martedì 30 marzo 2010

E’ tempo di “Non ti scordar di me”

La leggenda dei fiori di campo in una vecchia poesia

di Agide Vandini

Myosotis sylvatica o «Non ti scordar di me»



Non ti scordar di me…

Eran piccoli, eran belli,

In tutto uguali, due gemelli.

Fior di rosa la boccuccia

La testina tutta d’or.

Nella culla per il prato

Nel cortile soleggiato

Fra le braccia della mamma

dentro d’uno stesso vel,

Sempre assieme i fanciulletti

come gli angeli del ciel

Ma purtroppo un bambinello

Lasciò solo il suo fratello.

Nella culla, oh quanta pena,

spasimò per molti dì,

E fra i pianti della mamma,

poverino si morì.

L’altro bimbo lo cercava

Notte e giorno lo chiamava

Una volta lui si vide

rispecchiarsi in un ruscel

E credette di vedere

il bel viso del fratel.

Tutto lieto il fanciullino

Del creduto fratellino

Nel saluto dell’amore

per baciarlo si chinò,

Ma giù cadde dentro l’acqua

e in un attimo affogò.

La sua mamma disperata

Nella casa desolata

I perduti figlioletti

restò sola a ricordar

E sulla riva del ruscel

si vedeva sospirar.

Una volta a primavera

Nella luce della sera

Vide in mezzo a un’onda scura

Qualche cosa azzurreggiar.

Pareva che gli occhietti

Dei suoi morti figlioletti

Le dicessero: “ Oh, mamma,

i gemelli son con te!”

E i fiorellini presero il nome

di “Non ti scordar di me”.

E’ arrivata la primavera e i nostri prati sono già invasi da quei comuni e graziosissimi fiori celesti che conosciamo come i-ọc dla Madöna, ovvero gli occhi della Madonna.

A questi fiori ho sempre riservato grande attenzione fin da piccolo o, per meglio dire, ho avuto per loro un affetto particolare, grazie ad una vecchia leggenda in poesia che mia madre, persa circa un mese fa, mi ha ricordato fino agli ultimi giorni della sua esistenza, una vita lunga e laboriosa, lasciata alla veneranda età di 97 anni.

Di mia madre era noto il proverbiale buon umore, ma nella sostanza era una storia triste quella che mi recitava in versi, rime che io credo avesse appreso alle elementari da bambina; una storia drammatica che raccontava di due sventurati gemelli, e di uno in particolare che ebbe a cercare disperatamente il fratellino scomparso fino ad una seconda tragedia. Una trama che, in tutta evidenza, la coinvolgeva emotivamente e che sembrava riguardare entrambi, avendo io perso il gemello Giacomo nei primi attimi di vita, una perdita percepita negli anni della mia infanzia, in particolare da mia madre, come un’amputazione viva e dolorosa.

Eravamo, in quel dopoguerra, una famiglia molto povera, ma mia madre ripeteva spesso che se il destino lo avesse voluto, dove si riusciva a mangiare in quattro lo si sarebbe potuto fare anche in cinque. Me lo diceva in particolare quando la seguivo saltellando per i sentieri erbosi, proprio durante le prime giornate primaverili, fra il gran luccicare dei fiori azzurrognoli che punteggiavano e rallegravano una campagna vogliosa di rinascere.

Lei, da ottima radicéra, mentre io correvo lungo i fossi, soleva raccogliere in poco tempo le quattro manciate di radicchi che occorrevano per la cena, radicchi di campo che mio padre amava gustare, come da tradizione, assieme ai dadini di pancetta ben rosolata, opportunamente conditi con l’aceto.

Non ho mai saputo chi fosse l’autore dei versi in rima baciata recitati da mia madre, né sono mai riuscito a trovare il testo originario da alcuna parte, nonostante ricerche che di recente ho esteso anche al web.

Ho scoperto invece altre leggende (v. riquadro in calce) che spiegano in modo altrettanto pertinente e romantico l’origine del suggestivo nome dato al fiore.

I versi poetici li riporto qui a fianco e certamente andranno ad arricchire il patrimonio leggendario che fa capo al Myosotis sylvatica. Scorrendolo c’è da sbizzarrirsi, tuttavia, per quanto mi riguarda, non saprei mai e poi mai disgiungere l’aura leggendaria da quelle rime toccanti.

Se qualcuno ne riconoscesse la fonte letteraria mi farebbe ovviamente felice, ma la vedo assai difficile. Va da sé che il ritrovamento non cambierebbe, semmai rafforzerebbe il rapporto speciale con questo fiore amico, per i bei ricordi della mia prima fanciullezza associati, con infinita tenerezza, a mia madre e allo sfortunato fratellino che non ho mai potuto conoscere.

«Non ti scordar di me», dicono in questi giorni migliaia di vivaci occhi azzurri e fra essi si è aggiunta una voce familiare, buona e rassicurante, una voce amorevole in più.

«Non ti scordar di me», dunque: un fiore, una luce folgorante ed intensa, un ricordo per sempre.

Elvira Toschi, mia madre (1913-2010)

Le leggende collegate al fiore «Non ti scordar di me»

(http://images.google.it/imgres?imgurl=http://www.alpedisiusionline.it/Fiori/nontiscordardime.jpg&imgrefurl=http://fantasy.noiblogger.com/non-ti-scordar-mai-di-me/&usg=__BRuupfziyx1i6F8qjWuI5RV6zWA=&h=262&w=393&sz=57&hl=it&start=13&um=1&itbs=1&tbnid=izaHTeJ-xhIpFM:&tbnh=83&tbnw=124&prev=/images%3Fq%3Dfiori%2Bnon%2Bti%2Bscordar%2Bdi%2Bme%26um%3D1%26hl%3Dit%26sa%3DN%26rlz%3D1B3GGLL_itIT360IT360%26tbs%3Disch:1)

1. In un regno prospero e felice viveva Daina, una bella ragazza che abitava con la madre, ormai vecchia, in una piccola casa dipinta di bianco, costruita al limitare di un campo di grano, nei pressi un ruscello, all’ombra di grandi alberi secolari che sorgevano quasi fossero guardiani della modesta abitazione. Non esisteva stagione che turbasse la bellezza di quel piccolo angolo di mondo, né l’inverno che spogliava gli alberi mettendo a nudo il freddo terreno, né il caldo dell’estate, mitigato dall’ombra degli alberi e dalla frescura data dalle acque limpide del rivo.

Le donne andavano a prendere l’acqua dal quel piccolo fiume, sempre pulito e gorgogliante, ed i viandanti si sedevano per riposare e parlare con la bella Daina, che aveva la dolcezza e la quieta pazienza dell’animale da cui deriva il suo nome.

Ella lavorava filando alla rocca tessuti leggeri e preziosi per le ricche signore del regno e sognava ad occhi aperti il suo futuro, immaginava storie senza mai stancarsi. Aveva un bel viso omaggiato da quei lunghi capelli corvini, raccolti in una lunga treccia composta; quegli occhi scuri erano l’amore di chi si fermava a discorrere con lei, tranquilli e attenti.

Un giorno la sua quiete venne turbata da una notizia, neanche lei si seppe spiegare il perché, in fondo non era nulla di allarmante. Il Signore di quelle terre sarebbe giunto, nel corso del suo viaggio con cui intendeva far visita ai suoi possedimenti, e sicuramente avrebbe fatto tappa anche lì.

Daina fece ricorso alla saggezza della madre, preoccupata dallo scegliere una veste che potesse esser degna del loro Signore, per omaggiare la sua visita degnamente. Purtroppo le due donne non erano ricche e non potevano permettersi molti sfarzi, così solo un gioiello era in loro possesso, ma aveva la bellezza di dieci: uno zaffiro incastonato in una montatura regale, una pietra così bella e profonda da racchiudere in sé le sfumature del cielo.

Quel gioiello non aveva una storia molto lieta. Esso era un tempo proprietà di un nobile signore che si era innamorato della madre di Daina, della bellezza che ora era della figlia. Purtroppo l’uomo abbandonò la donna lasciandole la bimba e quel gioiello. L’anziana donna si preoccupò per la figlia, temendo che a lei toccasse la stessa sua sorte, ma pregò con tutto il cuore perché ciò non accadesse e che, almeno a lei, tanto giovane, fosse risparmiato il dolore dell’abbandono e tutte le lacrime dell’abbandono. Sapeva anche che, però, il destino è già scritto e nulla poteva fare per cambiare ciò che il cielo aveva scritto per Daina. Aiutò quindi la figlia ad acconciare i lunghi capelli, vestendola di bianco, candore che esaltava la brillantezza dei suoi occhi scuri, fermando il gioiello sul petto. Bella come una principessa, era pronta per accogliere il nobile di passaggio.

Il Signore arrivò infine nei pressi del campo di grano, ma sfilò innanzi alla casa di Daina senza prestarvi attenzione, troppo preso dai suoi pensieri per notare la bellezza di quel canto di mondo, anche se l’estate lo dipingeva più bello che in un qualsiasi quadro frutto di fantasia.

La giovane Daina non poté immaginare di ignorare così il suo signore, forse colta da inconscio orgoglio, forse delusa da una speranza che covava nel cuore, decise di agire d’impulso, prendendo il gioiello, lanciandolo verso il signore a cavallo, nella speranza che lo notasse.

Il principe non mostrò interesse per quel gesto, passò oltre e così il suo seguito. Gli zoccoli dei cavalli frantumarono quello zaffiro in migliaia di piccoli cristalli di luce azzurra, che brillavano insistenti alla luce del sole senza che nessuno vi posasse lo sguardo. Fu una dea pietosa ad omaggiarli del suo sguardo, mutandoli in piccoli e deliziosi fiorellini. Il gesto di Daina diede vita a quei fiori delicati ed in essi rimase la sua speranza “Non ti scordar di me” il suo messaggio per quel nobile signore.

2. Amore sincero è questo il significato del fiore. Narra la leggenda che un cavaliere passeggiando lungo la riva di un fiume, insieme alla sua dama, si sporgesse in acqua per prendere dei fiori ammirati dalla donna. A causa della pesante armatura,cadde in acqua e fu portato via dalla corrente. Prima di annegare, riuscì a lanciare sulla riva i fiori e a gridare alla sua dama non ti scordar di me. La fanciulla non lo dimenticò mai e chiamò quei fiori, appunto, non ti scordar di me.

3. Meno Fantasy sono le altre due versioni della leggenda, una molto realistica e l’altra di stampo cristiano (se non erro è originaria delle Alpi, da quelle parti molte cose sono collegate alla cristianità). La prima è ancora più triste della storia di Daina e viene dell’Austria.

Due giovani innamorati passeggiavano in riva al Danubio scambiandosi baci e tenerezze come fanno due fidanzati che si vogliono bene. Ad un tratto rimasero incantati da decine di fiori blu trasportati dalla corrente ed il giovane decise di prenderne alcuni per l’amata. Nel tentarvi, purtroppo, cadde e fini preda della corrente. Mentre l’acqua lo rubava alla fidanzata lui gli gridò “Non dimenticarmi mai” e da quella frase il nome di questi fiori, legato ad un amore eterno e fedele.

4. L’altra invece narra che il Signore contemplando i fiori variopinti e profumati che crescevano nei prati, scese per dargli un nome. Così, via via che li vedeva, dava loro un nome. Quando ebbe finito fece per andarsene, ma un piccolo fiorellino azzurrò lo chiamò pregandolo di non scordarsi di lui. Fu così che il Signore lo chiamò “non ti scordar di me” omaggiando quella sua sincera richiesta.

sabato 20 marzo 2010

La storia di famiglia dell’Avv.Cav. Giuseppe Vandini

A conclusione di una ricerca storico-genealogica dedicata all’illustre argentano

di Agide Vandini

Obiettivi della ricerca

La ricerca genealogica, da me condotta, con la preziosa collaborazione e l’aiuto di Beniamino Carlotti, a partire dal novembre 2009 e ultimata in questi giorni, aveva alcuni obiettivi dichiarati di partenza:

1. Risalire il più possibile nelle ascendenze dell’illustre argentano Avv. Cav. Giuseppe Vandini (1824-1888) al fine di conoscere la provenienza del ramo familiare che si estinse con lui a fine Ottocento, noto per essere stato assai abbiente e di nobili origini (si veda la biografia più oltre);

2. Stabilire se c’era parentela e di che tipo fra l’ottocentesco Avv. Cav. Giuseppe, il Dr. Francesco e il di lui contemporaneo canonico Felice, ossia gli altri illustri argentani che emergono come figure locali di rilievo dalle cronache di fine Settecento, nei primi momenti della Repubblica Cispadana.

3. Acquisire indicazioni circa l’epoca di ragionevole collegamento fra il ramo argentano e quello filese-longastrinese da cui discendo, quest’ultimo già ricostruito quasi per intero fino al XVI° secolo[1].

Al termine di oltre quattro mesi di assidue ricerche condotte presso:

a. Anagrafe comunale di Argenta

b. Archivio storico presso la Biblioteca comunale di Argenta

c. Archivio diocesano di Ravenna (per i Registri parrocchiali di Argenta, S.Nicolò e S.Giacomo)

d. Archivi Parrocchiali di Boccaleone e di Portomaggiore

si può dire che gli obiettivi di partenza siano stati raggiunti con notevole soddisfazione, grazie alla paziente e meticolosa raccolta delle tante tessere del mosaico disperse fra i diversi luoghi di residenza di famiglia. Si è fatto fronte ad alcune difficoltà attese (carenze documentarie) ad altre inaspettate (strada sbarrata alla parrocchia di Consandolo depositaria di un registro di Boccaleone), ma il lavoro ha potuto trovare completamento grazie a felici intuizioni e anche grazie a quella buona sorte che non guasta mai.

1. Il ramo ascendente dell’Avv.Cav. Giuseppe Vandini

Si è potuto ricostruire con precisione il ramo ascendente di Giuseppe III per tutto il periodo di presenza dei registri parrocchiali, ossia per ben sette generazioni, risalendo fino alla seconda metà del Cinquecento. Eccone il riepilogo, in linea maschile, qui di seguito :

Francesco I (Imola? 1540 circa / Boccaleone 1590 circa

Tommaso (Boccaleone 1576 /Boccaleone 1645 circa)

Giuseppe I (Boccaleone, 1618 / Boccaleone, 1672)

Antonio I (Boccaleone, 1651 / Argenta, 1707)

Ferdinando I (Argenta, 1697 / Argenta, 1733)

Ferdinando II (Argenta, 1733 / Boccaleone, 1808

Antonio III (Portomaggiore, 1786 /Argenta, 1856)

Avv. Cav. Giuseppe III (Argenta, 1824 /Bologna, 1888)

Risalire ancor più indietro nel tempo con dati certi, non è stato possibile. Si deve per queste far riferimento a quanto riportato in araldica e in primo luogo dal Bandi, ottocentesco argentano, che fa risalire la famiglia ad un ramo cadetto dei Conti Vandini di Imola, come si legge nelle note di corredo allo stemma.

Il Blasone

Stemma rinvenuto presso la Biblioteca Ariostea

(G.Cavazzini, Stemmi delle nobili famiglie ferraresi antiche e moderne (BCA, Classe I, n.710)

Stemma disegnato dal Bandi

Vandini (Bandi, trascrizione dalla Bibl.Com.Argenta)

Nel XVI secolo un ramo cadetto della famiglia dei conti Vandini d’Imola avendo fatto acquisto nel ferrarese di parecchi possedimenti, venne desso a stabilirsi qui. Fu questa famiglia una delle più doviziose ed i membri di essa diedero non pochi uomini insigni che cuoprirono cariche importantissime civili e chiesastiche.

Lo stemma è rappresentato da uno scudo diviso da una fascia azzurra, la parte superiore ha tre gigli d’argento in campo d’oro; la parte inferiore ha un’aquila d’oro in campo d’argento. La corona è quella di visconte.

Nello stemma originario di questa famiglia, l’aquila ha fra gli artigli un bastone con avvoltovi una fascia o sciarpa azzurra, e non vi è la fascia che divide il campo dello scudo.

Questo, peraltro, è quanto si è trovato intorno ai Conti Vandini in altro volume specializzato

Stemma (a fianco) e sua descrizione (sopra) dei Conti Vandini di Imola, tratti da Gaetano Ravaldini, Araldica romagnola, dal volume «Rocche e castelli di Romagna 3», Alfa, 1972, pp.412-413.

2. Le parentele illustri

Il Dr. Francesco (VI) (Argenta, 1755 - Argenta, 1797) ed il Canonico Felice (I) (Argenta, 1753 – Argenta, 1822) erano fratelli, entrambi figli di Antonio (II), a sua volta primogenito di Ferdinando I. Antonio II era fratello maggiore di Ferdinando II, nonno dell’Avv. Cav. Giuseppe (III). L’ingente patrimonio facente capo ad Antonio II passò al Canonico Felice I e, alla morte di questi (1822) al di lui cugino di primo grado Antonio (III), primogenito di Ferdinando II e, in seguito (1824), padre dell’Avv. Cav. Giuseppe (III).

Don Felice (II) (Boccaleone, 1811 circa / Argenta, 1861), già amico del Dr.Luigi Magrini era figlio di Nicolò(II) fratello minore di Antonio III; era cugino dell’Avv. Cav. Giuseppe.

3. Collegamento fra i rami Vandini di Boccaleone-Argenta e Filo-Longastrino

La ricerca ha permesso di indicare Boccaleone come luogo di approdo nell’argentano della famiglia signorile. Lì la famiglia ha risieduto per almeno un secolo e lì ha mantenuto i propri beni fino all’Ottocento. Non è dato sapere con sicurezza l’epoca di insediamento, seppure si possa ragionevolmente ritenere che Francesco I abbia generato i suoi primi figli altrove (Imola?) e abbia raggiunto in seguito Boccaleone con la sua famiglia intorno al 1570. Lì nacque Tommaso I, il 21.12.1576, maschio ultimogenito cui venne assegnato il patrimonio immobiliare di famiglia per mancanza di eredi dei fratelli maggiori.

In quella stessa seconda metà del Cinquecento si è potuta notare nei registri parrocchiali di Boccaleone la presenza di almeno altri tre rami collaterali che portano il cognome Vandini, presumibilmente parenti e discendenti da rami cadetti distaccatisi in precedenza dalla famiglia signorile. Queste altre famiglie appaiono ancora piccoli possidenti o benestanti. E’ un cognome peraltro, quello dei Vandini, che non è presente nella seconda metà del Cinquecento in nessun’altra parrocchia dell’argentano. Assente a Longastrino (registri decorrenti da metà Cinquecento) risulta invece presente a Filo ad inizio ‘600, epoca dalla quale vi decorrono i registri parrocchiali.

Tutto questo sembrerebbe indicare attiguità, parentela, in sostanza, non troppo remota, fra i Vandini filesi ed i vari rami presenti in Boccaleone. Da uno di questi rami doveva ragionevolmente provenire il Giovanni I, capostipite nella seconda metà del Cinquecento del ramo filese-longastrinese. I suoi discendenti si travano a Filo già nel 1609. Uno di questi, Nicolò, vi sposò la possidente Antonia Brunaldi il 22.10.1612, e vi morì, 31enne, nel 1616. La vedova Antonia sposò allora il 17.4.1617 Orazio Cavallini da Boccaleone, portando seco il figlio Bartolomeo.

Questi si sposterà,poi, con la famiglia e il figlio Nicolò a Longastrino. Alcuni incroci Filo – Boccaleone dei Vandini, soli luoghi di insediamento del cognome all’epoca, si osservano per un po’ anche in altri matrimoni (Giovanni II di Antonio I – figlio di Giovanni I - sposa il 30.6.1631 Agata Ruffoni, cognome diffusissimo in Boccaleone). La circostanza sembra confermare vincoli e comuni radici con famiglie quanto meno attigue a quella signorile. Si può così stimare, sulla base di elementi puramente indicativi ed indiziari, che la congiunzione dei due rami “Vandini”, quello di Filo-Longastrino e quello Boccaleone-Argenta, possa ragionevolmente trovarsi nell’aristocrazia imolese nel tardo Medio Evo,e la si possa collocare con buona approssimazione negli anni a cavallo fra il XV e XVI secolo.

Album e Raccolte

Dati, documenti, foto, immagini delle annotazioni anagrafiche (1571-1888) reperite, testi, estratti da pubblicazioni e quant’altro è emerso dalla ricerca è stato da me accuratamente raccolto in alcuni album, visionabili presso di me o presso Beniamino Carlotti, ossia:

1. Album principale, consistente in 10 Schede da cui sono visibili nelle diverse epoche le varie composizioni familiari ed i dati anagrafici reperiti (14 pagg.);

2. Album supplementare contenente le immagini di tutte le annotazioni anagrafiche reperite nei registri parrocchiali di Boccaleone, Argenta (San Nicolò e San Giacomo), Portomaggiore (42 pagg.)

3. Documenti legali, riferiti alle più importanti sentenze relative ad alcuni contenziosi di famiglia (14 pagg.)

4. Pubblicazioni ed attestazioni, ove ho raccolto le opere pubblicate dell’Avv. Cav. Giuseppe, nonché le biografie ed articoli ed immagini ad esso riferiti, oltre alle attestazioni riguardanti la sua opera (53 pagg.)

Qualora si riscontrasse un vero interesse editoriale finalizzato alla pubblicazione anche parziale del materiale raccolto, si dà fin d’ora ampia disponibilità e collaborazione.

Note biografiche

Avv. Cav. Giuseppe Vandini

Giubilo della popolazione di Filo manifestato al Cav. Giuseppe Vandini e suoi ringraziamenti (L.Magrini, op.cit.,p.137)

Avv. Cav. Giuseppe Vandini

Monumento funebre

Lapide in Argenta

(Piazza Garibaldi)

Ospedale civile

Mazzolani-Vandini

Avv. Cav. Giuseppe Vandini (di Antonio III, Argenta, 23.4.1824 – Bologna, 13.4.1888). «Il dottor Giuseppe Vandini di Argenta ricco possidente sortì dal collegio di Ravenna nel 1842. Nel 1843 sussidiò per quanto poté i moti di Bologna. Nel 1845 rimase compromesso nel movimento di Rimini e Bagnacavallo. Nel 1846, alla morte di papa Gregorio XVI ottenne la laurea in legge.

Nel 1847 e 1848 scrisse articoli sui giornali di Roma. Nel 1848 come soldato semplice fece la campagna del Veneto col Battaglione Universitario Romano e tanto si distinse. Dopo la capitolazione di Vicenza e Treviso servì come assistente maggiore nel Battaglione Nazionale di Argenta. Nel 1849 accorse prima coi volontari in Castel S.Pietro per soccorrere Bologna, poi caduta questa città andò a Roma dove come capitano durante l’assedio fu a disposizione del Ministro della Guerra, poi nel Reggimento Masi [cfr. Ibidem, pp.74-75].

Caduta Roma si ricoverò in patria di dove appena arrivato fu costretto a fuggire perché colpito da mandato di arresto rilasciato da Mons. Bedini Commissario a Bologna. Rimpatriò dopo l’amnistia del settembre 1849. Appena succeduta la restaurazione fu capo del comitato Mazziniano posto nel basso Ferrarese, aveva la chiave della corrispondenza del ferrarese delle Romagne.

Nel 1853 fu perquisito e carcerato per sospetti politici. Dimesso per mancanza di prove fu precettato, sorvegliato, ed ebbe più volte le corrispondenze sequestrate ed interrotte. Non poté mai avere il permesso di esercitare la sua professione come Legale. Sciolti i comitati repubblicani per adesione fatta ai principi costituzionali ed alle idee della Casa Savoja, il Vandini fece nel 1856 regalo di alcuni quadri alla Pinacoteca Nazionale di Torino, e ne ebbe d’ordine del re una magnifica lettera di tutto pugno di Rattazzi in attestato di aggradimento dei sentimenti dimostrati nella lettera di accompagno dei quadri. Nel 1858 cominciò a lavorare in aspettativa della Guerra.

Nel 1859 prima diresse il comitato di Argenta per ingrandire l’armata piemontese, e favorire l’emigrazione veneta, poi insorse alla testa de’ suoi concittadini non appena succeduto il movimento di Bologna, lo fece contro la volontà dello stesso comitato di Ferrara che persuadeva di attendere prima la caduta di quella città. Fu poi Governatore di Argenta, maggiore della Guardia Nazionale, e col giorno 1 settembre 1859 fu eletto e si recò come deputato nell’Assemblea Nazionale di Bologna, ove fu uno dei primi sottoscrittori della proposta per l’annessione al Piemonte. In ultimo ha coadiuvato la spedizione di Sicilia, Umbria, e quant’altro si è potuto fare a pro dell’Italia.

Fu per più anni sindaco di Argenta, conciliatore, commissario straordinario. Sotto la data del 21 ottobre 1867 le venne conferito il titolo di Cavaliere di S.Maurizio e Lazzaro. Così pure la medaglia come è delle due campagne 1848-49 nel 25 ottobre 1867. La croce di Cavaliere di S.Marino 27 maggio 1870, quella della Corona d’Italia il 31 marzo 1878.[seguono Decreti nomine e decorazioni]» ( L.Magrini, Memorie storico-cronologiche d’Argenta, Casalecchio, Grafis, 1988, pp.183-184).

Il Cavaliere e Avv. Giuseppe Vandini morì a Bologna dopo lunga malattia il13 aprile 1888. Fu trasportato da Bologna in Argenta ed ivi sepolto in pregiato monumento funebre. Non avendo figli, lasciò erede generale dell’intero suo patrimonio la moglie Emilia Mazzolani [Argenta,18.9.1829 -19.7.1910] del fu Luigi. Quest’ultima, seguendo anche i desideri del marito, lasciò i propri beni ad Istituti di beneficenza, soprattutto per costruire un nuovo ospedale, che poté essere inaugurato nel 1939 e che porta tutt’ora il nome Mazzolani-Vandini (cfr. L.Magrini, op.cit, p. 184 e G.Bersani, C’era una volta Argenta, Ferrara, Edisai, 2009, p.245).

Dott. Francesco Vandini (di Antonio II, Argenta 15.5.1755 - 15.9.1797) «Cambiamento di governo. Impadronitosi Napoleone Bonaparte di Ferrara nel giugno 1796, in Argenta col giorno 26 dello stesso mese venne pubblicato l’avviso per l’immediata consegna della Residenza Consolare, di tutte le armi da fuoco e da taglio, ed il 28 in base di altro editto pubblicato vennero restituite. Nel giorno 26 detto, altro editto obbligava la consegna degli argenti ed oggetti di valore delle chiese. Nacque allora un tumulto popolare e gli incaricati del nuovo governo vennero costretti con la forza alla restituzione di quanto avevano preso. Con altro editto del delli 3 luglio vennero di nuovo ritirate tutte le armi. Il giorno 3 marzo 1797 vennero atterrati gli stemmi pontifici, il giorno susseguente venne innalzato lo stemma della Repubblica Francese sull’angolo destro del palazzo Comunale, ed il giorno 7 marzo venne inalberata la bandiera francese, nella notte del 27 marzo fu innalzato l’albero della libertà, e nella mane fu interrato assieme agli emblemi, bandiere e berretto rosso come simbolo di libertà. Cadute le autorità pontificie e creati i rappresentanti del nuovo governo dal comitato centrale della repubblica fu data la nomina alli signori Dottor Francesco Vandini e Giuseppe Belgiove. Questi presero possesso del Monte di Pietà e dell’eredità Bettini col ricevere in consegna le chiavi dell’archivio di esso Monte (L.Magrini, Memorie storico-cronologiche d’Argenta, Casalecchio, Grafis, 1988, p. 38)».

Coerentemente alle istruzioni spedite dal comitato centrale della Repubblica Cispadana cessarono le antiche autorità ch’erano state provvisoriamente confermate, spirarono le facoltà giudiziarie finora esercitate e all’epoca stessa segnò l’istallamento sì delle nuove autorità amministrativi e municipali, come de’ giudici de’ tribunali costituzionali. Anche in Argenta poco dopo le 22 furono perciò istallate dal dottor Francesco Vandini, delegato dal commissario dottor Giuseppe Delfini nell’amministrazione del pubblico, tutti i municipale eletti ne’ comizi tenuti il 3 aprile [seguono nominativi ed incarichi] Venerdì 2 giugno [1797], F.L.Bertoldi, Le cronache di Argenta, Bologna, Edizioni Analisi, 1993, pp. 39-40)

Canonico Don Felice Vandini (di Antonio II, Argenta 19.5.1753 - 8.4.1822) Citato un paio di volte ne «Le cronache di Argenta» di F.L. Bertoldi. Il 9 luglio 1798 (p. 49), non partecipa all’atto che segna la soppressione del capitolo dei Cappuccini e dei Minori Conventuali di Argenta, mentre il 23 maggio 1799 (p. 87) riceve in sagrestia il capitano della soldatesca Nicolò Brusi.


[1] Si veda in data 4.10.2007 in questo blog, a conclusione di una ricerca genealogica effettuata col sottoscritto, «Cultura, tradizione e storia di una famiglia filese», di B.Carlotti.

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