Il luogo natio del nostro concittadino più illustre
di Agide
Vandini
Percorrendo
la strada provinciale che dal Borgo Maggiore di Filo porta al Borgo Molino, capita
a noi tutti di notare sulla destra, in prossimità della località «Livello», un
cumulo di rovine invase da alte sterpaglie, ruderi di cui, forse pochi
conoscono la storia.
Chiamata dai
filesi la Cà ‘d Girardengo (vedremo poi perché…) finché è stata abitata, ovvero
fino agli anni ’60 del Novecento, quella casa in località «Ghiarette» fu per anni
la residenza del possidente Luigi Farabulini (negli atti annotato talvolta come
Farabolini o Farabullini) e quindi il tetto natio di Monsignor David Farabulini,
alto prelato pontificio e, per quanto ne sappiamo, il filese più illustre della
nostra storia millenaria.
Rovine di Casa Farabulini oggi (Foto Vandini, 2023) |
Rovine di Casa Farabulini vent'anni fa (Foto Vandini, 2001) |
Negli Stati
delle Anime della Parrocchia di Filo, il padre Luigi, maceratese d’origine, vi compare
per la prima volta nell’anno 1825, censito all’età di 34 anni alla Boaria Aleotti.
In quello stesso anno egli sposa la 20enne filese Teresa Bendoli che vive con
la famiglia in un capanno di proprietà del padre.
Luigi e
Teresa vanno a vivere nella casa delle «Ghiarette» a partire
dal 1829 [1].
Intanto è già nato il futuro Don Adriano (1828-1900), colui che farà costruire
il grande «Palazzone» di Filo a fine secolo. Alle «Ghiarette» nascono
poi, in successione, Dativa (1831), indi David (1833), Pietro Paolo (1837), Vittoria
(1840) e Marcantonio (1848) [2].
Si consiglia di ingrandire l’immagine con un clic
Nello Stato
della famiglia nell’anno 1853 qui riportato, manca il solo Adriano già ordinato
sacerdote, mentre David è annotato come seminarista in Ravenna. Proprio su
quest’ultimo va dedicata tutta la nostra attenzione.
Il nostro
Parroco dell’epoca, Don Emidio Cobianchi, ne celebrò il Battesimo, come s’usava
a quel tempo, nel giorno stesso della nascita, il 10 Luglio 1833.
Parrocchia di Sant’Agata in Filo – Registro dei Battesimi
Traduzione: Il 10 Luglio 1833. David, figlio di Luigi Farabolini e Teresa Bendoli, Legittimi Coniugi di questa Parrocchia, nato oggi alla 14ma ora italica, dal Reverendo Luigi Querzani, cappellano di questa chiesa e da me appositamente incaricato, fu battezzato; ad esso fu imposto come sopra detto il nome di David. Padrini furono Giacomo Vincenzo Emaldi ed Anna del fu Pietro Santi, entrambi di questa Cura. In fede. Emidio Cobianchi Parroco.
Mons. David Farabulini (1833-1903)
Vita ed Opere di Monsignor David Farabulini
Difficile riassumere in poche righe la figura di Monsignor Farabulini (1833-1903) che fu alto prelato Pontificio nella seconda metà del secolo XIX. Egli si distinse come prestigioso insegnante, intellettuale e celebrato critico d’arte; fu conosciuto in mezzo mondo e di lui sono state scritte esaurienti biografie, sia quand’era ancora in vita, sia dopo la morte.
Mi baserò
sulle brevi note da me inserite in Filo, la nostra terra[3] e avute a
suo tempo da Vanni Geminiani, studioso e cultore del personaggio, note che,
integrate e completate in alcuni punti, qui ripropongo [4].
Monsignor David Farabulini, erudito, letterato ed illustre prelato
(insegnante, studioso, scrittore ed intellettuale, Filo 1833 – Roma 1903)
Questo
celebrato ecclesiastico e studioso, formatosi a Ravenna, era nato a Filo il 10
luglio 1833 dove il padre Luigi, originario di Macerata, aveva preso servizio
come «Guardia Campestre (presumibilmente con compiti di ordine pubblico)
[5].
Stando
a quanto ci è stato tramandato dai suoi biografi, ciò era avvenuto dopo che il
padre Luigi «[...]visitò per diporto le vicine Romagne, prendendo alla fine
domicilio a Ravenna, e più tardi nel Ferrarese, ove scelse a sua dimora il
comune di Filo, presso Argenta. Egli si piaceva molto di quel campestre e
tranquillo soggiorno, posto sul Po di Primaro e lungi dagli strepiti della
città; e solea dire che anche i più umili paeselli del Ferrarese sono, non solo
ameni e deliziosi, ma assai rispettabili, [...]» [6].
A Filo David crebbe,
visse la sua lieta infanzia; dopo aver ultimato gli studi ginnasiali in Argenta
[7], entrò nel seminario
ravennate. Tuttavia, per volontà del cardinale Falconieri, arcivescovo di
Ravenna e amico del padre, egli completò, a partire dal 1853, la sua formazione
ecclesiastica a Roma, nel seminario Pio fondato da Pio IX. Lì divenne sacerdote, insegnò per un breve
periodo nel Collegio di San Pietro in Vincoli, finché fu trasferito al
Pontificio Seminario Vaticano ove insegnò «eloquenza» per oltre venticinque
anni, amato e stimato dai colleghi e dagli allievi.
Il Seminario Vaticano e la chiesa di Santa Marta
(G. Vasi, sec. XVIII, da Wikipedia).
In
quegli anni fu discepolo di Monsignor Farabulini anche il piccolo Edgardo
Mortara, sottratto alla famiglia ebrea per imporgli un insegnamento cristiano, un
ragazzo che fu al centro di un vero e
proprio caso politico, suscitando molto sdegno e scalpore.
Fu,
quella di questo ragazzo, una vicenda certamente emblematica del fanatismo, dell’intolleranza
e dello spirito integralista che pervadeva certo clericalismo nella seconda
metà dell’800.
Il
piccolo ebreo, infatti, che pare fosse stato battezzato in segreto da una
domestica di casa, all’età di sei anni era stato strappato alla famiglia
Mortara dalla Gendarmeria Pontificia, con la pretesa di assicurargli una
educazione cattolica (Bologna, 1858) [8]. Nonostante
ogni tentativo della famiglia di riaverlo, il ragazzo divenne pupillo di Pio IX,
papa che aveva preso interesse personale nella storia. Furono interessati
inutilmente all’epoca persino Napoleone III e la monarchia inglese. Il religioso
inquisitore e responsabile del rapimento (tale Pier Feletti) fu perseguito nel
1860, durante il governo provvisorio di Farini, ma l’ormai diciottenne Edgardo
Mortara era divenuto a quel punto cattolico convinto. Dopo la presa di Roma del
1870, forse su suggerimento di Pio IX, Edgardo lasciò la città e si recò
all’estero, ove fu ordinato prete all'età di ventitré anni. Trascorse poi la
sua vita in giro per il mondo cercando di evangelizzare altri ebrei, inclusa la
madre ed i propri fratelli. Edgardo Mortara morì quasi novantenne nel 1940 a
Liegi, in Belgio, ove s’era ritirato [9].
Va
da sé che Monsignor Farabulini non ebbe responsabilità personali nella
sottrazione del ragazzo. Si ritrovò invece ad esserne l’insegnante e gli fu
molto affezionato. Nel 1865 Edgardo, quattordicenne, recitò alla presenza del
pontefice una pregevole «Canzone», un componimento poetico dello stesso
Farabulini in cui veniva esaltata la figura di Papa Pio IX, un testo che fu
dato alle stampe.
Oltre
alle ottime doti dimostrate nell’insegnamento, Monsignor David Farabulini ebbe grande
fama e notorietà per l’amore dedicato alla storia e all’archeologia e, ancor
più, per la vasta competenza in campo artistico che lo mise in relazione coi
più illustri letterati del periodo. «[...]sentì il Farabulini accendersi
potente nel petto la passione dell'arte, l'amore del bello, del buono, del
grande e si die' a visitare e ad ammirare i più vetusti monumenti, le più
gloriose opere del genio, e rivolse quindi con alto proposito la sua mente agli
studi dell'arte e dell'archeologia e in breve die' luminosa esperienza di suo
valore nella estetica, com'anche negli studi storici e nell'erudizione» [10].
Scrisse
moltissime opere (più di un centinaio) spaziando da argomenti di carattere
religioso ad approfondimenti storico - politici, concentrandosi soprattutto
sugli studi d’arte, in particolare di pittura, senza trascurare gli spunti
letterari e filosofici [11].
Di
lui si lodò «lo stile terso, elegante, l’informazione sicura, l’erudizione
ampia». Il suo Saggio di nuovi Studi su Raffaello fu tradotto nelle
principali lingue europee ed «accolto con favore» dalla critica d’arte. Ebbe
per questo riconoscimenti, gratificazioni, onorificenze dai Reali di
Inghilterra[12] e di Spagna[13].
Si
guadagnò anche la profonda stima di papa Leone XIII, fine latinista che con la
sua erudizione classica pare amasse confrontare col Monsignore i versi da lui
composti con ispirazione improvvisa[14].
Monsignor
David morì, settantenne, a Roma il 10 dicembre 1903 e fu sepolto nel cimitero
monumentale del Verano a Roma, nella zona del Capitolo.
Gli
fu sempre caro il ricordo di Filo, il suo paese, così come la figura del padre
che egli ebbe a ricordare affettuosamente in una delle sue opere: «L'egregio
uomo [il padre Luigi 1791-1853] costretto per alcuni anni a far
professione d'arme sotto Napoleone I, menò di poi in tranquilla pace la vita, e
lungi dall'illustre città che gli fu patria, chiuse i suoi giorni in
quell'umile paesello, cui tuttavia l'Ariosto per onore nominò due volte nel suo
poema»[15].
Tre
anni dopo la morte del padre, nel 1856, nella stanza ove aveva abitato in Roma,
era stata posta un’epigrafe in onore del giovane David, da parte di un collega
e amico, ove venivano tessute le sue lodi con esplicito riferimento alle origini
filesi:
David Farabulini di Filo nel
Ravennate alunno nel
Pontificio Seminario Pio in filosofia e
divinità studiosissimo nelle lettere
soprammondo versato la latina ed
italiana poesia in guisa coltivò da lasciar dopo
sé quanti con lui
si provarono ebbe come cosa
affatto di cielo la amicizia né fu dovere che
in questa trasandasse soave piacevole
grave di parole non saprei qual
più
|
eletto a vice
prefetto della camerata
San Luigi seppe così
cattivarsi gli animi giovanili da volgere a
talento le chiavi e coll’esempio e
colla dolcezza rendere più
efficace l’autorità perché a quanti
abiteranno in questo luogo ove per due anni il Farabulini stanziò fossero conte
le virtù che l’animo di
lui infiorano
il collega e
amico Augusto Romiti D’Osimo Il dì III
agosto MDCCCLVI»[16] |
Gli Eredi delle
proprietà Farabulini, dal fratello Antonio ai giorni nostri
Con due figli
maschi dediti alla vita ecclesiastica (Adriano e David) e un terzo senza eredi
(Pietro Paolo), la successione in linea maschile proseguì con Antonio
(1848-1903).
Questi,
tuttavia, sposata nel 1871 la filese Foschini Domenica (1853-1938) ed avutone
in quello stesso anno il figlio Alfredo, aveva deciso di emigrare in Brasile
con tutta la famiglia, compresa la madre Teresa Bendoli. Prima di partire, però,
la previdente moglie Domenica aveva collocato fra i casanti delle Ghiarette anche i
propri genitori, quali custodi della proprietà, in attesa di sapere come andasse
a finire l'avventura brasiliana.
Trascorso qualche
anno in Sud America, Domenica Foschini tornò infatti in Italia, ma senza il
marito Antonio, dal quale si era separata. Tornò a vivere alle Ghiarette ove poi s’accompagnò
a certo Zanarini Alessandro detto Sandrone da Ozzano, mugnaio
al Molino di Filo[17].
I due, nel 1897 adottarono poi un bimbo di 6 anni, nipote di Sandrone, ovvero Zanarini
Amedeo (1891-1960), in seguito conosciuto in paese come Girardengo.
Antonio Farabulini
invece, a quanto si sa, s’era ben inserito come bottegaio nella nuova patria, vi
aveva ottenuto la cittadinanza brasiliana e lì morì nel 1903. Il figlio Alfredo,
sposò colà un'italiana[18]
da cui ebbe 5 figli che vissero tutti in Sud America. Egli tuttavia, tornato forse
in visita alla madre, finì per morire per malattia nel luogo natio, nel 1905,
morte che fu registrata in via Fossetta al Molino di Filo.
Domenica
Foschini, già vedova/separata di Antonio Farabulini, perso anche il figlio Alfredo,
dovette affezionarsi ancor più a quello adottivo, cioè al nostro Girardengo. In tarda
età, nel 1936, perse poi, per cause accidentali, anche il compagno Alessandro[19].
La donna morì
85enne il 14-2-1938, e la casa alle «Ghiarette» fu a quel
punto ereditata dal figlio adottivo Amedeo, detto Girardengo. Questi, nel
frattempo, aveva sposato l'alfonsinese Martini Pia (1887-1961) avendone, nel 1920, la
sfortunata Marcella, figlia psicolabile che, alla morte della madre, finì per essere ricoverata a Ferrara in istituto psichiatrico. Lì è deceduta nel 1988.
Alla morte di
Marcella Zanarini la proprietà della casa già cadente e dell’ampio terreno
adiacente, è passata alla famiglia di Zanarini Teresa, figlia di un fratello di
Amedeo (Girardengo).
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Anno 1965. Valma Gennari, mamma di Vanni Geminiani,
alla casa delle «Ghiarette» (la cà ‘d Girardengo), abbandonata pochi
anni prima dai proprietari.
°°°
P.S.: È
un vero peccato che la memoria del Monsignore sia andata perdendosi in paese e
che un personaggio di tale caratura non sia debitamente ricordato nella nostra
toponomastica.
È
comunque una mancanza a cui si può rimediare.
La
comunità religiosa filese, avvalendosi anche di queste brevi note biografiche e,
soprattutto col sostegno della Curia Arcivescovile di Ravenna, potrebbe farsi
avanti nei confronti dell’Amministrazione Comunale argentana e richiedere un’adeguata
intitolazione a «Mons. David Farabulini» nel suo paese natio.
Un
luogo ragionevolmente disponibile e assai indicato, a parere di chi scrive,
potrebbe essere il Piazzale antistante la Chiesa Parrocchiale di Sant’Agata (a.v.).
[1] Pare che la casa
fosse di vecchia e poco accurata costruzione, ottenuta dalla riunione di tre
diverse casette (cfr. Ing. Ercole
Marianti, Relazione Estimativa Beni Farabulini, Argenta, 1902, p.
33).
[2] A questi
s’aggiungono altri tre figlioletti deceduti poco dopo la nascita, prima dei tre
mesi di età.
[3] A. Vandini, op.cit, pp. 309-310.
[4] Si tratta di
notizie ricavate da un fascicolo della Galleria Biografica d’Italia dedicato all’alto
prelato nel 1894 quand’era ancora in vita. Da tale fascicolo fu tratta una
documentata biografia un anno dopo la sua morte (A. VALERI, Cenni della vita
e delle opere di Mons. David Farabulini, Roma. Tipografia Forzani, 1904).
[5] A Filo, Luigi
Farabulini acquisì in seguito alcune proprietà fondiarie, alcune delle quali
dall’amico Giacomo Manzoni di Lugo. Oltre alla casa delle Ghiarette appartennero
ai Farabulini alcuni terreni in prossimità dell’attuale piazza Bellini, un fondo
a destra Po Vecchio detto Partidona, la «Tenuta Aleotta» nei pressi
della Trotta, nonché l’«ex Caserma Carabinieri» e il «Palazzone».
[6] A. Valeri, op.cit., p.11.
[7] In una dedica che
egli fece in suo opuscolo (Inni in onore di S. Apollinare primo vescovo di
Ravenna volgarizzati dal can. David Farabulini, Roma, Tip. dell’Osservatore
Romano, 1863, p. 16) egli ricordò d’aver ricevuto «nella prima giovinezza»,
per breve tempo, «l’educazione nelle cose della pietà e degli studi» in Argenta
presso il Canonico Francesco Liverani (è l’autore, nel 1867, della Storia
della miracolosa immagine... della Celletta).
[8] La polizia agiva
su ordine della Santa Inquisizione, ordine avallato da papa Pio IX. I
rappresentanti della Chiesa riferirono che una cameriera cattolica della
famiglia Mortara, la quattordicenne Anna Morisi, aveva battezzato il piccolo
Edgardo durante una malattia, ritenendo che, se fosse morto, sarebbe finito nel
Limbo. Il battesimo del bimbo lo rendeva quindi cristiano e per le leggi dello
Stato pontificio una famiglia ebraica non poteva allevare un cristiano. Le stesse
leggi, peraltro, non permettevano ai cristiani di lavorare per gli ebrei, né
agli ebrei di lavorare in casa di cristiani. Di qui il preteso diritto alla
sottrazione del ragazzo. Il caso, tanto deplorato all’epoca dagli ambienti
liberali, è tornato d’attualità negli anni della canonizzazione di Pio IX da
parte di Giovanni Paolo II. Fu trattato su «Storia illustrata» da D. Scalise e
ripreso in D. Kertzer, Prigioniero
del papa re, Milano, Rizzoli, 1996. Ecco comunque un link per chi volesse
documentarsi su tutta la spinosa vicenda: https://it.wikipedia.org/wiki/Caso_Edgardo_Mortara
[9] Steven Spielberg qualche
anno fa desistette dal progetto di un film sulla vicenda dal titolo The
Kidnapping of Edgardo Mortara. Analogo
progetto, dal titolo La conversione, è tuttavia in corso da parte del
regista Marco Bellocchio. È un film di ricostruzione storica, ispirato al
rapimento, alla violenza perpetrata verso il bambino e al fanatismo religioso
che ne fu alla base.
[10] A. Valeri, op.cit., p.13.
[11] L’elenco delle
maggiori opere letterarie di Mons. D. Farabulini, oltre ad un’ampia biografia
del personaggio e alcuni estratti di componimenti a lui ispirati, è contenuto
in E. Checcoli, Filo della
memoria, Prato, Ed. Consumatori, 2002 pp. 159 ss.
[12] «Innanzi al
frontespizio [di un libro ricevuto in dono] è posto un foglio stampato in
grandi caratteri, sormontato dallo stemma della Regina, con questa epigrafe di
dedica: This work – printed by command of – the Queen - is presented by –
her Majesty - to Monsignor David Farabulini – 1886» (A. Valeri, op.cit., p.51).
[13] «[...] la graziosa
Regina, con decreto del 1890, onorò il Prelato e Professore romano della
commenda di Numero del Real Ordine d'Isabella la Cattolica, che è stimata come
una delle più alte onorificenze di Spagna. [...] egli frequentava altresì, per
invito speciale, l'Ambasciata spagnuola nei solenni ricevimenti d'uso. Parecchi
professori e letterati di Spagna hanno con esso lui tenuto amichevole aderenza.
L'illustre cav. Giovanni Quirós De Los Rios, professore dell'Ateneo di Madrid,
ai 28 di febbraio 1887, scriveva: «Al insigne poeta latino, cantor de las
glorias de mi patria, Excmo Se. D. David Farabulini, por quien renace en Roma
con todos sus encantes la Musa de Ovidio, de Propercio y Tibulo» (Ibid. p.56).
[14] Cfr. E. Tramontani, Ripercorriamo la storia di Don David Farabulini, un nome che ha reso
onore al Clero ravennate, «Risveglio Duemila», Settimanale Cattolico
d’Informazione dell’Archidiocesi di Ravenna-Cervia, 31 gennaio 2004, n. 4
pp. 6-7.
[15] D. Farabulini, Sermoni ed inni antichi in onore di S. Apollinare Apostolo dell'Emilia,
volgarizzati e messi in pubblico in occasione del suo XVIII Centenario,
Roma, 1874. Le citazioni di Filo e della sua Riviera da parte dell’Ariosto
furono tuttavia tre ed in tre poemi diversi.
[16] A. Valeri, op.cit., p.18.
[17] Nel cimitero di
Filo c’è ancora la vecchia tomba di Zanarini Alessandro detto Sandrone
(Ozzano 1861, Filo 1936). A quanto si racconta, Alessandro era un signore
elegante che sosteneva d’essere figlio [illegittimo] del conte, generale, Colloredo
Mels (nobile famiglia friulana di antichissima origine).
[18] Residente a
Quiriri nello Stato di Santa Catarina.
[19] All’Anagrafe
Comunale di Argenta risulta morto il 22 giugno 1936 «per frattura del cranio da
caduta».
1 commento:
"Dietro quei pochi ruderi", fuoriesce una bella ed interessante storia paesana, sconosciuta alla quasi totalità dei filesi. Giusta la riscoperta e valorizzazione di persone che hanno dato lustro o che hanno semplicemente contribuito a far conoscere al mondo il paese di Filo e la sua storia millenaria, per cui Monsignor David ed il fratello Don Adriano, meritano il giusto riconoscimento. Merita pure un ricordo, Alessandro “Sandrone” Zanarini, personaggio pittoresco del primo novecento filese, con le sue pretese nobili ascendenze, animatore di esclusivi cenacoli paesani, dall’eloquio forbito e dagli strampalati racconti legati alla “Dinasty” dei Collaredo Metz.
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