Un secolo e mezzo di storia della nostra perduta Caserma
di Agide Vandini
Forse non tutti sanno che il grande
Palazzo di «Chiavica di Legno» in territorio filese, ospitò per una trentina
d’anni, la prima Caserma dei Carabinieri di questo luogo.
Il grande ed esteso edificio padronale, oggi
in rovina, era stato costruito dal bolognese Cipriano Ghedini di fronte alla
foce del Santerno nella prima metà dell’Ottocento.
In quegli anni, data la prossimità all’importante
crocevia fluviale che, come si può immaginare, era al centro di traffici di
ogni genere, nei terreni attorno alla villa, sorse un vero e proprio villaggio,
un centro abitato che, superato dai tempi, fu abbandonato nella seconda metà
del Novecento. Oggi, come ben sappiamo, di quel villaggio non rimangono che poche
labili tracce.
La Caserma dei Regi Carabinieri, secondo quanto riporta Egidio Checcoli, si stabilì in quegli edifici nell’anno 1868 e colà rimase per circa un trentennio[1].
La proprietà dell’ampio palazzo e dei
fondi agricoli adiacenti era nel frattempo passata dai Ghedini ai Signori Tamba
di Lugo e nelle adiacenze della residenza padronale trovarono sede, oltre alla
Caserma, anche botteghe, scuola, osteria, farmacia ed alcune attività
artigianali di supporto ad un centro agricolo di così grandi dimensioni.
In origine due chiesette affiancavano il
palazzo. La prima che vediamo a sinistra nella foto non fu mai consacrata, ma
adibita a farmacia e civile abitazione, poi abbattuta nel corso del Novecento.
La seconda, invece, fu dedicata a Sant’Anna ed è tuttora attiva, grazie all’interessamento
del filese Don Galeati e di alcuni encomiabili fedeli.
Il villaggio, posto in territorio
alfonsinese alla sinistra del Po Nuovo (in seguito chiamato Reno), giunse ad
avere nel corso dell’800 alcune centinaia di abitanti che facevano capo, come
tutta l’area fra Po Nuovo e Po Vecchio, alla chiesa di Sant’Agata in Filo.
Nelle annotazioni del Parroco troviamo
traccia della Caserma lungo la Strada denominata “Po Nuovo” a partire dall’anno
1873 con un Brigadiere (Grimaldi) e quattro Carabinieri (Rapetti, Gallottini,
Lollini e Campolini) - vedi foto -. Tre anni dopo il Brigadiere è certo
Marchesini in luogo di Grimaldi.
Negli
anni che seguono fino al 1879 (ultimo anno di compilazione dei registri), la
forza in dotazione (talvolta indicata cumulativamente) rimane più o meno quella
del ’73.
L’immobile, che rivediamo nella foto a fianco, fu poi abbattuto e ricostruito a metà degli anni’ 70 e destinato a negozio ed abitazione privata.
Di quell’edificio, rimangono incredibilmente
ancora in vita le porte della prigione, ben conservate dalla famiglia Tarroni nella
loro casa colonica di Via Fiume Vecchio, famiglia che, di recente, mi ha
permesso di visitarle.
Dalle foto che ho scattato possiamo ancora
notare lo sportellino per il passaggio delle vivande e la solida blindatura
interna.
Quanto alla villa di «Chiavica di
legno», che oggi - vedi foto di questi giorni - è
ridotta a rudere irrecuperabile ed è destinata, ahimè, all’inevitabile crollo (si
osservi nella foto satellitare come sia ormai priva del tetto…), sappiamo che
la proprietà Tamba la detenne fino al 1918, allorché decise di venderla a certo
Biancardi, banchiere di Milano, che poi a sua volta la cedette alla «Comunione
Sant’Anna - Rampi», società con sede a Ravenna.
L’ultimo passaggio di proprietà avvenne il 29 aprile 1968, con atto del notaio Lanfranco Amadesi, allorché gli eredi della società ravennate vendettero tutta la «Tenuta Sant’Anna» alla Cooperativa Operai Braccianti Agricoli di Filo di Alfonsine. Questa, una decina d’anni dopo, fu incorporata nella locale Cooperativa Agricola Giulio Bellini, attuale proprietaria[4].
[1]
E.Checcoli, Filo della memoria, Prato, Ed.
Consumatori, 2002, pp. 205.
[2]
È quanto risulta da una perizia estimativa redatta dall’ingegner Ercole
Marianti in data 1902 (E.Checcoli, cit., p. 207).
[3] L’esilarante storia (vera) è contenuta nel mio Quaderno dell'Iròla del 25.08.2014 dedicato a Gonippo, Fiorentini e Sintòñ e disponibile al link:
https://drive.google.com/open?id=0B17SSzLxL1RbcHBzZ3lTNlBDYVU
[4]
E.Checcoli, cit., p. 33.
Nessun commento:
Posta un commento