venerdì 24 febbraio 2017

La famiglia della ‘Medéa

Una foto una storia (6)
di Agide Vandini


Filo, 1917. Da sinistra in basso: Irma Tagliati (1915, in piedi sulla seggiola), Amedea Righini (1894-1984) che regge sulle ginocchia Santina Tagliati (31-10-1916) e Lilia Tagliati (1913, con la bambola). In alto, da sinistra, verosimilmente i nonni materni delle tre bambine Antonio Righini (1853-1935) e Flaminia Roverati (1859-?).


Tagliati  Pietro di  Giovanni  e  di  Elisa  Vecchiattini, nato  a Portoverrara  il  03.06.1894, soldato, morto in prigionia in Austria (31.7.1918, 14° Rgt Bersaglieri).
Quante cose può raccontarci la foto a fianco fornita da mia cugina Rita Toschi. Sul verso si leggono le annotazioni di quanto le riferì sua madre, ovvero zia Lilia: «Nonna Amedea Righini - Mamma Lilia Tagliati con bambola - 1917».
Noi, la generazione dei nati nell’ultimo dopoguerra, la ‘Medéa la ricordiamo ovviamente molto più anziana, nella casa-negozio dal tetto a quattro acque, ai piedi della rata che scendeva davanti all’attuale piazzetta «Giulio Bellini» e che conduceva, a passo sempre più svelto, alla butéga ad S-ciflĕñ, ovvero al luogo preferito da noi bambini.
Prima di ricordare quella favolosa bottega, però, va fatto un passo indietro per conoscere la storia composita della famiglia della ‘Medéa, una storia certamente non comune a quei tempi e che ho potuto ricostruire, con un po’ di pazienza, attraverso i preziosi registri parrocchiali.
Amedea Righini, nasce a Filo il 28.10.1894 da Antonio (di Andrea e Coatti Francesca) e da Flaminia Roverati (di Girolamo e Carmela Galli) entrambi filesi[1]. Non ha neppure vent’anni quando il 23.5.1913 nasce la sua prima figlia, ossia zia Lilia (futura moglie di zio Pipèñ - Giuseppe Toschi - e madre di Renza e Rita).
Dal marito Pietro Tagliati, con cui si è unita civilmente, nascono poi anche Irma il 23.3.1915 (futura moglie di Renato Tarozzi, madre di Giovannino - il ben noto Johnny - e Giovanna), nonché Santina che vede la luce il 31.10.1916 (futura moglie di Ennio Veduti detto Magnaccia, madre di Carlo e Anna, una famiglia emigrata a Milano negli anni ‘60).
Pietro e Amedea dopo il battesimo della terza figlia si sposano anche in chiesa, a Filo, il 14-3-1917, in piena guerra ’15-’18. Pietro, bersagliere, viene però chiamato al fronte. Lì, catturato dagli austriaci, muore in prigionia negli ultimi mesi del conflitto (luglio 1918).
Lilia, Irma e Santina hanno anche un fratellastro. Il padre, Pietro Tagliati ha avuto infatti ancor prima di loro un altro figlio naturale ad Argenta cui non ha dato il cognome: è Renzo Bonaveri (che vediamo a fianco), uomo che tutti ricordiamo abile e solerte operatore in cabina di proiezione al cinema Tebaldi di Filo.
Renzo Bonaveri



Con tre figlie piccole e col marito in guerra, Amedea, bracciante, si dà da fare come può. Si presta anche a lavori di fatica solitamente riservati agli uomini, per mettere in tavola qualcosa davanti alle tre bocche da sfamare. Nelle due foto che seguono, scattate con ogni probabilità proprio negli anni a cavallo del Primo Conflitto mondiale, la vediamo «alla carriola» nei pressi della sopraelevazione ferroviaria, alle prese con pesanti lavori di sterro e trasporto manuale, assieme ad altre donne come lei, energiche, instancabili e coraggiose.

Nella foto sopra (E. Checcoli, Filo della Memoria, p. 45) la ‘Medéa è in primo piano, dietro la carriola, appoggiata al manico del paletto; in quella a fianco, con lo stesso abbigliamento, è sulla passerella, vicino al palo di sostegno.



Divenuta, ahimè, vedova di guerra, ‘Medéa, a cavallo dei trent’anni, fa una scelta di vita e si accompagna al filese Alberto Bolelli (1883-1963) in paese conosciuto come S-ciflèñ. Questi commercia un po’ di tutto ed è anche un piccolo possidente, poiché ha la casa di suo, proprio nel bel mezzo del paese.
Medéa e S-ciflẽñ a Bologna

Primi Anni ’40, da sinistra: Ester Felletti (figlia dei vicini), Loretta Bolelli e il cugino Giovannino Tarozzi. Sullo sfondo i capanni dietro casa.
La ‘Médea è ora in grado di crescere dignitosamente le tre figlie e altre ne arrivano dal buon S-ciflèñ. Nascono prima Ermisde (1927), che muore nel ‘31 a poco più di quattro anni, e poi Loretta Bolelli (1933).


Nell’anteguerra le tre sorelle Tagliati si sposano e mettono su famiglia con altrettanti baldi giovanotti filesi, Lilia con zio Pipèñ ad Capitëni (10.6.1934), Irma con Renato ad Taròz (9.3.1935) e Santina con Magnaccia Veduti (28.7.1940).
‘Medéa e S-ciflèñ vivono con la piccola Loretta nella casa a fianco della Cà Longa, ossia nella più alta che vediamo al centro della ben nota foto a fianco, scattata dagli Alleati il giorno della Liberazione di Filo.
Proprio in quella casa, demolita negli anni ‘70, ai piedi della rampa adiacente la strada principale del paese, abbiamo conosciuto, noi bimbi dell’immediato dopoguerra la favolosa Butéga ad S-ciflèñ.
Lì, una volta entrati al dolce dindon azionato dalla porta a vetri, i bambini della mia età  potevano vedere ed ammirare ogni ben di Dio, spendere le magre mancette dei genitori e finanche il modesto ricavato dei ferrivecchi ottenuto dallo strazér (straccivendolo). Non c’era che da scegliere: miclézia (liquirizia in stecche), lègn dólz (tranci di liquirizia in natura), mistöca e mistuchina (schiacciate di farina castagna), luéñ (lupini), brustlìñ (semi di zucca), ziž (arachidi), zižĕñ (ceci), cuciarùl (castagne secche), patóna (dolci in quadretti spugnosi), cìc (gomme da masticare), caramelle e ogni altra leccornia di allora; e poi: figurine dei calciatori in cartoncino ante Panini (che ci giocavamo a marëla oppure a zacàgn), palline di terracotta (che ci giocavamo a maclĕt), palline di vetro (prignǒñ) con cui giocare a cichê o alle trè buši; e ancora: girandole, scherzi di carnevale, mascherine, coriandoli, stelle filanti, i primi giochi in plastica come i dischi volanti a molla, gli hula-hop ecc.
Insomma, ogni sorta di golosità, o giochino da pochi soldi per bambini, aveva il suo posto in quella specie di bottega magica, sopra un fitto banco a più ripiani dietro al quale comparivano come folletti, a volte il piccolo S-ciflĕñ col cappello sulla nuca, a volte invece la cerimoniosa Medéa, fino a quando, ormai piuttosto anziani, i due decisero di lasciare l’attività alla figlia Irma e di trasferirsi a Bologna con la figlia Loretta.
Riposano entrambi, per loro espresso desiderio, nel cimitero di Filo.
Una complessa storia familiare; volti, luoghi, vicende cui ripensare con struggente nostalgia; frammenti di vita filese che andavano qui ricordati e raccontati.




[1] Antonio e Flaminia, sposatisi a Filo nel 1878 ebbero fra il 1879 ed il 1900, oltre ad Amedea (1894) questi altri figli: Giuseppa (6.12.1879), Teresa (3.6.1883), Clotilde I (29.4.1885/1-9-1885), Clotilde II (14.4.1886/29-3-1888), Clotilde III (9.11.1891), Benilde (11.7.1897/1919), Maria (16.7.1899), Andrea (13.5.1900/25.11.1905). Clotilde III sposò (solo civilmente) Aderito Geminiani (Pisini) da cui ebbe Maria, Giovanni (Giuanòñ), Antonio (e’ Gàg’) e Giuliana. Benilde, morì molto giovane, dopo aver sposato Mario (Mariẽñ) Vandini da cui era nata Elda. I due anziani  ritratti nella foto del 1917, sono dunque anche i bisnonni di Edmondo Belletti figlio di Maria, di Aderito (Pippi) e Maria Pia di Giovanni, di Enrico di Antonio (Ricco dla Lina), nonché di Giorgio e Roberto Minguzzi (de’ Mèstar) figli di Elda. Non risultano pronipoti filesi invece nella discendenza di Giuseppa che sposò Giuseppe Leoni.

sabato 11 febbraio 2017

Il «Quaderno» dell’Irôla n.14

Filo e la sua Riviera


Ho provveduto a caricare nel mio Google Drive il Quaderno dell’Irôla n.14. Contiene il compendio storico del territorio che in queste settimane ho pubblicato sul blog scomposto in due parti. Il link per l’accesso al file (di 13 pagine, scaricabili gratuitamente), è il seguente:


L’elenco completo dei «Quaderni» sin qui usciti è consultabile nell’Indice apposito (già aggiornato) che si trova sulla destra della videata nello spazio dedicato alle “Pagine Importanti” del blog.
Circa la modalità di raccolta dei Quaderni, rinnovo i suggerimenti che seguono:


1.      Una volta scelto il Quaderno [dall’Indice o dal presente avviso], cliccare sul link di accesso
2.      [comparsa l’immagine del file prescelto] cliccare su una delle due icone in alto a destra, ossia:




per dar corso immediato alla stampa





per procedere allo scarico del file sul proprio PC




La foto qui a lato indica come io raccolgo i «Quaderni». Chiunque può farlo allo stesso modo dotandosi di un comune raccoglitore e perforatore. Si viene a comporre un «Libro» a tutti gli effetti, comodo, pratico da consultare e da leggere.
Chi è interessato ai Quaderni, e non frequenta il web, o non è attrezzato per ottenere stampe adeguate, può sempre rivolgersi all’Edicola Bellettini di Filo, in grado di produrre senza alcuna difficoltà le stampe richieste.






a.v.

lunedì 6 febbraio 2017

Filo e la sua Riviera - Parte Seconda

Compendio di storia del territorio filese e delle sue vie di comunicazione
 di Agide Vandini

[segue dalla Parte Prima]
4. Modifiche della dipendenza amministrativa: come quando e perché
Con la perdita di Argenta e del suo territorio la Riperia Padi viene a rivestire per il ravennate ancor più importanza strategica. Nella seconda metà del Trecento i Da Polenta erigono una Bastia sul Po di Primaro, allo sbocco del fossato Zaniolo, ove riscuotono i diritti di passaggio sul fiume (il rastellum, 1383).
Gli Estensi interessati a quei profitti e intenzionati ad espandersi verso sud, vogliono fare della Bastia scurtapassi il loro caposaldo difensivo, e trattano a più riprese coi Da Polenta la nostra Riperia. Tentano una permuta nel 1394 dando in cambio nientemeno che Bagnacavallo, Cotignola e 6000 scudi, ma l’accordo viene annullato da un arbitrato appena pochi anni dopo (1398).
A seguito dei rovesci dello scontro militare con Venezia (1404) i Signori di Ferrara, avuta in assegnazione Argenta a titolo definitivo (1421), si assicurano anche la Riviera e portano, nel nostro territorio, la linea di confine al Primaro (1433).
E’ questo l’atto che segna il parziale cambio di giurisdizione del territorio. La parte sinistra della Riviera entra nel Ducato Estense in forma autonoma da Argenta, ne diventa un caposaldo difensivo e militare[1], ma i centri abitati di Filo e Longastrino, distribuiti fra le due rive del fiume (si veda il Disegno veneziano del 1460), vengono scomposti in due Comunità distinte, una ravennate e l’altra di dipendenza ferrarese: una separazione che, come ben sappiamo, si trascina ancora oggi.

Archivio Storico Venezia, disegno 177; metà del sec. XV (1462)

L’appartenenza delle due sponde non muterà infatti all’estinzione della casa d’Este (1598) ed al conseguente incameramento del Ducato nello Stato Pontificio, ove ne diventa la «Provincia ferrarese» con alle proprie dipendenze la Riviera di sinistra Primaro[2]. La stessa sorte toccherà al Lughese ed alle altre quattrocentesche conquiste romagnole, territori tuttavia che Ferrara perderà con l’Unità d’Italia.
A Filo intanto, sul finire del Medioevo, si materializza un nuovo centro cittadino in posizione intermedia  fra Filvecchio e Cà Salvatiche, a poca distanza dall’Hospitale di S. Giovanni in Villa Lombardia, toponimo quest’ultimo che poco a poco scompare dai documenti, inglobato in quello di Filo. Viene edificata la cinquecentesca chiesa di Sant’Agata con a fianco l’aitante torre campanaria: è la bella chiesetta demolita nel 1929 in epoca fascista e malamente sostituita dall’odierno chiesone senza campanile.
Il funzionamento della Podestaria della Riviera, articolata nelle tre comunità (o Comuni) di Filo, S. Biagio e Longastrino, si deduce da un documento di fine ‘700[3]:

Comuni della Riviera di Filo. Loro Podestà nato è il Signor Governatore di Argenta, e così il Cancelliere Criminale; ma il Notaro Civile di detta Riviera si deputa privativamente dal Signor Tesoriere di Ferrara. Ha questa Riviera un’estensione di circa diciotto miglia di lunghezza, ma di poca in larghezza, perché il territorio argentano, poi le valli Camerali di Comacchio molto la restringono. Confina a Levante col Ravegnano, e colle suddette valli, a Ponente coll’Argentano, a mezzodì col Po d’Argenta, ed a Tramontana colle suddette Valli Camerali. Nello Spirituale è soggetta al Vicario di Ravenna residente in Argenta. Sono tre ville che la compongono, ma la principale si è Filo, che le ha dato il nome. Ogni una di esse si eleggono dal Loro Consiglio, unito in un solo alla presenza del signor Podestà, due Consoli, che governano e durano un anno.

4. Trasformazioni del territorio e delle sue vie di comunicazione
L’acqua rimane l’elemento dominante del paesaggio ai due lati del Primaro (Po vecchio) fino ai prosciugamenti su larga scala che hanno inizio a fine Settecento. Fino ad allora il fiume, con portata sempre minore, scorre a fianco della strada provinciale che oggi ne percorre l’argine sinistro (Via Di Sotto poi Comunale / Provinciale). Da quella parte si distendono verso nord, a perdita d’occhio, le valli salate le cui propaggini lambiscono il paese e le sue borgate.
Alla destra del Po, nella parte tuttora ravennate, gli scenari mutano nel tempo.
A cavallo del Millennio, all’epoca di Bergunzo e dei suoi coloni, la portata del fiume è più o meno quella dell’odierno Po Grande, portata che subisce una prima drastica riduzione con la rotta di Ficarolo (1152), quando il corso maggiore delle acque si sposta verso nord. Il Primaro non ha arginature alla sua destra, sicché in quella direzione le acque tracimano ad ogni piena, favorendo via via nei terreni allagati la progressiva «bonifica per colmata». Ai due lati dell’alveo ristretto scorrono le due «alzaie», ossia le strade d’alaggio utilizzate dagli animali da tiro per il traino dei natanti. L’alzaia di sinistra, di cui restano alcuni brevi tratti, verrà chiamata più tardi la Via Di Sopra, quella di destra la «Via di Ravenna» e poi «Via Bassa».
Il ridursi della portata ed il rialzo dei terreni adiacenti provoca l’allontanamento delle Valli Ravegnane di destra Po, ove i torrenti appenninici sfogano le loro acque, riducendone poco a poco il bacino. Vengono messi a coltura i campi che ne scaturiscono e si creano allora condizioni di abitabilità anche nella riva destra del Primaro di fronte al paese. Il processo pare divenire irreversibile allorché viene decisa l’immissione nel Po del Santerno (1460), del Senio (1537) e del Lamone (1504), rispettivamente alla Bastia, a valle di Longastrino e di fronte a Sant’Alberto. [v. Cartografia: Tavole 05 e 07 -08]
Le paludi di destra Po, si veda il disegno veneziano (1460), in parte si prosciugano, ma, vuoi per l’accresciuto interrimento del fiume, vuoi forse per ottenere nuove colmate, i fiumi appenninici ad inizio ‘600 sono nuovamente distolti dal Primaro e fatti spagliare nelle campagne, dove rialimentano le Valli d’acqua dolce.
La situazione, però, dura poco. Vista l’impossibilità di tornare ad una accettabile navigabilità del fiume, si pensa a nuove soluzioni col taglio Caetano a nord di Sant’Alberto (1606) [v. Cartografia Fig.09] e la reintroduzione in Po del Senio e del Santerno (1625-1626), quest’ultimo tramite una «Voltana» che lo conduce da San Bernardino al Passetto [v. Cartografia Tavole 05-06].
In quello stesso periodo fra Cà Selvatiche e Sabbionara sorgono le Grandi Chiaviche Paoline ove si vorrebbero convogliare le acque del Po nelle Valli del Mezzano, ma l’intento fallisce: alla prima piena, l’apertura delle paratie provoca disastri immani.
A Filvecchio, nella seconda metà del Cinquecento, il Marchese Bentivoglio utilizza la vecchia chiavica sul Canale dei Ravennati per un grande progetto di utilizzo dell’acqua del Po ai fini industriali ed agricoli.

Mappa Vaticana (1580)


Sorge il Molino che dà linfa e un nuovo nome alla borgata e che accende interminabili liti coi comacchiesi. Essi non tollerano acque torbide nelle valli, temono per sale ed anguille già in pericolo per il progressivo deteriorarsi  dell’Argine del Mantello, vedi Mappa Vaticana (1580), l’istmo che da qualche tempo unisce Filvecchio con Paviero, a protezione (come un mantello appunto) delle valli salate di Comacchio da quelle meno saline del Campo del Mezzano.
L’acqua derivata dal Po, dopo aver fatto girare le macine del Molino, prima di immettersi in valle del Mezzano nei pressi della Pioppa, alimenta una delle prime risaie del territorio (la coltura del riso inizia in Italia a metà Quattrocento). Un grande edificio ospita, alla Möta, il pillatore da’ Risi (pileria, essiccatoio e magazzino): è la Risara che dà il nome alla valle circostante.
Alla parte destra, invece, verso Ravenna, il fiume continua a sfogare per apposite «bocche» le acque di piena nelle Valli Ravegnane, prima di «San Bernardino», poi, una volta contenute dalla deviazione del Santerno, «di Filo e Longastrino».

La carta Napoleonica 1812-1814

Le premesse per il prosciugamento e la progressiva bonificazione del territorio vengono poste dalla messa in opera di rettificazioni fluviali che l’innalzamento dell’alveo ha reso indispensabili, soprattutto dopo l’immissione delle acque del Reno nel Po di Primaro a Traghetto (Cavo Benedettino, sec. XVIII).
Sono tre i drizzagni fra Argenta e Sant’Alberto; la diversione più ampia, quella che ci riguarda e che va dalla Bastia al Passetto (osservabile nella carta napoleonica 1812-1814), si completa nel 1782 e reca con sé il definitivo spostamento, di fronte a Filo, della foce del Santerno. Nei pressi di quest’ultima prende corpo il villaggio di Chiavica di Legno[4], mentre, a partire dal primo ‘800, grazie a nuove opere idrauliche, la palude fra il Po vecchio[5] e il Po nuovo viene prosciugata, popolata e coltivata. Calano in quegli anni, dal ravennate e dalla Romagna estense, coloni e braccianti che vengono ad incrementare, e non di poco, la popolazione di Filo.

5. La questione dei territori fra Po Vecchio e Po Nuovo (poi Reno).
I mutamenti apportati al territorio forniscono il pretesto per rimettere in discussione il confine ravennate-ferrarese all’indomani dell’Unità d’Italia (1861). Negli anni della II° Guerra d’Indipendenza (1859) il Governatore delle Romagne, Luigi Farini, aveva disposto la fusione di alcuni comuni minori in quelli maggiori. Il Comune di Filo, divenuto semplice appodiato nel 1831, ne fa le spese. I rivaroli non ne vogliono sapere di fondersi in Argenta, ma ottengono soltanto di mantenere rendite e passività separate dal capoluogo designato[6]. Gli altri Comuni della Romagnola estense, ferraresi anch’essi da circa quattro secoli, non toccati dal provvedimento, col formarsi delle province del Regno chiedono ed ottengono di tornare in Provincia di Ravenna e di riportare la linea di confine al Primaro.
In un primo tempo pare che il nuovo confine debba intendersi lungo la linea del fiume nuovo e che questo comporti, per la Provincia di Ferrara e il Comune di Argenta, l’acquisizione dei territori di Filo e Longastrino fra il Po vecchio e il Po nuovo. Sono terre trasferite da poco (1815) dal Comune di Ravenna a quello nascente delle Alfonsine. Molte autorità sembrano orientate in tal senso, ma la questione in quei primi anni di Unità, quando ancora la capitale è a Torino, non appare né chiara, né definitiva.
Ne nasce (1862) un’accesa disputa: mesi di liti e contestazioni fra romagnoli e ferraresi, una serie di pronunciamenti contraddittori; i proprietari delle terre interessate si rifiutano di pagare le tasse agli argentani, finché, dietro la pressione di potenti deputati ravennati (Rasponi) si decide il mantenimento dello status quo, lasciando il confine che ci riguarda al Po vecchio (1863). Argenta e il suo sindaco Giuseppe Vandini restano con un pugno di mosche in mano, vanno su tutte le furie, il consiglio comunale viene addirittura sciolto e la questione viene di fatto ibernata, rimandata alle «calende greche».
Non se ne parla neppure in occasione degli aggiustamenti territoriali d’epoca Fascista, perché, così riporta Vespignani, Alfonsine evita rivendicazioni, allargamenti e razionalizzazioni per il suo comune sbilenco, nel timore di «revanche» argentane. Lì perciò, in ghiacciaia, la questione ancora giace e, date le implicazioni non solo burocratiche, lì è assai probabile che rimanga per sempre.

L’Unità d’Italia e la fusione con Argenta creano però le condizioni per metter mano alla bonifica del territorio paludoso alla sinistra del fiume, liberandolo dagli acquitrini fino alla linea dell’Argine Circondario Pioppa. Si prosciugano le Valli Brancole e la Valle Risara ed il radicale mutamento ambientale in gran parte si compie: dal Po Nuovo alle Valli di Comacchio, le paludi non ci sono più.
 Un territorio da sempre dominato dalle acque e che per tanti secoli ha tratto linfa vitale dal Grande Fiume, si ritrova ormai convertito, ai due lati del vecchio alveo abbandonato, ad una economia prevalentemente agricola, col destino tutto legato alla terra, un destino che si completerà con gli ulteriori e successivi incrementi della superficie bonificata.
Il totale prosciugamento delle acque salate della valle del Mezzano, che ci consegna il territorio così com’è oggi, avviene con le bonifiche degli anni ’30 e ’60 del Novecento.         
                    
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Appendice alla Parte Seconda


Dalla prima delle due Tavole a fianco (05) si può facilmente desumere il vecchio corso del Santerno che, in epoca Estense, ne condusse la foce alla Bastia (1460). Fino ad allora le sue acque, così come quelle del Senio e del Lamone, si immettevano nelle Valli Ravegnane d’acqua dolce, vestigia dell’antica Padusa, dette anche «Valli di San Bernardino» e, più tardi, in estensione più ridotta, «Valli di Filo e Longastrino».
 Alle Tavole 07 e 08 si possono osservare le prime foci in Po del Senio e del Lamone in epoca Estense, la prima al Passetto (1537) e la seconda a S.Alberto (1504).
Le immissioni in Po di Primaro dei tre torrenti appenninici, nonché quella del Reno sopra Ferrara (1523-26), furono considerate causa del rapido interrimento del fiume e dei disastri che ne derivarono.
Ciò consigliò, ad inizio ‘600, il ritorno alla situazione preesistente e lo studio di nuove soluzioni idrauliche che prevedessero nuovi punti di sbocco agli stessi torrenti.
Così nel 1626 il Santerno, con  una lunga diversione da Giovecca al Passetto, fu portato a sboccare in prossimità della prima foce del Senio. L’anno dopo quest’ultimo fu portato ad una nuova foce di fronte ad Humana (Anita), mentre il Lamone fu condotto una prima volta direttamente al mare, nell’alveo poi utilizzato, nel XX secolo, per il canale di destra-Reno.


Tavola 05 - Orma della 1° Foce del Santerno in Po Vecchio alla Bastia (1460) e della sua deviazione verso la 2° foce al Passetto (1626) (tratto Giovecca - Voltana). Sopra quest’ultima si osserva l’attuale corso del fiume Santerno verso la sua 3° foce in Po Nuovo (Reno) alla Chiavica di Legno di Filo (1782) (tratto Passogatto - Villa Pianta)


Tavola 06 - Orma del corso del Santerno verso la sua 2° foce al Passetto (1626) (tratto Voltana – Passetto). Sopra quest’ultima l’attuale corso verso la 3° foce in Po Nuovo (Reno) alla Chiavica di Legno di Filo (1782) (tratto Villa Pianta- Chiavica di Legno)





Tavola 07 – Orme delle Foci del Senio (1537 e 1625)
Tavola 08 - Orma Foce del Lamone a Sant’Alberto (1504)




In quel primo ‘600 si era anche ormai compreso quanto fosse divenuto necessario il raddrizzamento del corso del Po di Primaro nei tratti più tortuosi onde migliorarne la scorrevolezza e diminuirne la pericolosità.
La prima delle grandi opere a venire realizzata, fu il Taglio Caetano sopra Sant’Alberto, eseguito nel 1606. Il nuovo corso, di fatto, ricollocò il paese rivierasco da nord a sud del fiume e l’abitato ne uscì unito, compatto e totalmente nell’orbita ravennate.
La Tavola 09 permette di osservare la tortuosità del vecchio corso del fiume in corrispondenza di S.Alberto, e la striscia di terra, fra Po Vecchio e Po Nuovo che, fino ad inizio ‘600, fu parte della Riviera di Filo.


Tavola 09 - Il Taglio Caetano a Sant’Alberto (1606)







Un secolo e mezzo dopo, nella seconda metà del Settecento, decisa l’immissione del Reno nel Po di Primaro a Traghetto, furono realizzati altri tre drizzagni nel tratto di fiume fra Argenta e l’attuale Anita (Tavole 10-11-12).
In pratica, il letto del Po di Primaro (Po Vecchio) da Argenta a Mandriole, fra inizio ‘600 e fine ‘700, con esclusione dei due tratti Confina di San Biagio / Bastia e Passetto / Madonna Boschi, fu completamente raddrizzato e rifatto in zone non interrite (Po Nuovo).

Rappresentazione grafica dei tre drizzagni (F.L. Bertoldi, 1785)

Tavola 10 Drizzagno di Argenta (1774)
Tavola 11
Drizzagno di Longastrino (1782)
(dalla Bastia al Passetto)

Tavola 12
Drizzagno di Humana (poi Anita)(1780)

Come sappiamo le soluzioni idrauliche di Età Moderna e le rettificazioni apportate al corso del Po, hanno finito per determinare un cambio di denominazione geografica per le nostre acque fluviali. Per tutto il XVIII e XIX sec. si distinsero vecchio e nuovo corso con le denominazioni «Po Vecchio» e «Po Nuovo»; nella cartografia del XX sec. cominciò poi ad affermarsi la nuova denominazione di Reno, spesso affiancata a quella, storica, di Po di Primaro, come ancora riscontriamo nella qui riportata Cartografia Geologica.
Il grande fiume, tuttavia, nei nostri cuori e nei nostri detti è ancora, e forse sarà sempre, «Po», nome radicato nelle menti e tramandato dagli avi, nome amico, compagno e allo stesso tempo nemico, nome che tuttora resiste e vive nella nostra parlata, al punto che «Reno», in dialetto non è mai stato accolto o tradotto, anzi. Personalmente, ma la cosa credo di condividerla largamente coi miei paesani: pur con tutto il rispetto per le carte, le acque e la geografia, al solo tentativo di chiamarlo Rèñ, mi si inceppano lingua e budella, o, per dirla alla maniera del buon Olindo Guerrini (Preludi ai Sonetti): l’è pröpi òna ad cal parôl ch’agli um liga i dent… (a.v.)

                                                                                                        (2 – fine)



[1] Si veda in proposito la quattrocentesca carta Minorita (A.Vandini, op. cit., p. 57). La Bastia verrà ad avere importanza vitale nelle guerre e conflitti del Ducato Estense di fine ‘400 ed inizio ‘500.
[2] Le comunità della Riviera chiesero all’epoca ed ottennero dalle nuove Autorità una serie di importanti Privilegi ed Esenzioni fra cui alcune parificazioni tariffarie con la sponda ravennate (A.Vandini, op. cit., pp. 183-189).
[3] «Notizie del Contado Argentano», 1784. La Villa di Sant’Alberto non fa più parte del Comune della Riviera. Dopo la realizzazione del Taglio Caetano (1606), drizzagno sul Po a nord del paese (5,5 Km dall’attuale traghetto fino all’altezza di Mandriole) [v. Cartografia: Tavola 09], è venuta a trovarsi totalmente a sud del fiume e quindi nel «Ravegnano».
[4] Il nome risale al Passo fluviale omonimo che per molti anni collegò il luogo alla sponda opposta, alla chiavica (di legno) sul Bonacquisto, canale che a quel tempo sboccava sul fiume nuovo, a lato della foce del Santerno.
[5] Il vecchio alveo ristretto di Po vecchio fungerà, per pochi decenni, da canale di alimentazione dei Molini di Filo.
[6] La soluzione viene adottata con Regio Decreto del 22-11-1866, poi abrogata da Umberto I con Decreto 6-11-1888, mettendo fine ad ogni residua autonomia del territorio dell’antica Riviera (Ibidem, pp. 195-196).

giovedì 2 febbraio 2017

Filo e la sua Riviera - Parte Prima

Compendio di storia del territorio filese e delle sue vie di comunicazione
 di Agide Vandini


Il breve compendio storico articolato in cinque paragrafi, che qui propongo suddiviso in due parti, l’ho scritto su richiesta, poche settimane fa, quale «Introduzione al territorio filese» per un libro alfonsinese di prossima pubblicazione. Il testo si occuperà della storia del territorio comunale in generale e delle sue vie di comunicazione in particolare, ne spiegherà origini, denominazioni, ecc. Conterrà anche una parte del lavoro (vie e strade del Borgo Ravegnano in Filo) qui dedicato qualche anno fa allo stesso tema (si veda https://drive.google.com/open?id=0B17SSzLxL1RbSVE2SUVad1BSUm8 - Quaderno del 26.8.2011 - «Per le vie di Filo») una guida storica alle vie del paese divulgata e presentata durante una bella serata estiva organizzata per il ciclo de’ «I Talenti».
Non ci saranno invece, nel libro alfonsinese, le due «Appendici» guidate che ho inserito in questa anteprima per l’«Irôla», ove propongo alcune interessanti immagini tratte dalla Cartografia Geologica Regionale reperibile sul web[1]. Si tratta di Tavole molto circostanziate che confermano, col rigore della scientificità, le mie ricostruzioni del territorio più antico, anche quelle proposte in passato sulla base di pochi indizi e, sia pur ragionevoli, deduzioni.
Le immagini cartografiche, che consentono la sovrapposizione Antico / Moderno, aiuteranno a cogliere gli aspetti geo-morfologici della trattazione ed anche a meglio comprendere le tematiche storico-medievali già affrontate (si veda in particolare in questo blog: https://drive.google.com/open?id=0B17SSzLxL1RbMm1rZHRodlVqaTg - Quaderno del 15.5.2014 - «Quando a Filo si pescavano gli storioni»).
Il Compendio, pur includendo necessariamente immagini ed argomenti da me già trattati, vuoi per la forma assai sintetica, vuoi per il focus geo-morfologico, vuoi infine per l’arricchimento cartografico in Appendice, costituirà - io credo - per il lettore, uno strumento di straordinaria immediatezza ove poter cogliere tutta la complessità e vastità delle grandi trasformazioni subite nei secoli dal nostro territorio (a.v.).

E’ sempre interessante, in tempi di rinnovato interesse verso l’antico ambiente naturale, risfogliare qualche pagina della nostra storia lontana, anzi lontanissima, e, quasi come in un viaggio nel tempo, tornare alle origini dei nostri villaggi.
Il territorio, quello ove si insediarono i primi abitanti di Filo lungo il Grande Fiume, fu per secoli ben diverso da quello ricevuto in eredità dai nostri nonni, bisnonni e trisavoli, uomini che, nell’arco temporale della loro vita, hanno vissuto grandi mutamenti dell’habitat, radicali trasformazioni iniziate con la rettificazione fluviale di fine ‘700 e proseguite con le estese bonifiche eseguite fra ‘800 e ‘900. Noi, nel nostro tempo, abbiamo potuto vivere appena l’ultimo atto, ossia il prosciugamento totale delle Valli del Mezzano avvenuto alla metà del XX° secolo.
Per risalire al paesaggio del passato, va detto che la conformazione territoriale di Età Moderna ci è ben chiara: abbiamo il conforto di molte Mappe. Più ardua è invece la ricostruzione dell’ambiente e del territorio alto-medievale delle origini, poiché, come ben sanno gli studiosi di storia locale, cartografia d’epoca, fino alla metà del ‘400, non ce n’è. Per gli anni, però, cui possiamo far risalire l’insediamento del villaggio di Filo, disponiamo di fonti bibliografiche e documentali molto interessanti che ci consentono ricostruzioni ragionevoli e senza troppi voli di fantasia.


 1. Perché «Filo»? Come e quando è sorto il villaggio? Perché fu chiamato così?
Il costituirsi del nucleo abitativo, come per ogni villa dell’area meridionale del Delta Padano, va necessariamente collegato alle mutazioni morfologiche del territorio e, con esse, al determinarsi delle basilari risorse per il sostentamento umano, incluse le vie di comunicazione, sia d’acqua che di terra.
La foce ed i rami deltizi del Po, fin da epoche remote, hanno subìto periodici spostamenti per via naturale soprattutto allorché i fiumi non disponevano di arginature e di conseguenza il territorio, quello interposto fra il Po e l’Appennino, era coperto da estese paludi e specchi d’acqua. L’interrimento degli alvei dovuto agli apporti delle torbide[2], era causa di innumerevoli variazioni al corso dei fiumi nella pianura basso-romagnola. Secondo le fonti storiche tuttavia, il tracciato del ramo deltizio alle cui rive venne ad attestarsi il villaggio di Filo (ramo denominato Po di Primaro, il primo per chi proviene dal Mediterraneo) sarebbe stato, almeno in parte, provocato artificialmente in epoca bizantina (VIII sec.).
Il taglio avvenne, così si scrisse, per proteggere l’entroterra ravennate dalla pressione longobarda. Sta di fatto che il nuovo corso, o per intervento umano come si tramanda, oppure per spiegabili vie naturali, ebbe vita per incanalamento delle acque provenienti dal Volano in alvei già esistenti, al di sotto delle valli salate e di direzione ovest-est, alvei comunemente detti del Padoreno o del Vatrenum.
Lo scorrimento delle acque fluviali nella nostra bassa, piatta e con minime pendenze, produce, secondo le leggi della fisica, alvei naturali ad andamento molto tortuoso, e ciò aveva portato, verosimilmente in epoca tardo imperiale romana, al raddrizzamento del Vatrenum nel lungo tratto Bastia - Menata, ossia al drizagne Fili (così citato negli statuti Duecenteschi ravennati[3]), accortamente affiancato, al lato sinistro, da una strada selciata[4] [v. Cartografia in Appendice: Tavola 01].
Se l’antico rettifilo aveva permesso la navigazione fluviale nel Vatrenum, e facilitato i trasporti via terra, i lavori di arginatura e fortificazione a scopo difensivo dell’VIII° secolo, dovettero ancor meglio proteggere la salinità delle valli limitrofe (e con essa l’incremento dell’attività saliniera) nonché favorire con ogni probabilità gli insediamenti rivieraschi come Silicatam (forse Case Selvatiche), citato in un Diploma di Ottone I[5], e verosimilmente anche di Philus.
La denominazione pare risalire a quegli anni e derivare dal greco Phylai (in origine: gruppi o tribù delle città-stato) un termine che, fin dalla riforma ateniese di Clistene del VI° sec a.C., aveva assunto il significato  di «reggimento guidato da un filarca». Il Phylai, in sostanza, analogamente al Bandon trasmessosi ad altro abitato a noi vicino, era un termine che definiva unità o reparti militari dell’esercito bizantino dislocati nel territorio[6].
Il villaggio di Philus prese perciò ragionevolmente vita nell’Alto Medio Evo, intorno all’VIII-IX° secolo, nel luogo oggi chiamato Molino di Filo. Qui, a ridosso del Po di Primaro (o Po Vecchio), venne edificata la più antica chiesa di cui si abbia notizia nel territorio (dopo la Pieve argentana di san Giorgio): Santa Maria in Filo.

2. Ricostruzione del territorio antico, sue risorse ed organizzazione.
Alcune risorse ed attività rivierasche del villaggio di Filo a cavallo del Millennio si traggono dalla preziosa pergamena ravennate dell’anno 1022, allorché Bergunzo, ed altri coloni, prendono a «livello» dall’arcivescovado una striscia di terra emersa lungo il corso del fiume da Caput de Arre[7] fino all’ecclesia Sanctae Mariae in loco qui dicitur Filum. In quei pochi palmi i coloni possono scavarvi un canale, praticarvi caccia, pesca e, soprattutto, bonificare e coltivare quanto strappato alla palude.

25 set 1022 - Vitale Bergunzo ed altri coloni ottengono a «livello», a Filo, una lunga striscia di terra[8]

  Grande risorsa e fonte di traffici è però da tempo, nel territorio, il sale ricavato dalle valli di settentrione, oro bianco che si forma per via naturale nei morarium, raccolto, depositato in apposite tumbae ed arre lungo le rive del fiume e di lì trasportato nei luoghi di smercio[9]. Vediamola su carta, l’area che ci interessa.
La mia ricostruzione medievale della parte di Riperia relativa al territorio di Filo si basa su indicazioni topografiche (villaggi, fosse e canali) del Diploma di Ottone I (962), di alcune pergamene ravennati (Fantuzzi), della novella del Sacchetti[10] e della Descriptio Romandiolae del Card. Anglic (1371), indicazioni che ho sovrapposto alla particolareggiata cartografia di primo Ottocento (1814) riportata più oltre. [Si veda la Cartografia Geologica in Appendice: Tavole 02-03-04]

Ricostruzione e posizionamento dei villaggi filesi in epoca basso-medievale
1:Hostaria di Lapaccio; 2: Hospitale S.Giovanni Battista in Lombardia;3: Convento dei Dossi; 4: Chiesa di S.Maria in Filo

La Riviera ovviamente è assai più estesa e ne conosciamo con precisione confini e giurisdizione. Dagli Statuti duecenteschi ravennati[11] (XV) sappiamo che l’intera Riperia andava da «San Biagio al mare» poiché gli hominum de ultra Padum sono quelli qui stant et steterunt ultra padum Santo Blaxio usque ad mare.
I villaggi che la compongono godono di una certa autonomia e appartengono al Distretto di Ravenna che ne nomina il Podestà. Argenta, invece, che pur fa capo a Ravenna, all’epoca è già contesa da Ferrara e possiede, dalla fine del sec. XII, un suo Comitatum, una sua completa autonomia amministrativa e suoi specifici Statuti.
Nel già accennato art. XV gli stessi primi Statuti ravennati indicano confini con Argenta «da ripristinare» e da ciò si deduce come la Riperia, pur subordinata religiosamente alla Pieve argentana di San Giorgio, fin da tempi più antichi sia, al civile, una dipendenza del Comitatum e Districtum Ravennae. (et teneatur potestas providere quod confines, qui consueverunt esse et stare inter districtu Ravenne et Argente sint et stentet reduncantur in pristinum statum ut consueverunt).
Argenta, dopo un paio di secoli di conflitti coi ferraresi, viene affittata a tempo indefinito agli Estensi (1344). Con questa cessione la cunfina di S.Biagio, fino ad allora limite di districtum e comitatum, diventa confine politico, fra Stato Pontificio e Ducato Estense. E’ quanto si riscontra nella Descriptio dell’anno 1371, censimento dell’epoca. Vi si indica che il comitatum Ravennae confina con quelli di «Cervia, Cesena, Forlì, Faenza, Casemurate, Bagnacavallo e Argenta». Le due sponde della Riperia Fili sono dunque, entrambe, parte integrante della Provincia Romandiolae, come si osserva nella mappa ricostruita dal Mascanzoni. Il confine nord che la divide dal ferrarese è l’argine della Valle del Mezzano (l’«argine circondario Pioppa»).
La Descriptio Romandiolae fornisce la consistenza dei villaggi rivieraschi con le antiche denominazioni e permette una valutazione d’importanza economico-politica della riviera (sale, traffici e risorse vallive). Compaiono nella Riperia ben 249 focularia (117 in corrispondenza delle attuali due frazioni di Filo) quando Russi ne conta 70, Conselice 33, Massalombarda 35, Ravenna civitas 1743.

Descriptio - Mappa Mascanzoni (part.)
Descriptio - Consistenza dei villaggi del territorio


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Appendice alla Parte Prima



 In doppia linea blu, a nord di Filo e lungo la direttrice Bando - Menata di Longastrino, è facilmente osservabile il corso delle acque fluviali all’epoca in cui fu tracciato l’antico drizzagno di Filo (da Bastia a Menata) sul Vatrenum - Padorenum (dall’VIII secolo: Po di Primaro). Quest’ultimo tratto di fiume, contrassegnato nella carta geologica dalla linea continua azzurra, forse realizzato in epoca tardo imperiale romana, permise navigabilità (e la contestuale viabilità per la strada selciata al suo fianco) ai traffici provenienti da Caput Silicis (Conselice), e dal bolognese, in direzione dell’Adriatico e di Spina-Comacchio.

Fig. 01
Orma dell’antico Drizzagno di Filo


Fig. 02 – Orma del «Ruptulum»
Fig. 03 – Orma del «Morticium»
Fig. 04 – Orma «Canale dei Ravennati»

I tre particolari cartografici qui riportati (Tavole 02-03-04) confermano con chiarezza i percorsi iniziali delle tre derivazioni del Po di Primaro delineate nella mia «Ricostruzione e posizionamento dei villaggi filesi in epoca basso-medievale»[12]. Vi si osservano in colore blu il Ruptulum a Case Selvatiche, costeggiante l’attuale «Via Porto Vallone», con prosecuzione lungo la recentemente rimossa «Strada vicinale della Palazzola»; indi il Morticium nel Borgo Maggiore di Filo, di cui vediamo il suo punto d’inizio in prossimità dell’incrocio principale del paese (uffici ex CMR), l’andamento obliquo del suo corso verso nord fino alla zona torre - acquedotto e, da qui, il suo proseguimento lungo la Via Bindella (ex Via Dei Dossi); infine possiamo notare l’orma del Canale dei Ravennati, a Filvecchio (poi Molino di Filo) con derivazione dal fiume nei pressi di Via dei Laterizi  e la sua prosecuzione lungo la direzione Via Fossetta - Fossa Signora.

                                                                                                                              (1 – continua)




[2] Interrimenti che generano tuttora, nei nostri fiumi, lo scorrimento «pensile» delle acque all’interno degli argini.
[3] Statuti 1180-1260, XXII. Cfr A. Zoli- S. Bernicoli, Stat. Sec. XIII com. Ra., Ravenna, P.T. L. Ravegnana,1904, p.28. 
[4] Cfr. G. Uggeri, La romanizzazione dell’antico delta padano, in «Atti e memorie Deputazione Ferrarese di Storia Patria» s III, XX, 1975, pp. 37, e 167-168.
[5] Archivio Storico di Modena, Diploma 19 dicembre 962.
[6] Si noti come Filò, il trèb ferrarese e d’alta Italia, conservi ancora il significato più antico del termine Phylai.
[7] Antico toponimo nei pressi di San Biagio. Le Arre (v. nel prosieguo) sono aie di ammassamento del sale.
[8] L’integrale trascrizione, traduzione e commento della pergamena sono contenuti in A.Vandini, Filo la nostra terra, Faenza, Edit, 2004, pp. 38-41, testo cui si rimanda il lettore per l’approfondimento degli argomenti oggetto di questa trattazione, nonché per le fonti bibliografiche e documentali qui non riportate.
[9] Ibidem, pp.124-126 (nota 6). Quanto importante fosse il sale e quanto antica ed ambita fosse la sua raccolta lo si deduce da queste interessanti note storiche reperibili in rete (http://win.storiain.net/arret/num153/artic4.asp): «All'inizio del VIII secolo era importante il ruolo di Comacchio. Il più antico documento su questo commercio è un trattato di navigazione tra Liutprando e la città, datato 715, in cui il re longobardo concede ai milites clomaclenses, in cambio di tributi quasi esclusivamente in natura, il diritto di risalire con le loro imbarcazioni il Po, il Mincio, l'Oglio, l'Adda, e il Lambro. L'attività di questo commercio, al quale successivamente si aggiungeranno anche i negotiatores delle città lombarde, era il sale, con cui venivano scambiate derrate alimentari come olio, grano, carne di maiale, vino ecc. Il punto essenziale del trattato fu l'istituzione di un'organizzazione amministrativa lungo i fiumi: alle varie stazioni d'approdo si trovavano degli ufficiali, riparii, ai quali i milites di Comacchio versavano i tributi per la Camera Regia .
[10] Lapaccio e il morto, dal «Trecentonovelle» di Franco Sacchetti (1330-1400). E’ la novella XLVIII ambientata a Ca’ Selvatiche, integralmente riportata e commentata in A. Vandiniop.cit.,  pp. 171-174.
[11] Gli articoli degli Statuti ravennati dedicati alla Riviera, integralmente trascritti e tradotti, sono contenuti nell’Appendice di A.Vandini, Ibidem, pp. 175-182.
[12] Pubblicata una prima volta in A.Vandini, L’Antico Comune della Riviera di Filo, Ferrara, SATE, 1981, p. 30 e meglio circostanziata in A.Vandini. Filo la nostra terra, cit., p. 43, mappa anche qui riproposta.