mercoledì 29 ottobre 2008

Cinquant’anni fa una gita scolastica

Correva l’indimenticabile anno 1958

di Agide Vandini

A distanza, ormai, di mezzo secolo il ricordo dovrebbe essersi sbiadito. E invece no.

Ho in mente tantissime cose ed abbondanza di particolari di quell’anno e di quella gita scolastica. Chissà, certo è stato l’anno della mia prima volta a Venezia e quindi in una città celebre e lontana, e io, dal mio paesino di campagna, potevo giusto muovermi, allora, per una gita voluta e guidata dalla scuola. Indubbiamente, alcune cose singolari di quell’annata seppero colpire la mia mente di adolescente, cose che, col metro di oggi, apparirebbero di scarso significato, ma che, nel tempo, hanno fatto evidentemente da architrave alla stanzetta dei ricordi, rimasta ancora lì, fra i misteriosi recessi della memoria.

Ho ben presente l’immagine di quasi tutti i compagni di classe di quella splendida II° A, in un anno contraddistinto dallo studio dell’Iliade, un poema ed una storia così emozionante e ben presentata dal nostro Prof. Paternoster che, ognuno di noi, poco a poco, finì per identificarsi in un eroe di quel palpitante mondo omerico. Se non ci si calava nel ruolo da soli, comunque, faceva lo stesso: scelta prima o poi la fazione (o si stava coi greci, oppure coi troiani), ci pensava il resto della classe ad assegnare la parte, e senza appello. Fu così che il mio compagno di banco, l’argentano Fernando Buldrini, noto per la sua furbizia e sagacia, finì per diventare, per tutti, il prode laerziade Ulisse e io, di conseguenza, chi mai se non Diomede figlio di Tideo, suo compagno nell’assalto al campo dei troiani? Da quell’anno ci si prese a chiamare col nome omerico e, ancora oggi, di certi compagni (come Ettore), m’è rimasto in memoria appena quello.

Ercole Baldini, il treno di Forlì, con la maglia iridata

Fu poi, il ’58, anche l’anno delle Grandi Imprese di Baldini, l’Ercole leggendario romagnolo, vincitore del Giro d’Italia davanti a Gaul ed Anquetil e che poi conquistò in pochi mesi anche i titoli di Campione d’Italia e di Campione del Mondo. Il conterraneo e maestro Secondo Casadei gli dedicò Il treno di Forlì, una canzone gioiosa che piacque molto, diffusa spesso da Radio Capodistria all’ora di pranzo. Vi si cantava fra l’altro: … nel mille-novecento-cinquant’otto, il missile Baldini vola e va, i gran campion son tutti liquidati, la maglia rosa ha conquistato già, dai, dai ecc.

Affascinato dai Baldaza (Ercole Baldini da Villanova di Forlì), Pipaza (Giuseppe Minardi da Solarolo) e Gabanina (Arnaldo Pambianco da Bertinoro), e sempre in gara nelle lunghe pedalate giornaliere fra Filo ed Argenta (la rata d’San Làzar era diventata il nostro «Stelvio» e quella dei Nugaron il «Pordoi»…), sognavo notte e giorno una bicicletta nuova col manubrio sprint e, proprio in quell’anno, mio padre si superò: una sfolgorante Legnano verde oliva, tal quale la bici inforcata da Baldini, fu il mio regalo per la promozione. Quando pervenne ancora imballata nella baracca da meccanico del compianto e caro Giget (Luigi Zanotti) al Molino di Filo, l'oggetto dei miei sogni aveva, incastrata nei raggi della ruota anteriore, una foto del grande Baldini con la maglia iridata appena conquistata. E, dunque, come potrei scordare il 58?

Avevo del resto poco più di dodici anni quel 23 maggio (la data precisa l’ho trovata dietro un paio di fotografie d'epoca) quando, con la Scuola Media «Gustavo Bianchi» di Argenta, ci si avviò in pullman verso la città dei Dogi, per una gita a lungo attesa, accuratamente organizzata e, per fortuna, alla portata delle tasche di una famiglia modestissima come la mia.

Non c’erano le odierne autostrade a quel tempo. Si seguiva il percorso delle strade statali maggiori, senza autogrill, aria condizionata, musica in cuffia, TV a bordo ecc. Le medie orarie delle corriere erano basse, pochi i servizi e il viaggio di andata e ritorno prevedibilmente lungo. A mettere le cose subito su un piano meno «scolastico» ci pensò l’insegnante che più metteva in soggezione tutti noi: il prof. Alfonso Paternoster. Prese il microfono oltre Pontelagoscuro ed annunciò, con tono apparentemente serio, un avvenimento epocale: L’Adige (anagramma del mio nome, chiaramente) stava attraversando il Po…

L’atmosfera divenne ben presto assai familiare e confidenziale, ben diversa da quella austera e grave dell’aula argentana. Il tempo passò in fretta, anzi, il viaggio approfondì molte amicizie e fu per tutti un divertimento inaspettato fra canti, scherzi, giochi di gruppo ecc.

Giuseppa (Canzone burlesca di Mario Masperi)

SOL7 DO LA-

Giu - seppa dal dì che, ti ho visto sento in me, più forte

RE-7 SOL7

battere il mio cuore.

DO LA-

Lo so sei brutta ma, però tu porti in dote

RE-7 SOL7

circa sei milioni.

FA

Oh mia Giuseppa, Giuseppa quanto t’amo

RE- SOL -

Senza di te non posso proprio star!

LA7

Io spenderò i milioni e tu guarderai lassù

RE-

Oh mia Giuseppa, Giuseppa cicciona d’or,

(finire sfumando)

Giuseppa cicciona d’or, cicciona d’or, cicciona d’or, ecc…

RE-

Giu - se - ppa,( zum zum), Giuseppa quanto t’amo,

RE-

Senza di te, ecc. ...

Il ponte sul fiume Kwai. L’emozionante scena del film coi prigionieri britannici che marciano sul ponte da loro stessi costruito, e destinato, a loro insaputa, ad esplodere.

Lido di Venezia, 23 maggio 1958. Alcuni compagni di scuola durante la colazione al sacco. Da sinistra: Fiorini, Morelli Serenella, Gessi Maurizio, Calzolari Anna, Grazia Dal Pozzo.

Fra gli insegnanti in gita, si distinse per allegria il professore di disegno Mario Masperi, esimio e prestigioso pittore sanbiagese. Di solito piuttosto sulle sue, ci propose scherzosamente una sua originale composizione canora, una canzone burlesca dal titolo «Giuseppa cicciona d’or» di cui imparammo ben presto l’aria, un motivo, peraltro, che non ho mai dimenticato, e di cui pubblico volentieri il testo, con accordi (approssimativi) per chitarra. Fu un successo strepitoso.

Ma in quel ’58 ci fu anche il lancio de’ «Il ponte sul fiume Kwai», il filmone di guerra con William Holden ed Alec Guinnes. Pochi di noi quel giorno l’avevano già visto, ma fra questi il mio compagno Ulisse (o Fernando, che dir si voglia), perdutamente invaghito della marcia popolare britannica Colonel Bogey[1] al punto da soffiarmela all’orecchio per quasi tutto il viaggio di andata.

Un po’ alla volta presi a fischiarla con gusto anch’io. Fatto sta che, una volta scesi a Piazzale Roma e diretti a piedi verso Piazza San Marco, issati sulle spalle gli zaini con la colazione prevista al sacco, Ulisse e Diomede si apprestarono, come altrettanti pifferai di Hamelin, ad una marcia cadenzata e fischiettata, busto eretto e portamento fiero, marcia che parve a tutti irresistibile.

Con l’orgoglio degli sbrindellati prigionieri britannici sopra il fiume Kwai, ci trascinammo allora per Venezia il discreto gruppetto deciso ad attraversare la laguna a piedi. Ulisse poi, perfettamente calato nella parte, si mise anche un lungo bastoncino sotto il braccio e con ciò fu subito chiaro chi fosse il maestro della banda.

Visitata piazza san Marco, a ora di pranzo ci si portò al Lido di Venezia, ove, in un ampio spazio verde, si consumò la colazione al sacco e si fece qualche foto prima di rientrare verso Piazzale Roma. Ovviamente, per due guerrieri abituati alle scorribande sul campo dei troiani, anche al ritorno non ci fu scelta. Passo di marcia e atteggiamento marziale non appena giunti lungo Canal Grande, fra la viva curiosità dei turisti, per i piccoli e impettiti zampognari di ignota origine, e per le note trascinanti della loro bella marcetta.

Non ricordo quante energie fossero rimaste in saccoccia verso sera, ricordo però i finestrini calati del pullman, i tanti capi sporgenti, l’aria tiepida del tramonto e tanta tristezza all’arrivo ad Argenta, alla fine della gita.

Per alcuni giorni, poi, fra Colonel Bogey e Giuseppa cicciona d’or, ebbi, lo ricordo assai bene, le guance quasi paralizzate e le corde vocali inutilizzabili.

Grande, davvero grande ed indimenticabile il millenovecentocinquantotto


[1] La popolarissima «Colonel Bogey march» fu scritta nel 1914 dal Luogotenente F.J. Richetts (1881-1945) direttore di una banda militare britannica. Sulle sue note sono stati spesso cantati versi satirici, talvolta volgari. I più noti, diffusi in Inghilterra durante la II° guerra mondiale ebbero il titolo di «Hitler Has Only Got One Ball».

1 commento:

Anonimo ha detto...

Perche non:)