mercoledì 26 luglio 2023

Calcio Filese anni ’50, quanti ricordi…

 

Giocatori, accompagnatori e spettatori: come e chi eravamo

di Aderitto Geminiani (Pippi)

Postfazione di Agide Vandini

 

Negli anni del dopoguerra, la domenica, nei bar e nei capannelli per strada, si respirava una certa aria di attesa per la partita di pallone, l’avvenimento che di lì a poco, avrebbe richiamato tanta gente attorno al magico manto erboso. Lì, i filesi, con gran presenza di popolo, potevano assistere alle "gesta" dei loro idoli....

Venivano a frotte al Campo Sportivo intitolato a «Giorgio Marconi», lungo il sentiero che scendeva dalla «strada alta» girando attorno al cinema Tebaldi, e si raccoglievano dietro la recinzione che delimitava il terreno di gioco. Con una passione infinita incitavano a squarciagola noi moderni gladiatori della pedata e, quando la palla varcava la soglia fatale della porta avversaria, in segno di giubilo s’alzava un boato corale. Era un urlo di tale intensità da sgomentare i passeri posati sui pioppi circostanti, impauriti al punto da volar via, a stormi, dai loro rifugi abituali.

Fra gli spettatori più fedeli c'erano Giuanĕñ ‘d Secondo, e’ stradĕñ (Giovanni Natali) e Nénci (Enzo Squarzoni), dotati di voce così potente da sovrastare i tanti altri capo-clan che festosamente, o mestamente a seconda dell'andamento della partita, guidavano gli umori dei vicini.

Le rivedo ancora quelle facce rugose dal viso abbruttito dal duro lavoro dei campi, assiepate lungo il rettangolo di gioco: venivano dal Molino di Filo, dalle Case Selvatiche, dagli angoli più lontani delle nostre campagne per vederci correre appresso ad una sfera rotonda. Erano persone felici, che s'accontentavano di quel po’ di svago che noi giocatori, quasi tutti filesi, riuscivamo a dar loro, cimentandoci e battendo spesso le squadre dei paesi rivali, squadre accreditate di maggiori mezzi e che ricorrevano a man bassa a giocatori forestieri.

 


CSC Filo, fine anni ‘50. In piedi da sinistra: La Legge Ricci, Picchi Saiani, Gég’ Bolognesi, Biédla Sacrato, Pippi Geminiani, L’Anàdra Squarzoni, Ménio Signani. Accosciati da sinistra: Marcilèñ Ricci, Carublòñ Ricci, Pistaja Romagnoli, Beppóñ Principale (Foto colorata a cura dell’Irôla de’ Filéŝ, 2023).

 

Chi eravamo?

Cominciamo dal sottoscritto, il numero 6, ovvero da Pippi (Aderitto Geminiani) che a detta di tanti doveva fare una grande carriera, una specie di aereo sempre in pista che rullava, rullava e non decollava mai.

 Proseguo col più forte di tutti, ovvero con Rascel (Gino Ricci) numero 10 dalla classe innata, indi col fratello Marcilĕñ (Marcello Ricci), il numero 8, un vero moto perpetuo, nonché con Ménio (Sante Signani), numero 5, un centromediano dalla spettacolare rovesciata a mo’ di forbice, che a volte però bucava clamorosamente ed il gol era inevitabile; qualcosa di simile capitava ogni tanto anche all’Anàdra (Elio Squarzoni), un portiere che suonava la fisarmonica come un virtuoso, ma che aveva la «papera» sempre in agguato.

Con noi s’era aggregato anche l’ex spallino Beppóñ (Giuseppe Principale), allenatore e centravanti che mugugnava ad ogni palla che gli veniva negata (spero che non me ne voglia…); a sinistra si scatenava invece il diabolico Pistàia (Giovanni Romagnoli), ala dal dribbling secco e ubriacante nonché veloce come un fulmine. Dall’altra parte, sempre pronto allo scambio rapido, agiva Picchi (Luciano Saiani), ala destra diligente e dai cross sempre invitanti. Attaccanti di complemento erano poi anche Pél (Gianni Principale), un jolly non si arrabbiava mai e ricopriva tutti i ruoli con buon profitto, infine Biédla (Osvaldo Sacrato), detto pure Culìna, sempre in agguato sugli errori degli avversari finché, prima o poi, non riusciva a  buttarla dentro…

Fra i difensori come non ricordare Franco Ricci, detto La Legge e, prima ancora il fratello Ugo, detto Carublòñ, terzino e mediano insuperabile, dotato di tiro terrificante come pochi.  Portiere principe, quando poteva od aveva voglia, era poi Màzalôca, ovvero Uber Bellettini che con le uscite spericolate risolveva spesso situazioni molto scabrose. L’altro terzino e punto di forza della squadra era Gég’ (Eugenio Bolognesi), impeccabile esterno mancino col quale, io che gravitavo su quella fascia, avevo una discreta intesa. In quello stesso ruolo giocò tante volte anche il taciturno Rumanì (Forlani Romano), di cui non ricordo un solo lamento. Da mediano destro giocarono con buon profitto anche e’ Garzòñ (Alceste Fuschini), il classico Ciclone (Werter Ferrucci che aveva iniziato come portiere) e il gran faticatore Ravàja Dal Pozzo.

Tra i giovani che si inserirono più avanti voglio citare anche Tubì (Ottoboni Francesco), attaccante di grosse doti ma che, ad un certo punto preferì giustamente gli studi. Mi ricorderò sempre di lui, compagno di tante battaglie....

 

 

Il giovane Ginulì (Gino Pasotti) è il secondo da sinistra; alla sua destra e con la mano alzata sorride e’ Baròñ (Ibanez Bellettini).

 

 

Spettatori ovunque, anche sugli alberi

 

Tornando al contorno paesano che, a bordo campo, si faceva sentire prima di ogni partita, ricordo che fra gli spettatori torreggiava «Piccolo»… Mai soprannome fu più azzeccato, trattandosi di un ragazzone di oltre due metri…

 Ricordo anche Ludovico, lo zio di Paolo Barabani, Gigìno (Luigi Galamini), il bancario dello sportello da poco aperto addlà da Po (ovvero nella parte di Filo a sud di Po morto e in provincia di Ravenna), infine, in ordine sparso, non mancavano mai neppure Tullo, detto anche Vivadìo (Arturo Cobianchi) e con lui Ginulì (Gino Pasotti) col suo copricapo da era glaciale, così come  e’ Baròñ (Ibanez Bellettini), Minàcci, alias L'uŝléra (Giacomo Ricci Maccarini), il "Maestro" Lino Rossi detto Pigrìz.

Assieme a loro una teoria infinita di frequentatori dei tre ritrovi filesi, tifosi assiepati persino sopra gli alberi a bordo campo, incuranti di ogni pericolo pur di godere di una vista privilegiata, anche se un po’ scomoda!!! hahaha😂😂.

 

Finalmente cominciava la tenzone e non c’era più tempo per guardare; adesso, tutta la gente ammassata dietro la rete divisoria era solo un'onda di tante teste sporgenti che si allungavano per capire ove fosse finito il pallone fuori quadro, coperto da altri spettatori, teste che poi si ritraevano tornando al loro posto, finita l’azione.

A volte qualcuno, mentre giocavo, mi chiamava per fare un complimento e questo mi faceva molto piacere; altre volte, dopo aver sciupato banalmente una ghiotta occasione, loro, i miei paesani, mi perdonavano, mi facevano coraggio e io intimamente sentivo che mi volevano un gran bene!

Molti spettatori preferivano prender posto dietro la porta avversaria e spostarsi di conseguenza a fine primo tempo; ciò comportava una specie di esodo durante l’intervallo nell’ansia di godere, più da vicino, i goal eventuali inferti agli avversari.

C'era ovviamente il problema del pallone di gioco (l’unico disponibile) che a volte finiva in mezzo ai campi, terreni talvolta coltivati, altre volte arati e fangosi. C’era sempre un volontario, tenuto d'occhio ad ogni passo da giocatori e spettatori, che si prodigava al recupero talvolta difficoltoso della palla di cuoio, senza la quale non si poteva riprendere il gioco.

A bordo campo avevamo spesso anche un reporter con l’immancabile Rolleiflex. Era Giovanni Montanari, che scherzosamente mi onorò persino del nomignolo di Pelè, il fuoriclasse brasiliano a cui mi accumunava soltanto l’anagrafe e niente più.

Fra dirigenti e accompagnatori, devo citare Cincióni (Vincenzo Natali) team manager d’epoca del C.S.C FILO, ovvero il Galliani nostrano, sempre disponibile allo scherzo. Chi ci seguiva come una ombra, dentro e fuori dallo spogliatoio, era poi Cianì (Luciano Salvatori), il barbiere e massaggiatore dalla valigetta sempre pronta. Una volta, prima di entrare in campo, io avevo mal di gambe e lui pazientemente mi massaggiò con olio di canfora dicendomi: «Ora mi sembri un puledro che scalpita…».

Fra gli accompagnatori c'era mio cugino La föca (Luciano Ricci Lucchi), che la cattiva sorte aveva menomato sin da piccolo, col compito di raccattare i palloni e quant’altro andava rimesso negli spogliatoi a fine partita.

Come già detto, Beppóñ fungeva da allenatore / giocatore; aveva carisma per il suo passato, nonché capacità indiscusse. Tutti abbiamo imparato cose importanti da lui, sia calcistiche, sia legate alla vita di tutti i giorni. Nello spogliatoio degli ospiti, in alto su una parete, campeggiava una scritta in lingua latina: Nobis hospes sacer sunt sed.... che tradotta, stava a significare: «I nostri ospiti sono sacri ma...». Non ricordo chi ne fosse l'autore, forse Max Barabani, d’altronde, chi se non lui?

Quanto a spirito di appartenenza paesana, voglio ricordare un episodio in particolare. Una domenica a Massalombarda entrando in campo mi si avvicinò proprio Beppóñ e mi disse: «Siamo tutti di Filo, facciamo vedere che anche senza il paio di ragazzi in prestito da fuori, siamo forti lo stesso…» A fine partita, sotto la doccia, si complimentò con me per l’impegno che avevo dimostrato. Avevamo vinto per 3 a 0.

Dopo quel campionato molti di noi cambiarono casacca. Io e Rascel andammo alla Portuense e lì, io chiusi la mia carriera.... Devo dire che nella cittadina ferrarese mi trovai molto bene, pur fallendo il tentativo di assaporare la serie D.

A Filo, mio paese natio, torno sempre volentieri, i ricordi sono tutti belli; quando incontro qualcuno che mi riconosce, provo ancora emozione e persino imbarazzo davanti a tanta spontaneità e all’evidente piacere di avermi incontrato.

D’altronde, questi sono i miei paesani, quelli che porterò, sempre nel cuore… (pippi)

 

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Questi bei ricordi della nostra gloriosa squadra di calcio, Pippi Geminiani me li ha mandati via mail pochi giorni fa. Quel favoloso gruppo di giocatori, fra la fine degli anni ’50 ed i primissimi anni ’60, dominò i campionati di 2a Categoria e per due anni si batté più che dignitosamente anche in 1° categoria (ovvero la Promozione di allora).

Si consideri che, come si può notare dalle classifiche d’epoca avute da Pippi (dati reperibili in rete e che qui riporto in calce), il CSC FILO dal massimo Campionato Dilettantistico non retrocesse mai sul campo; dovette rinunciarvi esclusivamente per insufficienza di mezzi economici.

A fine anni ‘50 io ero un ragazzino che frequentava le Medie ad Argenta e perciò potevo misurarmi appena coi «Pionieri» dell’indimenticato Scricciolo (Carlo Squarzoni). Quindi, come i miei coetanei, i nostri campioni li potevo vedere soltanto la domenica pomeriggio nelle partite giocate in casa; ero uno di quei «volonterosi» che si piazzavano dietro una porta ove capitava di dover riprendere il pallone scaraventato fra le bietole e di poterlo tirare dentro al campo, oltre la rete divisoria. Era l’occasione per una bella pedata, solitamente seguita dagli «oooh» e dall’applauso dei presenti per una partita che, finalmente, poteva riprendere.

Ricordo comunque l’orgoglio, dopo ogni vittoria degli «Azzurri», nel tornare in classe e nel raccontare la partita agli argentani. Mi piaceva vantarmene con un compagno sanbiagese come Bàliz (Zaniboni Gianfranco – che poi giocò in C alla Sarom Ravenna). Lui, fratello del miglior giocatore del suo paese, ascoltava ammirato quelle imprese dall’unico filese in classe, senza sottacere un po’ d’invidia. «Vuètar ‘d Fìl a gh’avĕ sémpar tènt ad chi žugadùr… Mo’ ‘s’a gh’avìv ad speciël…» Quella frase, molto condivisa nei paesi limitrofi, ovviamente, riempiva d’orgoglio i filesi e ne esaltava il senso di appartenenza alla comunità; ciò forse spiega in qualche modo il perché di tanto attaccamento ed entusiasmo per quella squadra di campioni nostrani.

La foto d’epoca qui inserita, colorata per l’occasione da un sito specializzato, credo sia del primo anno di Promozione, ossia dell’anno glorioso in cui, le nuove e splendide divise azzurro-chiaro furono intessute dalle magliaie filesi, maglie che, qualche anno dopo, subiti parecchi lavaggi, abbiamo indossato con molto orgoglio anche noi, i (meno dotati) successori [1].

Caro Pippi, io quegli urli, quel tifo «Fììììlo… Fìììlo… Fìììlo…» «Alé… Alé… Azzurri…» gridati a perdifiato da Giuanĕñ o da Ibanez, seguiti dal boato di quella siepe di spettatori entusiasti, non li dimenticherò mai più.

Di questo, io e tutti i compaesani, ancora oggi non possiamo che esser grati a te e ai tuoi meravigliosi compagni che qui hai così ben ricordato (a.v.).

 

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Altri articoli, ricordi e video dedicati ai nostri vecchi e gloriosi «Azzurri»

 

02.04.21- Filo, il calcio che più abbiamo amato - Quaderno dell'Iròla n. 13  (2° Ediz.) (20 pagine):

https://drive.google.com/file/d/1j-6JJROYSDEeN3YveNWs53ps0wc3JGN3/view?usp=sharing  

(Link del filmato in rete: http://youtu.be/_z_R3Go90-E )

 

22.06.21 - I "Tempi d'oro del calcio filese" in un nuovo Video – a.v. - Inedito dai filmati della famiglia Galamini: http://filese.blogspot.com/2021/06/i-tempi-doro-del-calcio-filese-in-un.html

 

24.09.13 - Calimero, Maramaldo e un Amaracord -a v. - I tempi della battaglia col Frampùl: http://filese.blogspot.it/2013/09/calimero-maramaldo-e-un-amarcord.html

 

01.08.15 - Tinèla e la partita delle banane - Un fàt e’ véra, in dialèt, cuntê da Orazio d’Pezzi: http://filese.blogspot.it/2015/08/tinela-e-la-partita-delle-banane.html

 

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Si noti da questa prima tabella come, nel primo anno (1959-60) di partecipazione alla cosiddetta «Promozione», campionato vinto dall’Argentana promossa alla «Quarta Serie», il CSC Filo, composto da quasi tutti giocatori filesi, si piazzò 8° a metà classifica, davanti a formazioni di località di ben altra dimensione e che militano tuttora nel Campionato Nazionale Dilettanti.

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Dalla seconda tabella relativa al campionato 1960-61 si può notare la posizione finale di classifica del CSC Filo, giunto 10° a pari merito col Fusignano, con ben 15 punti di vantaggio sulla zona retrocessione.

 

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Da quest’ultima tabella relativa al campionato 1961-62 si nota l’assenza del CSC FILO che, dunque, dovette rinunciare alla categoria per mera insufficienza di mezzi economici.

 



[1] Ho un preciso ricordo, da adolescente, che si collega a quelle maglie. Il giorno dell’inaugurazione della nuova divisa, assieme ai giocatori che in gruppo raggiungevano di corsa il centrocampo, vedemmo aggregarsi e sfilare, come mascotte, il mio coetaneo e cugino Enrico Geminiani, cugino anche di Pippi nonché figlio del grande Gàg’, fuoriclasse caduto nel dopoguerra per scoppio di mine. Rìcco, campione in erba pure lui, era in divisa di gioco, portava il pallone e indossava una maglia azzurra di taglia piccola preparata appositamente per lui. Ricordo tutta la nostra ammirazione, gli applausi scroscianti e la grande emozione di tutto il pubblico presente (a.v.).