di Agide Vandini
Credo di avere buon titolo per raccontare Paolo Barabani, amico e cantautore del mio paese ben noto a chi ne ricorda la sua Hop Hop Somarello. Da lui mi hanno sempre diviso appena 8 anni e 8 metri…
Che vuol dire? Semplice: che Paolo è nato otto anni dopo di me ed è cresciuto, come ragazzo nonché come musicista e cantautore, a pochissimi passi dalla mia vecchia casa, quella ove ebbi la ventura di nascere il 4 novembre di 65 anni fa.
La mia casa natale, quella in cui nonno Ivo aveva un paio di camere in affitto da Anchise, nonno di Paolo, fu abbattuta ormai vecchia e cadente, intorno al 1948, e quel terreno, in pieno centro di Filo, finì inglobato nel bel giardino dei Barabani che oggi fiancheggia la graziosa villetta tutta contornata dal verde.
Mio padre trovò, all’epoca, alloggio come senzatetto nelle «case operaie» dell’Oca-Pisana, andando a vivere con la sua famigliola poche centinaia di metri più in là, mentre i Barabani, in quegli stessi anni, ricostruirono dalle macerie il loro mulino (caduto coi bombardamenti) ed eressero la nuova villetta appunto, ove nacquero, rispettivamente nel 1949 e nel 1953, i pargoletti di Max e Adele, i fratelli Carlo e Paolo.
I rapporti dei figli e nipoti di Ivo e’ canzulêr coi vecchi padroni di casa si mantennero sempre intensi e cordiali, in particolare quelli di mio padre Ghéo col colto e raffinato Max, primogenito di Anchise, grande appassionato di calcio che seguiva ed amava questo sport, proprio come Ghéo, fin dai suoi tempi pionieristici. Ebbe parecchie volte a raccontarmi e spiegarmi con pazienza e gentilezza innata tante cose calcistiche, Max, e io lo ricordo come finissimo intenditore di tecnica, tattica ed etica sportiva, di quelli che oggi, purtroppo, a Filo come altrove, ahimè, non se ne ascoltano più.
Va da sé che l’amicizia e la stima fra i padri, si trasmise facilmente ai rispettivi figli, sicché Carlo e Paolo nel crescere li ho spesso sentiti vicini, ne ho seguito con naturalezza le attività e le passioni. Li ho sempre visti come ragazzi dotati di notevole creatività: Carlo, elegante, intelligente e sagace in ogni iniziativa, amante delle bellezze di questo mondo e perciò anche ottimo esteta del calcio (sia detto per inciso, Carlo vede e ama il football all’incirca come me, e quasi quanto suo padre …), tanto che fra noi il parlare «di pallone» nelle lunghe seppur rare scorpacciate di chiacchiere, è tuttora una festa, un piacere della vita; Paolo, invece, più sentimentale, profondo, piuttosto compagnone ed idealista, ha coltivato fin da ragazzo altri interessi e soprattutto una passione su tutte, quella per il mondo musicale che, poco a poco, se lo è preso con sé. Dotato di innate qualità e capacità espressive, ci volle sempre poco a capire quanta sensibilità e quanto spiccato talento ci fossero in lui.
Frequentavamo tutti lo stesso bar-osteria filese, quello in cui fermava facendo soffiare i freni la celeste corriera, a due passi da casa sua. Un tempo era stata l’ustarìa e locanda dla Bianca, poi, divenuta dei Corelli & Galamini, si modernizzò nei primi anni ’60 in «Bar Centrale» sotto le direttive di Luciano Salvatori, oggi ancora sulla breccia, ad Argenta, coi suoi gelati. Il locale è stato ribattezzato in “Bar di Alice e Claudio”.
Lì si radunava chiassosamente l’eterogenea umanità tipica dei paesini della Bassa Romagna, fatta di giocatori di carte e di biliardo, di piazzisti, avventori e mediatori, di semplici dopolavoristi che vi accorrevano nelle ore serali e nei giorni festivi. Lì si ascoltava la radio e si guardava la TV e di conseguenza vi prendevano corpo le più animate e colorite discussioni sportive, lì capitavano i personaggi più caratteristici e disparati, ricchi di esperienze di vita e capaci di affascinare Paolo, poco più che adolescente, che in quel microcosmo amava trascorrere ore ed ore, fino ad averne, poi, buona fonte di ispirazione per le canzoni più belle.
Cantò alcuni anni dopo:
Lui amava le donne, / il vino buono ed il fumo americano./ Non era un ragazzo cattivo, / forse un poco strano. / Gli amori suoi erano canzoni, / e una canzone era la vita. / E giocava alle carte, beveva la birra con gli amici,/ o tentava la sorte, giocando a biliardo,per farli felici./ Non era un grande giocatore, / dicevano: andrà meglio con l’amore./ E venne l’inverno, / e cadde la neve e venne il dolore./ Scrisse sul quaderno le prime parole d’amore,/ e mentre l’anno nuovo grasso si annunciò / lui di nascosto pianse un po’. / E un falso sole, che predicava amore, / gli fece dire assurde false parole,/ e mentre lui l’accarezzava, / lei di nascosto se ne andò.
Cominciò ben presto a masticare musica, Paolo. Debuttò come pirotecnico batterista in un complesso in gran parte filese che annoverava Ivo Guerrini alla tastiera e Vincenzo Forlani alla chitarra. Ci sapevano fare «Le Ombre», questo era il nome del gruppo. Ricordo nitidamente una loro bella performance in un «Festival» di complessi che si tenne per alcune serate nel Teatro Moderno ad Argenta. Paolo, che fino ad allora nessuno conosceva come cantante, si presentò in scena vestito, in divisa da ufficiale sudista. Cantò, e assai bene ricordo, «Signore io sono Irish», all’epoca un successo dei New Trolls. L’ho rammentato a Paolo proprio poche settimane fa, in occasione di una sua bella rimpatriata musicale a Filo. Dice che ce l’ha ancora quella vecchia divisa e la conserva fra i suoi ricordi più belli.
In quella prima metà degli anni ’70, ad ogni ora del giorno, nei pressi di casa sua si cominciarono ad udire, oltre alle solite rullate di tamburi, pezzi inediti, canti, musiche e testi originali che incuriosivano i passanti. Ci si chiedeva, più o meno tutti, a quali sbocchi potesse portare un talento come quello di Paolo. Allo stesso tempo si temeva che la scalata alla notorietà non fosse alla portata di un semplice ragazzo della nostra campagna, la si riteneva qualcosa d’impossibile, legata forse ad ingredienti misteriosi ed arcani.
Giovannino Tarozzi, detto e’ Maròc, l’uomo dei bagni di Capodanno in Adriatico di cui ho più volte descritto le imprese in questo blog, aveva ancora, all’epoca, il negozio in paese; lì aveva preso a commerciare in musicassette, una innovazione tecnologica che da poco affiancava i 33 giri, sicché si prodigò da par suo proponendo a Paolo e alle Ombre l’incisione di un intero nastro da mettere in vendita. Non so in quale studio e in quale posto li portò, fatto sta che il nastro che ne sortì, dal titolo «Barabomba» (ne ho un raro esemplare che conservo gelosamente), non riuscì perfettamente: l’audio, gli arrangiamenti e forse qualche tonalità risultarono piuttosto inadeguati, sicché ne furono assai penalizzate canzoni che, sotto l’aspetto armonico e compositivo potevano risultare all’ascoltatore assai gradevoli ed ispirate.
Ma Paolo, studente fuori corso di medicina, era ormai un cantautore in continua evoluzione e non si perse d’animo. Prese ad incontrare gente nuova: cantanti, discografici, musicisti, cercò con la sola forza del talento e della fantasia musicale, di inserirsi in un ambiente difficile, dove contavano entrature e conoscenze. Si trovò così a collaborare con Reverberi e la Baby Records, strinse una specie di sodalizio col promettente Pupo (Enzo Ghinazzi) il cui furgoncino si prese a vedere, quasi ogni sera, parcheggiato davanti a casa sua. Ebbe l’opportunità di incidere un paio di 45 giri, e si fece conoscere da un pubblico sempre più vasto.
Nel 1981 si presentò quasi a sorpresa, almeno per noi paesani che lo seguimmo trepidamente in TV, sul palco prestigioso di Sanremo. Fu lì che raggiunse quel grande successo che meritava. La sua Hop, hop somarello composta con Enzo Ghinazzi (Pupo) e Gian Piero Reverberi, giunse sesta e la sua fresca figura acqua e sapone fu unanimemente considerata una belle più belle novità di quel festival. Chi volesse rivedere la sua performance sanremese può cliccare direttamente qui sotto:
http://www.videoanni80.com/view/726/hop-hop-somarello-paolo-barabani-sanremo-1981/
Il culmine della sua creatività musicale lo raggiunse, io credo, proprio in quello stesso anno quando, fra lo stupore generale, se ne andò per un mese in America. Andò a Nashville, nella capitale del Tennessee, nella celebrata «città della musica», là dove nascevano le famose chitarre Gibson e dove batteva il cuore della musica country, un genere assai di moda e che cominciava a piacere anche nel Bel Paese.
Paolo coi suoi brani riecheggianti personaggi e luoghi della nostra terra, arrangiati e impreziositi da tutta la musicalità e la sapienza made in Nashville, si propose validamente come cantautore ispirato a quello stile, in un album (l’unico 33 giri da lui inciso) dal titolo «In riva al bar», uno dei pezzi migliori dell’EllePi, un motivo che poi fu scelto come sigla per la trasmissione televisiva «Il barattolo».
Il bar, l’osteria, che appare nel disegno di copertina, ovviamente è il nostro Bar Centrale coi suoi i tanti caratteristici personaggi, ma tutto il 33 giri di Paolo grondava di vita paesana e di sentimenti ispirati dall’ambiente che lo aveva visto crescere.
Ecco comunque i bei versi della canzone principale:
Vecchie facce usate / di una sera in riva al bar / quando il sole pigro se ne va / dopo tre bicchieri / sono quasi tutti eroi / troppe donne troppo tardi ormai. / C'è chi ha vinto a poker / due milioni ad Heminguay / c'è chi ha combattuto nelle Haway / quello che le ha avute tutte, tutte tranne lei / la straniera del '56. /Gira la, gira la, gira la luna / pensane cento ma raccontane una / pensala bene ricamala poco / raccontala giusta o ricominci da capo. / Gira la, gira la, gira la ruota / gira la testa la bottiglia è vuota / Mezzanotte di una notte da buttare via / briscola e denari spesi ormai / quello che taceva / a un tratto dice : è stata mia / la straniera del '56. / Gira la, gira la, come ti pare / questa non puoi / no, non puoi darcela a bere. / Ride la, ride la, ride la luna / ride quando giochi con la tua fortuna / quando tu affidi il tuo amore alle stelle / quando poi le carte ti han voltato le spalle. / Ridela, ride la, ride la gente / se ti parli addosso che nessuno ti sente / Gira la...etc. / Ride la ...etc.
Come non riconoscere fra i personaggi del bar il compianto, indimenticabile Slancio, al secolo Eugenio Ghiselli, con le sue simpatiche ed ineguagliabili fandonie … Un altro colorito personaggio filese lo aveva ispirato per L'oro del Reno:
E lo chiamavano Nevada per via del suo cappello / Di finto castorino, aveva solo quello / Ehi, vecchia volpe, ma lui non ti risponderà / Per essere sinceri per quella sua certezza / Che avrebbe un giorno o l’altro trovato la ricchezza / Eh qui in paese noi lo invidiavamo un po’ E lo chiamavano Nevada, cow boy da bicicletta / La vita d’osteria gli è sempre andata stretta / Ehi vecchia volpe fermati ma dove vai? / Lungo il fiume lui va, la sua strada ormai la sa / Solitario cercatore di una traccia di un colore / Anche il fiume lo sa quando lui arriverà / coi suoi gesti abituali sempre quelli sempre uguali / col setaccio e una padella finché c’è l’ultima stella non va via / Ehi cerca pure sereno, ma oro nel Reno non ne troverai / ma qualcosa da fare in cui credi davvero tu almeno ce l’hai. Ehi cerca pure sereno …
E’ un quadretto, gustosissimo, dedicato a Tinèla Leoni, ineguagliabile tartufino delle nostre golene che, ancora oggi, dismessa la bici e il cappello di finto castorino, vediamo dirigersi verso i luoghi più insoliti, a bordo dell’inseparabile ed attrezzatissima Ape. Ma anche i brani Tu non sei la California e Un vecchio ripercorrevano scenari e persone dell'amato borgo, sia pure in termini più indefiniti, con palesi richiami al mondo magico dell’adolescenza e dell’amata campagna filese. Ecco i versi della prima:
Ti ricordi delle fragole / e quel nostro nascondiglio abbandonato,ti ricordi di me? / Le mie corse fra le nuvole / e la gioia di scoprire qualche cosa dentro me / e la voglia di svegliarmi la mattina insieme a te / Tu non sei la California / non sei bella come lei / tu non sei la California / però adesso ti vorrei / Io credevo fosse facile / dimenticare il tuo profumo di rugiada quel profumo di te / Illusioni che si perdono / a inventare ogni minuto la ragione di un perché / o a fermarsi ad ascoltare qualche cosa che non c'è / Tu non sei la California / non sei bella come lei / tu non sei la California / però adesso ti vorrei / Se non sei la California / tu sei quella che vorrei / se non sei la California / tu sei bella più di lei/ e se tu non esistessi io ti inventerei... / Tu non sei la California etc.
La sua magia, la sua capacità di far rivivere in musica il mondo amato, io credo che Paolo l’abbia espressa nel brano Un vecchio, un magnifico testo a forma di dialogo ove riuscì tracciare con grande verismo e delicatezza la figura agreste che tutti sentivamo familiare, quel «vecchio» autentico che abbiamo nel cuore, il buon «nonno» di tutti noi:
Un vecchio stava sulla porta / aspettando la sera / il suo silenzio era quasi una preghiera / nel cuore un sogno da bambino / sul viso la saggezza dell'età / Spiegami vecchio / tu che sai cos'è l'amore / tu che hai versato / sangue, lacrime e sudore / perché la gente adesso non sorride più / e il cielo è azzurro ma non è più blu? / «Erano altri tempi che tu non puoi capire / i bastimenti andavano a vapore / quando la forza era la mano / nei campi si cantava in mezzo al grano. / Gli anni più belli li ho passati a lavorare / bruciati all'ombra del frumento da falciare / e le ragazze ansiose a casa a preparare / la festa del raccolto e dell'amore» / Ma sono favole i ricordi del passato / e non ha senso rivangare quel che è stato / perché la gente adesso non sorride più / e il cielo è azzurro ma non è più blu? / Un vecchio stava sulla porta / aspettando la sera / il suo silenzio era quasi una preghiera / nel cuore un sogno da bambino / sul viso la saggezza dell'età...
Lo stesso LP conteneva anche il brano «Neve di primavera» (poi inserito nella compilation Fortissima) che nel 1982 vinse a Canale 5 il concorso Premiatissima. Anche qui appaiono palesi i sentimenti di Paolo per la sua terra: «Viene la neve cade piano piano, neve a Milano…» «E pensare che a casa mia, è già nato il grano, sembra un sogno una pazzia, sembra strano qui a Milano, tu mi dici non è vero, ma io sono sincero, neve bianca, nero fumo, c’è tanta gente ma non c’è nessuno …»
Piacque tanto quel 33 giri, eppure, il successo di Paolo giunto tanto all’improvviso, altrettanto rapidamente sfumò: il militare e la notorietà attenuatasi in un baleno, l’onda che in qualche modo non fu cavalcata a dovere, la vita che ad un certo punto prese a correre anche per lui, fra l’Italia e il Brasile, in un andirivieni di successi e delusioni, un’altalena che lo accompagna ancora, nella musica come nella vita.
Si eclissò poco a poco, ma più come cantante che come autore. Negli anni che seguirono assieme a Pupo e Reverberi ci regalò altre belle canzoni e testi di successo come Buon Natale e Su di noi in una bella rassegna di titoli che oggi possiamo leggere su Wikipedia, a corredo delle note biografiche a lui dedicate (http://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Barabani).
Un altro bel profilo della sua carriera e della lusinghiera esperienza artistica, fu tracciato in un articolo-intervista apparso sulla rivista Arzenta una ventina d’anni fa che riporto in appendice.
Di una cosa, in conclusione, sono più che certo, ossia che Paolo, nel percorso umano e musicale che l’ha portato in giro per il mondo, mai un solo momento ha pensato di spezzare il legame sentimentale col paese e la sua gente, rimanendo, intimamente e profondamente, se stesso. Questa almeno è la mia impressione e quella degli amici più cari che, non appena se ne presenta l’occasione, incontra ancora con immutato e solare entusiasmo. Non di meno egli dedica volentieri un pensiero a chi, compagno di vita e di ore spensierate nei suoi anni più belli, oggi non è più fra noi.
Durante l’ultima esibizione estiva a Filo, in cui l’ho trovato davvero in ottima forma, ha voluto farmi omaggio di una bella foto con dedica. Pubblicandola qui sotto, ne faccio volentieri dono ai lettori di questo blog. Si noterà come, fra le poche rughe e i tanti capelli bianchi, gli si leggano ancora in viso quel candore e quella dolcezza che tanto piacque agli italiani di trent’anni fa.
Dietro alla foto, Paolo mi ha dedicato queste parole: «Ad Agide con la stessa amicizia di sempre», e io ricambio di cuore, con altrettanto affetto a cui aggiungo tutta la sincera ammirazione che ho sempre provato per le sue composizioni e per un talento che forse non ha raccolto tutto quel che meritava. E’ ben vero che Paolo ha ancora una lunga strada davanti a sé ed un fornitissimo serbatoio di entusiasmo. Alle stesso tempo, credo di poter dire che lui si senta ben contento di ciò che ha avuto fino ad oggi, soprattutto per aver potuto vivere con gioia quasi fanciullesca il grandissimo amore per la musica e per la gente che ha avuto vicino, un amore di cui, nel lungo suo viaggio umano ed artistico, è stato e sarà sempre ricambiato.
La felicità e l’innocenza che ancora si possono leggere nei suoi occhi, ne sono la più lampante testimonianza.
Piccola galleria fotografica
 Per le strade di Bologna (1949 circa). Da sinistra: Max Barabani, mio padre Guerriero (Ghéo) Vandini e zio Raflòñ (Raffaele Vandini).
 La copertina del 45 giri che conteneva due brani: "Un giorno senza lei" e "Tu vivi due volte" cantati rispettivamente da Ezio Caranti e Paolo Barabani. Ivo Guerrini è il primo da sinistra, Paolo Barabani è in alto a destra.
 Paolo a Villa Vittoria di Filo
(primi anni ’80) |  Sulla destra, la casa di nonno Ivo e’ canzulêr (e mia casa natale), di proprietà Barabani, E’ il 14 aprile 1945, giorno della Liberazione di Filo, con la fanteria inglese in avanzata.  La copertina del 33 giri  Anni ’90. Amichevole a Lavezzola col BFC 1909. Da sinistra e in primo piano: Agide, Carlo Barabani, la compagna Elisabetta, Davide Fontolan. Più in lontananza si intravede Giancarlo Marocchi.  Paolo oggi |  La vecchia musicassetta
  La dedica
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(Dalla rivista Arzenta, aprile 1994)
E, per chiudere, ci confida: «Recentemente mi è tornata la voglia di scrivere!»