Una testimonianza
quattrocentesca della nostra antica fornace
di Agide
Vandini
Come e
perché, quel «Tempio» riminese fece tanto parlare di sé
Nella costruzione e nell’allestimento interno
fu prevista un’iconografia quanto mai inconsueta per una chiesa cristiana,
articolata in un complesso linguaggio proprio del paganesimo: da qui la
denominazione di «Tempio».
A fianco: Sigismondo Malatesta nel celebre dipinto di Piero della Francesca (anno 1451 ca)
La scelta architettonica
contribuì al peggioramento dei rapporti con papa Pio II Piccolomini, già
critici prima dell’elezione di quest’ultimo al trono di San Pietro (1458) a
causa delle precedenti campagne militari del Malatesta ostili a Siena, città
natale del Pontefice. Furono rapporti che rimasero sempre burrascosi e che
degenerarono nella scomunica del 1460 verso lo stesso Sigismondo.
La quantità
di riferimenti pagani presenti nel «Tempio» era peraltro ritenuta
insopportabile da Papa Pio II, tanto che, proprio per questo, riportò nei suoi
Commentari: «Aedificavit tamen nobile templum Arimini
in honorem divi Francisci; verum ita gentilibus operibus implevit ut non tam
Christianorum quam Infidelium daemones templum esse videretur» [Costruì un
nobile tempio a Rimini in onore di San Francesco; ma lo riempì di tante opere
pagane che non sembra un tempio di cristiani ma di infedeli adoratori dei
demoni] (papa Pio II, Commentarii, p. 92) [1].
Le 100.000 pietre
da Argenta e dalla Riperia Fili
La rivista
«Romagna arte e Storia», in un argomentato articolo a firma Oreste Delucca che Vanni mi ha procurato
pochi giorni fa, ha fornito la corretta trascrizione e la chiara
interpretazione di un documento chiave dell’epoca, un testo da cui si evince,
senza ombra di dubbio, la particolare provenienza del laterizio utilizzato
nella quattrocentesca costruzione [2].
Si tratta di
una documentazione storica certamente degna di nota per il nostro territorio,
vuoi per l’utilizzo del materiale laterizio in un’opera divenuta tanto famosa,
vuoi per l’attestazione di quanto doveva essere importante, e notoria anche
alle Signorie contigue al Ducato, la fabbricazione di buoni mattoni in riva al Primaro,
un territorio peraltro, quello della Romandiola in parte a sud e in parte a
nord del Po di Primaro (la Riviera di Filo, ovvero il territorio definito dai
ravennati ultra padum a Sancto Blasio usque ad Mare), divenuto
proprio in quegli anni dominio del Ducato Estense [3].
Le tracce
dell’antica fornace
Ho già avuto
modo di segnalare in passato le tracce di antiche fornaci nel nostro
territorio. In Filo la nostra terra riportai denominazioni
e toponimi che ne indicavano l’esistenza, appellativi desunti da vecchi catasti
ed atti notarili [4].
Queste tracce
attestavano chiaramente la presenza di una passata attività laterizia
nell’area a nord del Primaro, fra l’antico Hospitale di San
Giovanni e Case Selvatiche ed in direzione dei Dossi, un posizionamento dovuto
evidentemente alla natura argillosa dei terreni circostanti, oltre alla
facilità dei trasporti per via fluviale.
Qualche residuo
dell’opificio esistente in loco dovrebbe essere giunto fino al XX secolo, stando
ad una foto conservata da Vanni Geminiani. Essa testimonia quanto meno di una
fabbricazione ivi condotta fino agli anni a cavallo del Novecento, epoca in cui
l’attività presumibilmente si trasferì nel sito attuale, ovvero nell’alveo
morto del Primaro, di fronte all’antico Molino di Filo.
La fornace
del Novecento
Libero Ricci
Maccarini ne ricordò così l’insediamento:
[…] col gran drizzagno d’epoca napoleonica, il Po divenne Reno e fu
spostato ove si trova ora. Nel vecchio greto, reso asciutto, vi sorse la
fornace, là dove l’acqua affiorante facilitava i «maltaioli» nell’amalgama
dell’argilla, messa a punto per lo stampo fresco di sciacquo e poi sabbiato.
Peraltro, la golena ripianata si prestava all’essiccatura dei mattoni,
poi raccolti, messi in griglia, quindi infornati, talché il fuochista, coi
bianchi canapuli, potesse alimentare il fuoco e il fumo che l’alta ciminiera
disperdeva nell’aria, quale gradito messaggio alla gente dei campi [5].
Alla vecchia
fornace, quella caramente ricordata dai nati nell’immediato dopoguerra e dai
loro genitori, ho dedicato una mostra nel 2007, mostra poi raccolta in 36
pagine messe a disposizione dei lettori di questo blog [6].
Si tratta del
resoconto fotografico (e non solo) di una visita scolastica, datata 1961, ad
una fornace successivamente modernizzata e totalmente stravolta, all’epoca rimessa
in funzione dopo le distruzioni belliche, una riattivazione avvenuta fra non
poche difficoltà.
Di queste
testimoniò con molti particolari lo stesso Libero R. M. in un pregevole racconto
di cui riporto poche righe, ma che andrebbe letto per intero per rivivere le
apprensioni e le emozioni di quei giorni[7]:
Tutto quanto pregiudicava la ricostruzione della fornace stava creando
un grosso problema all’occupazione di buona parte della mano d’opera, fino a
condizionare la rinascita del paese e delle zone limitrofe che, da sempre,
ricevevano impulso dalla produzione dell’importantissimo impianto […].
La fornace
del Molino verrà rimontata altrove
È quanto ho
appreso in questi giorni.
La fabbrica
ed i suoi macchinari, nella versione più recente della fallita Coop
Costruttori, a quanto sembra verrà smontata pezzo per pezzo e rimontata in
Africa da qualche parte.
Un altro elemento
tradizionale e distintivo del paese se ne andrà dunque per sempre.
Non
piangiamoci comunque addosso: così va il mondo, il mercato richiede altro e in
loco già si producono e si produrranno altre cose…
Tuttavia la
storia dell’attività laterizia filese, durata così a lungo nei secoli, non la
possiamo e non la vogliamo dimenticare.
Grazie alle
testimonianze d’archivio, nonché ai racconti ed alle fotografie d’epoca, quel suggestivo
ricordo rimarrà, sarà parte della nostra memoria collettiva, a Filo come in
Romagna, ovunque siano finite le nostre rinomatissime pietre.
Ovunque,
certo, e… in primis, ora possiamo dirlo… persino nel grandioso Tempio
Malatestiano di Rimini…
[2] Oreste Delucca,
Quali pietre per il Tempio Malatestiano?, «Romagna Arte e Storia»,
Rivista Quadrimestrale di cultura, Anno XVIII, n. 53, maggio-agosto 1998,
pp.103-108.
[3] Il dominio ferrarese sulla città di Argenta era invece
già in atto da alcuni secoli, prima attraverso una locazione ottenuta dai
ravennati, poi per una acquisizione definitiva avvenuta nel corso del Trecento.
[4] A.Vandini,
Filo la nostra terra, Faenza, Edit, 2004, p. 232 e pp237-238 nota 9.
[5] L. R. Maccarini,
I racconti del «Palazzone», curati da A.Vandini, Longastrino, CDS
Edizioni, 2022, p.144.
[6] https://drive.google.com/file/d/1McG0lj11pWKOmmVnTHof1cdvoWYdJyt8/view . La mostra fu basata quasi interamente sulla
dettagliata ricerca scolastica amorevolmente conservata dal Dott. Luca Vistoli.
[7] L. R. Maccarini,
cit., pp. 111-114.
3 commenti:
Senza tanta enfasi, ma ha suscitato in me un pizzico d'orgoglio.
Interessantissimo come del resto tutto ciò che produci. Peccato che non l'abbia potuto leggere mio padre che la " sua fornace"era il suo orgoglio e vi ha trascorso gran parte della sua vita. Grazie davvero
Rita Toschi
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