Il centro di Filo
dall’Unità d’Italia ad oggi - 3 -
di Agide
Vandini
Cartolina
viaggiata 1916 (Fronte) - Collezione Maurizio Gamberini, Argenta
Vista odierna dal crocevia
di Filo Dicembre 2022
Per osservare
i cambiamenti intervenuti in questa parte del paese possiamo servirci di una rarissima
cartolina d’epoca di cui ottenni, tempo fa dal collezionista, la disponibilità alla
pubblicazione, citandone rigorosamente la provenienza. Si tratta di una cartolina
“viaggiata”, spedita da Filo il 26 giugno 1916 e indirizzata al Dottor Carlo
Tosello di Fusignano, con tanto di timbri postali di quei giorni. Nella
facciata posteriore della cartolina, si leggono le parole: «Unitamente al
babbo, mandiamo i più sentiti ringraziamenti e saluti, Edmea e famiglia».
Ovviamente
l’interesse di noi filesi si concentra sull’immagine della facciata, ove compare
un nitido scorcio del paese, fotografato fra il ‘12 ed il ‘16 del vecchio
secolo, verosimilmente dall’edificio posto sull’incrocio stradale, ovvero da
una delle finestre della vecchia Caserma (v. foto nella Parte Seconda), la
Stazione dei Carabinieri che, come sappiamo, vi si era stabilita una quindicina
di anni prima, sul finire dell’Ottocento [http://filese.blogspot.com/2022/12/le-tre-caserme-dei-carabinieri-filo.html ] .
Sulla base
della nitida immagine sono in grado di integrare quanto scrissi tempo addietro,
in questo stesso blog, basandomi sulla fruizione soltanto parziale della
cartolina.
La foto
ritrae in sostanza, nella «Via Chiesa», la situazione della planimetria del
1906.
Va da sé che confrontato
allo scenario di questi giorni, anche questo scorcio di paese appare stravolto,
soprattutto - è bene ricordarlo - a causa delle distruzioni belliche, ma anche dell’abbattimento,
a cavallo del 1930, della chiesa Cinquecentesca e del suo campanile, rimpiazzati
dal solo chiesone attuale.
Ben pochi
dunque sono i punti in comune fra le immagini di ieri e di quelle oggi. Uno di
questi è la diritta strada che scende in direzione di Bando (all’epoca «Via
Chiesa», fino al bivio fra la «Strada dei Dossi» e la «Via Oca-Pisana»), l’altro
è l’unica abitazione sopravvissuta ai bombardamenti alleati, ovvero casa
Minguzzi (la cà dla Mingóna [1]).
14
Aprile 1945 – Nel fermo immagine del filmato Alleato, i soldati inglesi nel
Crocevia di Filo in prossimità delle «scuole vecchie». Sullo sfondo la «Cà dla Mingóna», visibilmente danneggiata, unica abitazione della «Via Chiesa» rimasta
in piedi
Il tracciato
della strada è rimasto lo stesso dal crocevia all’abitazione del Parroco, ma ad
inizio Novecento, la sede stradale appariva più larga dell’attuale, giacché affiancata
da una larga striscia di suolo pubblico che, separato da solidi paracarri,
lambiva gli edifici, dall’incrocio e dalla cà dla Nuziadina (casa di
Bosi Annunziata) fino alla chiesa.
Al
scôl vëci [Le scuole vecchie]
Sulla
sinistra della cartolina, ove ora ha sede l’Ufficio Postale, s’intravvede un lato
delle cosiddette «scuole vecchie», poi bombardate ed abbattute nel dopoguerra,
quando, in quello stesso luogo fu eretta, l’attuale Casa Comunale (ex Casa del
Popolo).
Qui ci soffermiamo
per alcune considerazioni intorno al vecchio e perduto edificio. Sappiamo con
certezza che esso ospitò le scuole pubbliche a partire dagli anni ’70
dell’Ottocento, scuole poi considerate «vecchie» nell’anteguerra per
distinguerle da quelle «nuove» costruite a cavallo del Novecento fra il
crocevia e la chiesa; di queste ultime, nella cartolina, si notano le due ampie
scalinate[2].
Il luogo e
l’edificio delle «scuole vecchie» fu, negli anni anteriori all’Unità d’Italia,
sede del Comune di Filo e «comunali e pubblici» erano perciò anche i terreni ad
esso adiacenti, oggi adibiti a parcheggio e Monumento ai Caduti.
Le «scuole vecchie viste», viste da ovest, in una foto gruppo
familiare degli anni ’30. |
Le stesse scuole bombardate in un fermo immagine del filmato girato
dalle forze Alleate il 14 aprile 1945, giorno della Liberazione di Filo |
La
corrispondenza «Scuole vecchie» - «Antica Podesteria» viene confermata dallo «Stato
delle Anime dell’anno 1879» ove il nostro Parroco annotò:
La destinazione d’origine dell’edificio, quale sede del nostro Comune (soppresso appena 20 anni prima, il 27.12.1859, ma riclassificato come «appodiato» nel 1830) è attestata dal fatto che quello stesso luogo era stato fino ad allora annotato, in quei registri, come «Podesteria», oppure come «Casa Comunale», di proprietà del Comune di Filo. Fu in quei locali, quindi, che il 30 aprile 1849 fu approvata l’adesione alla Repubblica Romana[3].
Sappiamo,
sempre dagli stessi registri, che, dopo il ridimensionamento e la successiva soppressione
del Comune, il palazzo ospitò famiglie di varia estrazione, dai bisognosi al
«sotterrino», al dottor Sangiorgi da Tossignano; poi, dopo qualche
anno di vuoto, forse per sgomberi ed adattamenti, fu anche l’alloggio
provvisorio di una maestra di Alfonsine.
Correva l’anno 1871, anno forse di primo funzionamento della scuola pubblica a Filo.
Il
«Campicello»
Tornando all’immagine
della cartolina ed osservandone i particolari, possiamo notare, alla destra
delle «scuole vecchie», alcuni sviluppi intervenuti nell’area oggi adibita a parcheggio
e Monumento ai Caduti. Vediamo un campo coltivato circondato da una siepe e, in
un angolo, un nugolo di persone in attesa alla fontana. Lì, un tempo, in un
marmo riquadrato, stavano due scritte: «1912», anno di conquista dell’acqua di
sorgente, e «metri 96», la profondità della perforazione[4].
A quella fonte (oggi interrata) l’acqua fuorusciva lentamente, ma a getto
continuo, da un tubo che spuntava da sotto il livello del terreno, in un vano
cui si accedeva scendendo un paio di scalini.
L’immagine
dell’ampio campo coltivato, probabilmente a cura degli scolari, ci spiega
dunque l’antica destinazione del prato in cui, noi bambini nati nell’immediato
dopoguerra, abbiamo giocato alla «flĕpa», ovvero alla lippa, fino al
1955, anno in cui fu eretto il «Monumento»[5].
Foto a destra: nel «Campicello», intorno al 1940, è arrivato il Circo Bidoni[6]
1955 - Inaugurazione del Monumento ai Caduti nell’area dell’ex «Campicello»
All’epoca, il
fosso decorre dal crocevia, costeggia la rampa e tutta la «Via Chiesa», fino
all’antica «Via dei Dossi» e prosegue oltre, lungo lo stradone tracciato da
pochi anni e che va dalla vecchia Cà Pisana (caduta con la guerra e visibile
parzialmente nel luogo ove stanno ora le due «Case Operaie) fino alla Cà Oca, ovvero
l’«Oca-Pisana» che, dopo la bonifica ottocentesca della Valle Risara, aveva accorciato
il tragitto verso Bando.
A fianco del
fossato e per tutto il corso della «Via Chiesa» notiamo in colore più chiaro un
camminamento in terra battuta lungo la rampa che giunge fino alle «scuole
vecchie».
Oltre casa
Minguzzi (la cà dla Mingóna), e per
un’area piuttosto vasta, si estende una rigogliosa vegetazione dovuta forse,
più che a residui boschivi, alla locale diffusione della canapa, oppure del gelso,
albero basilare per la coltura dei bachi da seta (i cavalìr).
Alla destra
della «Via Chiesa»
Negli anni del bel «Saluto da Filo di
Argenta», come del resto nel 1870 [7] la strada verso la Parrocchiale e il suolo pubblico a fianco, lambivano edifici ed
abitazioni formando una specie di «Piazza» del paese. Lo si percepisce dalle
persone che vi gravitano e passeggiano,
Al centro e in primo piano, dirimpetto
alla cà dla Nunziadìna, una parte della sede stradale funge da aia e una
donna, con sporta al braccio e fazzoletto bianco, s’avvicina alle granaglie distese
al sole. Di fronte a lei alcuni ragazzini e ragazzine, nonché il brigadiere ed
un carabiniere osservano incuriositi il fotografo che li ritrae dall’alto. I
vestiti indossati e il numero delle persone in movimento, paiono indicare un
giorno di festa. Sullo sfondo la residenza del Parroco, poi rasa al suolo anch’essa
dai bombardamenti, par quasi sbarrare la strada e la piazza e delimitare il
centro del paese.
Nel dopoguerra, rimosse le macerie di
questa parte del centro di Filo, come si è già raccontato nella Parte Prima,
sorsero le nuove Scuole Elementari ed il borghetto da noi chiamato Corea, nel
luogo dell’ex Palazzo Tamba e delle sue adiacenze.
Rivediamo tuttavia, in una seconda
carrellata, gli edifici della nostra cartolina, ritratti da diversa prospettiva,
in altre fotografie anteguerra, datate pochi anni dopo.
Casa Tamba e al «scôl nôvi»
La sede stradale è ancora la stessa di
dieci anni prima, ma nuovi robusti paracarri segnano l’accesso ad una nuova
stradina che dà accesso ad alcune proprietà Tamba. Il giardino che sta dietro
al muretto non è più nudo come qualche anno prima; la crescita dell’alberello
denota il tempo intercorso dall’epoca della nostra cartolina. Dietro casa
Tamba, s’intravvede un’abitazione.
Disponiamo infine di altre due foto di
fine’20 scattate ragionevolmente nello stesso giorno[8]
ma da posizioni diverse. In entrambi la vecchia chiesa abbattuta
nel 1931 è ancora in piedi. La prima delle due è una vista dal campicello:
Qui vediamo una bella inquadratura delle
cosiddette «scuole nuove» costruite ad inizio Novecento, nell’area del dismesso
Cimitero parrocchiale. Ha due ampie e caratteristiche scalinate e finestroni ad
arco. La facciata del fabbricato, ridotto in frantumi dai bombardamenti alleati,
recava una lapide a ricordo dei caduti della I° Guerra Mondiale[9].
Sulla destra della foto uno scorcio di
casa Tamba, abbellita con cornicioni e losanghe assenti qualche anno prima.
In primo piano la vecchia fontana
incavata nel terreno; vi si nota il parapetto davanti agli scalini che
conducono alla quota più bassa, là ove fluisce l’acqua corrente. Vi si contano nei
pressi parecchie persone con un paio di fiaschi a testa, evidentemente venute
tutte a piedi (biciclette non ce ne sono…).
Con l’arrivo dell’acquedotto, nei primi
anni ’60 del Novecento, e con la fornitura di acqua corrente in ogni
abitazione, la pompa venne poi soppressa.
La vecchia chiesa Cinquecentesca ed il
suo campanile romanico
La seconda foto è l’unica in grado di consentirci l’osservazione frontale della vecchia chiesa Cinquecentesca e del suo solido campanile. Dall’immagine si può percepire quanto essa fosse malridotta poco prima della sua demolizione; allo stesso tempo possiamo notarvi alcuni interessanti particolari: il grande portone ad arco con porticina per l’uso ordinario, la grande croce incavata nel muro, il finestrone ad arco, il rosone, le tre guglie, i bei motivi cinquecenteschi.
Anche questa foto, come quella dal
Campicello, pare scattata di sorpresa. Ognuna delle persone fotografate è
dedita a qualcosa, chi a giocare (i bambini che corrono), chi a conversare
(l’anziano col bastone appoggiato al muretto della Cà dla Mingóna e
i due avventori) e chi, infine, sta forse lavorando con zelo, ossia l’uomo di
spalle che si dirige verso la vigna parrocchiale. Questi è parzialmente coperto
da un bimbo che guarda nella direzione opposta. Quasi tutte le persone ritratte
hanno un copricapo, oppure fazzoletti tradizionali, berretti con visiera. Più di
tutti meravigliano le bimbe, col cappellino a mo’ di pompiere, forse in voga a
quel tempo.
A differenza della foto primi anni ‘20, qui
è già presente la linea elettrica. Si vedono i lampioni, i pali ed i fili
decorrenti. La «luce» tanto attesa è giunta da poco e permetterà, proprio in
quegli anni (1929) l’edificazione del molino elettrico dei Barabani [10].
Quel mulino, edificato alla fine degli
anni ’20, fu poi distrutto dai bombardamenti alleati e fu necessario
ricostruirlo di nuovo nel dopoguerra.
A fianco: Il Mulino
Barabani del dopoguerra in un fermo immagine tratto dal film «L’aquilone sul Reno»
È l’edificio che noi anziani abbiamo
conosciuto e che fu demolito sul finire del Novecento.
°°°
Termina qui la nostra passeggiata in tre puntate,
fra passato e presente, nel centro di Filo.
Ho cercato di ricostruire e raccontare
«com’era», e «com’è diventato», il nostro antico Borgo Maggiore affinché ne
rimanga memoria scritta per gli anni a venire.
Forse, data la decadenza subita dal paese negli ultimi decenni, a taluni una rassegna come questa e, in genere, ogni rivisitazione del nostro passato, può comunicare tristezza, oppure sembrare fuori luogo, ma è pur sempre la nostra storia, quella dei nostri padri e dei nostri nonni: una storia, che sta scritta sui libri, ma che ritroviamo anche in sbiadite fotografie, o in vecchi e logori mattoni; una storia cominciata più di mille anni fa, in un gruppo di case e capanne addossate al corso di un grande fiume: il Po vecchio, poi abbandonato, quell’«aqua ‘d Pö» che fece girare le grandi macine del Molino di Filo e che per secoli ha dispensato ai nostri avi gioie e dolori, alito di vita e immani tragedie.
La nostra, lo sappiamo, fu una storia di «rivaroli», «vallaroli», pescatori, bracconieri e «servi della gleba», divenuti, anno dopo anno, sempre più contadini, mezzadri e braccianti, capaci di mettere a coltura la terra di bonifica, quella affiorata fra le paludi, come quella sconfinata e liberata dalle acque secolari, una grande distesa di terra, invocata, sognata e sudata che, in uno sforzo comune, con le tante famiglie accorse un paio di secoli fa dalla bassa Romagna, è stata difesa, strappata agli artigli e alle prepotenze dei Signori e dei loro scagnozzi, resa feconda dalla straordinaria forza degli umili, dalla caparbietà di gente testarda, volitiva, laboriosa.
Una storia che abbiamo il dovere di raccontare
ai nostri figli, nipoti e anche, perché no, ai tanti nuovi filesi.
Sono radici lontane, una storia ed un
passato da far conoscere e di cui, senza ostentazione, ma con legittimo
orgoglio, possiamo ancora andare fieri.
[1] Dai
Registri Parrocchiali sappiamo che la «Mingona» era Domenica Bedeschi, un tempo
proprietaria della casa, nonna materna di Edoardo Minguzzi, ossia del nonno
paterno di Giorgio che ne è ancora proprietario.
[2] Nell’anteguerra, nel
centro di Filo, fu adattato anche un terzo edificio a scuola pubblica. Era
scherzosamente chiamato e’ pisadùr ed era situato alla destra della Via
Provinciale dietro l’ex abitazione Salvatori.
[3] Vedi verbale di
adesione in A. Vandini, Filo la
nostra terra, Faenza, Edit, 2004, pp.66-67 nota 112.
[4] Vedi L. Ricci Maccarini, Dal Palazzone,
Argenta, Offset, 1983, p. 79. La data di perforazione ci permette di collocare
quindi con certezza la fotografia riprodotta nella cartolina fra il 1912 ed il
1916 (data del timbro postale).
[5] La denominazione
«Campicello scolastico» la troviamo anche in una piantina dell’anno 1907 (E. Checcoli, cit., p.57).
[6] Si veda il ricordo
d’epoca in: http://filese.blogspot.com/2012/08/quando-furoreggiava-il-circo-bidoni.html
[7] Si veda la planimetria
dell’anno 1870 commentata nella parte Seconda.
[8] Lo si deduce
dall’identica posizione delle coperte appese alla recinzione fra la chiesa e le
scuole «nuove».
[9] L. Ricci Maccarini citò infatti nel suo Dal Palazzone
(p. 122) una «[…] tardiva lapide attaccata in una qualche maniera sul frontale
delle scuole nuove […]».
[10] I mugnai dell’epoca
abbandonarono infatti l’opificio a vapore sito al «Molino di Filo» (e’ mulinàz), ovvero la cosiddetta
«fabbrica nuova» che pochi decenni prima (1885), aveva preso il posto di quella
più antica, ossia del mulino ad acqua alimentato dal Po vecchio, protagonista
di una storia tormentata di chiusure e riaperture, di assalti, demolizioni e
ricostruzioni dovuti all’ostilità comacchiese (si veda la storia completa dei
«molini di Filvecchio» in A.Vandini,
Filo la nostra terra, Faenza, Edit,
2004, pp.327-350).
1 commento:
Grazie Agide, ti leggo sempre con grande ammirazione, hai il potere e non è poco, di farci tornare indietro nel tempo che sembra ancora presente!!!!
Un abbraccio .
pippi
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