Giocatori, accompagnatori
e spettatori: come e chi eravamo
di Aderitto
Geminiani (Pippi)
Postfazione di Agide
Vandini
Negli anni
del dopoguerra, la domenica, nei bar e nei capannelli per strada, si respirava una
certa aria di attesa per la partita di pallone, l’avvenimento che di lì a poco,
avrebbe richiamato tanta gente attorno al magico manto erboso. Lì, i filesi,
con gran presenza di popolo, potevano assistere alle "gesta" dei loro
idoli....
Venivano a
frotte al Campo Sportivo intitolato a «Giorgio Marconi», lungo il sentiero che scendeva
dalla «strada alta» girando attorno al cinema Tebaldi, e si raccoglievano dietro
la recinzione che delimitava il terreno di gioco. Con una passione infinita
incitavano a squarciagola noi moderni gladiatori della pedata e, quando la
palla varcava la soglia fatale della porta avversaria, in segno di giubilo s’alzava
un boato corale. Era un urlo di tale intensità da sgomentare i passeri posati
sui pioppi circostanti, impauriti al punto da volar via, a stormi, dai loro
rifugi abituali.
Fra gli
spettatori più fedeli c'erano Giuanĕñ ‘d Secondo, e’ stradĕñ (Giovanni
Natali) e Nénci (Enzo Squarzoni), dotati di voce così potente da
sovrastare i tanti altri capo-clan che festosamente, o mestamente a seconda
dell'andamento della partita, guidavano gli umori dei vicini.
Le rivedo
ancora quelle facce rugose dal viso abbruttito dal duro lavoro dei campi,
assiepate lungo il rettangolo di gioco: venivano dal Molino
di Filo, dalle Case Selvatiche, dagli
angoli più lontani delle nostre campagne per vederci correre appresso ad una
sfera rotonda. Erano persone felici, che s'accontentavano di quel po’ di svago
che noi giocatori, quasi tutti filesi, riuscivamo a dar loro, cimentandoci e
battendo spesso le squadre dei paesi rivali, squadre accreditate di maggiori
mezzi e che ricorrevano a man bassa a giocatori forestieri.
CSC Filo, fine anni ‘50. In piedi da sinistra: La
Legge Ricci, Picchi Saiani, Gég’ Bolognesi, Biédla
Sacrato, Pippi Geminiani, L’Anàdra Squarzoni, Ménio
Signani. Accosciati da sinistra: Marcilèñ Ricci, Carublòñ Ricci, Pistaja
Romagnoli, Beppóñ Principale (Foto colorata a cura dell’Irôla de’
Filéŝ, 2023).
Chi eravamo?
Cominciamo
dal sottoscritto, il numero 6, ovvero da Pippi (Aderitto
Geminiani) che a detta di tanti doveva fare una grande carriera, una specie di
aereo sempre in pista che rullava, rullava e non decollava mai.
Proseguo col più forte di tutti, ovvero con Rascel (Gino Ricci)
numero 10 dalla classe innata, indi col fratello Marcilĕñ (Marcello Ricci),
il numero 8, un vero moto perpetuo, nonché con Ménio (Sante Signani),
numero 5, un centromediano dalla spettacolare rovesciata a mo’ di forbice, che
a volte però bucava clamorosamente ed il gol era inevitabile; qualcosa di
simile capitava ogni tanto anche all’Anàdra (Elio Squarzoni), un portiere
che suonava la fisarmonica come un virtuoso, ma che aveva la «papera» sempre in
agguato.
Con noi s’era
aggregato anche l’ex spallino Beppóñ (Giuseppe Principale),
allenatore e centravanti che mugugnava ad ogni palla che gli veniva negata (spero
che non me ne voglia…); a sinistra si scatenava invece il diabolico Pistàia (Giovanni
Romagnoli), ala dal dribbling secco e ubriacante nonché veloce come un fulmine.
Dall’altra parte, sempre pronto allo scambio rapido, agiva Picchi (Luciano Saiani),
ala destra diligente e dai cross sempre invitanti. Attaccanti di complemento erano
poi anche Pél (Gianni Principale), un jolly non si arrabbiava
mai e ricopriva tutti i ruoli con buon profitto, infine Biédla (Osvaldo
Sacrato), detto pure Culìna, sempre in
agguato sugli errori degli avversari finché, prima o poi, non riusciva a buttarla dentro…
Fra i
difensori come non ricordare Franco Ricci, detto La Legge e, prima
ancora il fratello Ugo, detto Carublòñ, terzino e
mediano insuperabile, dotato di tiro terrificante come pochi. Portiere principe, quando poteva od aveva
voglia, era poi Màzalôca, ovvero Uber
Bellettini che con le uscite spericolate risolveva spesso situazioni molto
scabrose. L’altro terzino e punto di forza della squadra era Gég’ (Eugenio
Bolognesi), impeccabile esterno mancino col quale, io che gravitavo su quella fascia,
avevo una discreta intesa. In quello stesso ruolo giocò tante volte anche il
taciturno Rumanì (Forlani Romano), di cui non ricordo un solo
lamento. Da mediano destro giocarono con buon profitto anche e’
Garzòñ (Alceste Fuschini), il classico Ciclone (Werter Ferrucci
che aveva iniziato come portiere) e il gran faticatore Ravàja Dal Pozzo.
Tra i giovani
che si inserirono più avanti voglio citare anche Tubì (Ottoboni
Francesco), attaccante di grosse doti ma che, ad un certo punto preferì giustamente
gli studi. Mi ricorderò sempre di lui, compagno di tante battaglie....
Il giovane Ginulì (Gino Pasotti) è il secondo da sinistra; alla sua destra e con la mano alzata sorride e’ Baròñ (Ibanez Bellettini). Spettatori ovunque, anche sugli alberi |
Tornando al
contorno paesano che, a bordo campo, si faceva sentire prima di ogni partita,
ricordo che fra gli spettatori torreggiava «Piccolo»… Mai soprannome fu più
azzeccato, trattandosi di un ragazzone di oltre due metri… Ricordo anche Ludovico, lo zio di Paolo
Barabani, Gigìno (Luigi
Galamini), il bancario dello sportello da poco aperto addlà
da Po (ovvero nella parte di Filo a sud di Po morto e in provincia di
Ravenna), infine, in ordine sparso, non mancavano mai neppure Tullo, detto
anche Vivadìo (Arturo Cobianchi) e con lui Ginulì (Gino
Pasotti) col suo copricapo da era glaciale, così come e’ Baròñ (Ibanez
Bellettini), Minàcci, alias L'uŝléra
(Giacomo Ricci Maccarini), il "Maestro" Lino Rossi detto
Pigrìz. Assieme a
loro una teoria infinita di frequentatori dei tre ritrovi filesi, tifosi
assiepati persino sopra gli alberi a bordo campo, incuranti di ogni pericolo pur
di godere di una vista privilegiata, anche se un po’ scomoda!!! hahaha😂😂. Finalmente
cominciava la tenzone e non c’era più tempo per guardare; adesso, tutta la
gente ammassata dietro la rete divisoria era solo un'onda di tante teste
sporgenti che si allungavano per capire ove fosse finito il pallone fuori
quadro, coperto da altri spettatori, teste che poi si ritraevano tornando al
loro posto, finita l’azione. |
A volte
qualcuno, mentre giocavo, mi chiamava per fare un complimento e questo mi faceva
molto piacere; altre volte, dopo aver sciupato banalmente una ghiotta occasione,
loro, i miei paesani, mi perdonavano, mi facevano coraggio e io intimamente
sentivo che mi volevano un gran bene!
Molti spettatori
preferivano prender posto dietro la porta avversaria e spostarsi di conseguenza
a fine primo tempo; ciò comportava una specie di esodo durante l’intervallo nell’ansia
di godere, più da vicino, i goal eventuali inferti agli avversari.
C'era
ovviamente il problema del pallone di gioco (l’unico disponibile) che a volte
finiva in mezzo ai campi, terreni talvolta coltivati, altre volte arati e
fangosi. C’era sempre un volontario, tenuto d'occhio ad ogni passo da giocatori e
spettatori, che si prodigava al recupero talvolta difficoltoso della palla di
cuoio, senza la quale non si poteva riprendere il gioco.
A bordo campo
avevamo spesso anche un reporter con l’immancabile Rolleiflex. Era Giovanni
Montanari, che scherzosamente mi onorò persino del nomignolo di Pelè, il
fuoriclasse brasiliano a cui mi accumunava soltanto l’anagrafe e niente più.
Fra dirigenti
e accompagnatori, devo citare Cincióni (Vincenzo Natali)
team manager d’epoca del C.S.C FILO, ovvero il Galliani nostrano, sempre
disponibile allo scherzo. Chi ci seguiva come una ombra, dentro e fuori dallo
spogliatoio, era poi Cianì (Luciano Salvatori), il
barbiere e massaggiatore dalla valigetta sempre pronta. Una volta, prima di
entrare in campo, io avevo mal di gambe e lui pazientemente mi massaggiò con
olio di canfora dicendomi: «Ora mi sembri un puledro che scalpita…».
Fra gli
accompagnatori c'era mio cugino La föca (Luciano
Ricci Lucchi), che la cattiva sorte aveva menomato sin da piccolo, col compito
di raccattare i palloni e quant’altro andava rimesso negli spogliatoi a fine
partita.
Come già
detto, Beppóñ fungeva da allenatore / giocatore; aveva carisma per
il suo passato, nonché capacità indiscusse. Tutti abbiamo imparato cose
importanti da lui, sia calcistiche, sia legate alla vita di tutti i giorni.
Nello spogliatoio degli ospiti, in alto su una parete, campeggiava una scritta
in lingua latina: Nobis hospes sacer sunt sed.... che tradotta,
stava a significare: «I nostri ospiti sono sacri ma...». Non ricordo chi ne
fosse l'autore, forse Max Barabani, d’altronde, chi se non lui?
Quanto a
spirito di appartenenza paesana, voglio ricordare un episodio in particolare. Una
domenica a Massalombarda entrando in campo mi si avvicinò proprio Beppóñ e mi disse:
«Siamo tutti di Filo, facciamo vedere che anche senza il paio di ragazzi in
prestito da fuori, siamo forti lo stesso…» A fine partita, sotto la doccia, si
complimentò con me per l’impegno che avevo dimostrato. Avevamo vinto per 3 a 0.
Dopo quel
campionato molti di noi cambiarono casacca. Io e Rascel andammo alla
Portuense e lì, io chiusi la mia carriera.... Devo dire che nella cittadina
ferrarese mi trovai molto bene, pur fallendo il tentativo di assaporare la
serie D.
A Filo, mio
paese natio, torno sempre volentieri, i ricordi sono tutti belli; quando
incontro qualcuno che mi riconosce, provo ancora emozione e persino imbarazzo
davanti a tanta spontaneità e all’evidente piacere di avermi incontrato.
D’altronde, questi
sono i miei paesani, quelli che porterò, sempre nel cuore… (pippi)
***
Questi bei ricordi della nostra gloriosa squadra di calcio, Pippi Geminiani me li ha mandati via mail pochi giorni fa. Quel favoloso gruppo di giocatori, fra la fine degli anni ’50 ed i primissimi anni ’60, dominò i campionati di 2a Categoria e per due anni si batté più che dignitosamente anche in 1° categoria (ovvero la Promozione di allora).
Si
consideri che, come si può notare dalle classifiche d’epoca avute da
Pippi (dati reperibili in rete e che qui riporto in calce), il CSC FILO dal massimo
Campionato Dilettantistico non retrocesse mai sul campo; dovette rinunciarvi
esclusivamente per insufficienza di mezzi economici.
A
fine anni ‘50 io ero un ragazzino che frequentava le Medie ad Argenta e perciò potevo
misurarmi appena coi «Pionieri» dell’indimenticato Scricciolo (Carlo Squarzoni).
Quindi, come i miei coetanei, i nostri campioni li potevo vedere soltanto la
domenica pomeriggio nelle partite giocate in casa; ero uno di quei
«volonterosi» che si piazzavano dietro una porta ove capitava di dover riprendere
il pallone scaraventato fra le bietole e di poterlo tirare dentro al campo, oltre la rete
divisoria. Era l’occasione per una bella pedata, solitamente seguita dagli «oooh»
e dall’applauso dei presenti per una partita che, finalmente, poteva riprendere.
Ricordo
comunque l’orgoglio, dopo ogni vittoria degli «Azzurri», nel tornare in classe
e nel raccontare la partita agli argentani. Mi piaceva vantarmene con un
compagno sanbiagese come Bàliz (Zaniboni Gianfranco – che poi giocò in C alla
Sarom Ravenna). Lui, fratello del miglior giocatore del suo paese, ascoltava
ammirato quelle imprese dall’unico filese in classe, senza
sottacere un po’ d’invidia. «Vuètar ‘d Fìl a gh’avĕ sémpar tènt ad chi žugadùr…
Mo’ ‘s’a gh’avìv ad speciël…» Quella frase, molto condivisa nei paesi
limitrofi, ovviamente, riempiva d’orgoglio i filesi e ne esaltava il senso di
appartenenza alla comunità; ciò forse spiega in qualche modo il perché di
tanto attaccamento ed entusiasmo per quella squadra di campioni nostrani.
La
foto d’epoca qui inserita, colorata per l’occasione da un sito specializzato,
credo sia del primo anno di Promozione, ossia dell’anno glorioso in cui, le nuove
e splendide divise azzurro-chiaro furono intessute dalle magliaie filesi,
maglie che, qualche anno dopo, subiti parecchi lavaggi, abbiamo indossato con molto orgoglio anche
noi, i (meno dotati) successori [1].
Caro
Pippi, io quegli urli, quel tifo «Fììììlo… Fìììlo… Fìììlo…» «Alé… Alé…
Azzurri…» gridati a perdifiato da Giuanĕñ o da Ibanez, seguiti dal boato di quella siepe di spettatori entusiasti, non li dimenticherò mai più.
Di
questo, io e tutti i compaesani, ancora oggi non possiamo che esser grati a te
e ai tuoi meravigliosi compagni che qui hai così ben ricordato (a.v.).
***
Altri articoli, ricordi e video dedicati ai nostri vecchi e gloriosi
«Azzurri»
02.04.21-
Filo, il calcio che più abbiamo amato - Quaderno dell'Iròla n. 13 (2° Ediz.) (20 pagine):
https://drive.google.com/file/d/1j-6JJROYSDEeN3YveNWs53ps0wc3JGN3/view?usp=sharing
(Link del filmato in rete: http://youtu.be/_z_R3Go90-E )
22.06.21 - I
"Tempi d'oro del calcio filese" in un nuovo Video – a.v. - Inedito
dai filmati della famiglia Galamini: http://filese.blogspot.com/2021/06/i-tempi-doro-del-calcio-filese-in-un.html
24.09.13 -
Calimero, Maramaldo e un Amaracord -a v. - I tempi della battaglia col Frampùl:
http://filese.blogspot.it/2013/09/calimero-maramaldo-e-un-amarcord.html
01.08.15 - Tinèla e la partita
delle banane - Un fàt e’ véra, in dialèt, cuntê da Orazio
d’Pezzi: http://filese.blogspot.it/2015/08/tinela-e-la-partita-delle-banane.html
***
Si noti da
questa prima tabella come, nel primo anno (1959-60) di partecipazione alla
cosiddetta «Promozione», campionato vinto dall’Argentana promossa alla «Quarta
Serie», il CSC Filo, composto da quasi tutti giocatori filesi, si piazzò 8° a metà classifica, davanti a formazioni di località di ben
altra dimensione e che militano tuttora nel Campionato Nazionale Dilettanti.
Dalla seconda
tabella relativa al campionato 1960-61 si può notare la posizione finale di classifica
del CSC Filo, giunto 10° a pari merito col Fusignano, con ben 15 punti di vantaggio sulla
zona retrocessione.
***
Da quest’ultima
tabella relativa al campionato 1961-62 si nota l’assenza del CSC FILO che,
dunque, dovette rinunciare alla categoria per mera insufficienza di mezzi economici.
[1]
3 commenti:
Caro Vandini ti ringrazio di questi indimenticabili momenti . Che anch'io militavo in quel periodo.
Eravamo veramente un gruppo eccezionale, di grandissime soddisfazione. Un forte abbraccio. Uber.
Uber carissimo, siamo noi ragazzi nati nel dopoguerra che dobbiamo sempre ringraziare voi, i nostri campioni di allora, per le tante emozioni che avete saputo farci provare. Emozioni, sogni, ma non solo, anche tanto orgoglio di appartenenza ad una comunità che oggi purtroppo sembra aver perso la stima in sé stessa. Un grande saluto a te, a Pippi, all'Anàdra, a tutti i protagonisti di quell'epoca così ricca di valori, sportivi veri che io porterò sempre nel cuore... (Agide)
Ciao a tutti sono Stefano Costa il figlio di Lorenzo ( Barbaron ) mi fa molto piacere leggere queste storie vere,del passato del mio paese natale io sono nato un po più tardi pero conosco alcuni dei protagonisti,grazie per aver potuto sognare quei momenti.
Posta un commento